13 settembre 2015

Gemini (Shinya Tsukamoto, 1999)

Gemini (Sōseiji)
di Shinya Tsukamoto – Giappone 1999
con Masahiro Motoki, Ryo
***

Rivisto in divx alla Fogona, con Marisa, in originale con sottotitoli.

Il giovane medico Yukio Daitokuji, decorato durante la guerra per le tante vite salvate sul fronte, gestisce una piccola clinica a condizione familiare nei quartieri alti di Tokyo ed è benvoluto e rispettato da tutti. Ma il suo mondo pulito e idealista è macchiato da un'ombra che grava sul passato della sua famiglia: quella di un fratello gemello, Sutekichi, abbandonato alla nascita per via di una tremenda voglia sulle gambe, cresciuto nei bassifondi e desideroso di vendetta. Questi si sostituisce a Yukio, rinchiudendo il fratello in un pozzo e mettendolo così a confronto con il proprio lato oscuro. A fare da collante fra i due gemelli c'è anche Rin, la donna dal passato misterioso che Yukio ha sposato (credendola priva di memoria in seguito a un incendio) e che in precedenza è stata l'amante di Sutekichi. Ispirandosi a un racconto di Edogawa Ranpo e tuffandosi per la prima volta nel passato (ovvero nell'era Meiji, all'inizio del novecento), Tsukamoto rilegge il tema del “doppio” a modo suo, realizzando quasi una versione al contrario del “Dottor Jekyll e Mister Hyde”: se nel racconto di Stevenson l'uno si divideva in due, qui invece le due parti separate, quella “buona” e quella “cattiva”, finiscono con il riunirsi, visto che al termine del film il protagonista reintroietta la propria “ombra” e diventa una figura più completa e a tutto tondo (accettando, per esempio, di recarsi a curare anche quegli abitanti dei bassifondi che all'inizio tanto disprezzava). Girato con stile elegante e controllato, il film non rinuncia però a tuffarsi in un'atmosfera inquietante e malsana, e a tratti brulica di una vitalità “kurosawiana”, tanto nella rappresentazione teatrale ed espressionistica di certe scene e personaggi (gli abitanti dei bassifondi, per esempio), favorita anche dall'uso dei colori (notevole la fotografia dello stesso Tsukamoto) o da occasionali scene oniriche, quanto nella scelta dei temi, tutti ricorrenti nel cinema dell'Imperatore: il doppio e l'ombra (“Kagemusha”), l'etica della professione medica (“Barbarossa”, “L'angelo ubriaco”), la dicotomia dell'umanità divisa fra quartieri alti e poveri (“Anatomia di un rapimento”, “I bassifondi”). Grande la prova di Motoki, inquietante quella di Ryo.

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