Francofonia (Aleksandr Sokurov, 2015)
Francofonia - Il Louvre sotto occupazione (Francofonia)
di Aleksandr Sokurov – Fra/Ger/Ola 2015
con Louis-Do de Lencquesaing, Benjamin Utzerath
***
Visto al cinema Anteo, con Sabrina, in originale con sottotitoli (rassegna di Venezia).
Dopo l'Ermitage di San Pietroburgo, protagonista del capolavoro "Arca russa", Sokurov dedica un film a un altro dei maggiori musei del mondo, il Louvre: ma la pellicola che ne esce è molto diversa dalla precedente, anche se – come quella – utilizza l'arte, le collezioni e il palazzo stesso che ospita il museo come un pretesto per parlare di qualcosa di più ampio: la natura umana, la storia, e in particolare la guerra. Ricorrendo anche a filmati e materiale d'epoca, infatti, il regista ci racconta i giorni del 1942 in cui Parigi fu occupata dall'esercito tedesco, e si incentra su due figure in particolare: l'allora direttore del museo, Jacques Jaujard, e l'ufficiale nazista addetto alla gestione delle opere d'arte nei territori invasi, il conte Franz Wolff-Metternich. Nonostante le loro differenze (l'uno un repubblicano francese, l'altro un aristocratico tedesco), i due unirono le forze per difendere il prezioso patrimonio culturare dalla guerra e dalla distruzione: Metternich giunse al punto di nascondere molte collezioni nei castelli della provincia francese, pur di tenerle lontano dalle grinfie dei suoi superiori. Il documentario – ma chiamarlo così è riduttivo, visto come Sokurov mescola su più livelli la ricostruzione storica, le riflessioni personali, i documenti d'epoca e momenti di oggettiva suggestione – parla soprattutto del legame indissolubile fra arte, guerra e potere: non a caso gran parte delle opere contenute nel Louvre sono trofei di guerra, come quelli sottratti da Napoleone nei paesi che via via conquistava. E proprio Bonaparte, insieme a Marianna, è uno dei due "fantasmi" che si aggirano per le sale del museo, invisibili a tutti tranne che al cineasta stesso, al quale fanno da insolite guide (Napoleone commentando "C'est moi" davanti a ogni suo ritratto, ma persino davanti alla Gioconda; Marianna ripetendo a pappagallo quelle tre parole – "Liberté, egalité, fraternitè" – che rappresentano la sua essenza). Fra scene ricostruite con attori (con tanto di "ciak" in scena), spezzoni di film francesi dell'epoca, gallerie di ritratti, cinegiornali che mostrano Hitler in una Parigi deserta e occupata, e sequenze con Sokurov stesso al lavoro nel suo studio, il regista racconta la storia, illustra le sue tesi, lancia ogni tanto frecciatine – ai francesi ("Si preoccupavano tanto del bolscevismo in Russia e non si accorsero del pericolo assai più vicino del nazismo") ma anche ai tedeschi ("Stupiti di aver perso la guerra? Perché? Ne avevate mai vinta una prima?") e persino a sé stesso o agli spettatori ("Vi state annoiando? Vi capisco. Coraggio, non manca molto alla fine del film") – e spesso rivendica con un certo orgoglio il suo essere russo, al punto da invocare gli spiriti di Cechov e Tolstoj come ultimi baluardi, in quanto uomini dell'ottocento, della cultura umanista prima delle follie del novecento ("I genitori si addormentarono, e il ventesimo secolo arrivò"). Ne risulta un film complesso, che scorre in mille rivoli che potrebbero da soli ispirare interi documentari (si pensi per esempio al rapporto fra Russia ed Europa; alle origini stesse dei musei; alla "cacofonia" che nasce dal riunire insieme e in un solo luogo le testimonianze di epoche e culture così differenti), e che con "Arca russa" ha in comune il tema dell'arte come elemento centrale dell'esistenza umana, preziosa ma così fragile da essere facilmente in balia delle forze e delle tempeste della storia (l'immagine della nave, carica di container con opere d'arte, scossa delle violente onde del mare, è al tempo stesso un richiamo al film precedente e un'esplicita metafora di tutto questo). Alla fine il Louvre, più che il mondo esterno, racconta e ritrae soprattutto sé stesso: il museo, l'istituzione, il paese ("Si vorrebbe una Francia senza Louvre? O una Russia senza l'Ermitage? Cosa saremmo senza i musei?").
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