9 settembre 2019

Il cameraman e l'assassino (R. Belvaux et al, 1992)

Il cameraman e l'assassino (C'est arrivé près de chez vous)
di Rémy Belvaux, André Bonzel, Benoît Poelvoorde – Belgio 1992
con Benoît Poelvoorde, Rémy Belvaux
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Visto in divx.

Una troupe cinematografica (composta dal reporter Rémy, dal fonico Patrick e dall'operatore André, con quest'ultimo che non si vede mai sullo schermo perché appunto è lui che impugna la macchina da presa) accompagna un serial killer, Benoît, nel corso del suo "lavoro", riprendendone le imprese mentre l'uomo stesso spiega i propri metodi e i trucchi del mestiere. Originale e spiazzante black comedy del tutto sui generis, difficile da prendere sul serio per come "normalizza" in maniera quasi amorale o nichilista la professione dell'assassino seriale, che viene seguito costantemente dalla cinepresa non solo durante i delitti ma anche nel tempo libero (per esempio mentre mangia, o quando fa visita ai genitori o agli amici). L'uomo è estroverso, arrogante, a tratti volgare e comunque sempre sicuro di sé e ben disposto a raccontare con un certo compiacimento tutti i segreti della sua professione (come scegliere le vittime o come sbarazzarsi dei cadaveri, per esempio), finendo col coinvolgere la troupe di cineasti in alcune delle sue imprese, ma anche ad esporre le proprie opinioni sulll'arte, sul mondo, sulla società, sulla violenza stessa. E non mancano livelli di assurdità surreale, come quando l'uomo si "scontra" con un collega assassino, anche lui seguito dalla propria troupe di operatori (televisivi, in questo caso). Girato in bianco e nero, a basso costo (e ovviamente con la camera a mano), il film è nato come progetto amatoriale di quattro studenti di cinema (Belvaux, Bonzel e Poelvoorde, che firmano anche la regia, e il co-sceneggiatore Vincent Tavier) e pur risultando controverso per alcune scene ritenute eccessivamente violente (come quella in cui Benoît uccide un bambino), ha riscosso il plauso e l'attenzione della critica, finendo col diventare un cult movie. Per certi versi (anche per il tema metacinematografico, il cinismo ipocrita e l'aspetto vouyeuristico della violenza), può essere paragonato a "Funny games" di Michael Haneke. Dei quattro autori, l'unico che farà carriera nel mondo del cinema è Poelvoorde, che qui interpreta il killer protagonista ed è sempre al centro della scena. Un'idea simile sarà alla base nel 2017 del neozelandese "Vita da vampiro - What we do in the shadows".

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