13 settembre 2022

Il disprezzo (Jean-Luc Godard, 1963)

Il disprezzo (Le mépris)
di Jean-Luc Godard – Francia/Italia 1963
con Brigitte Bardot, Michel Piccoli
***1/2

Rivisto in DVD, in originale con sottotitoli,
per ricordare Jean-Luc Godard.

Lo scrittore francese Paul Javal (Michel Piccoli), che vive a Roma con la giovane moglie Camille (Brigitte Bardot), viene assunto dall'ambizioso produttore americano Jeremy Prokosch (Jack Palance) per rielaborare la sceneggiatura di un film sull'Odissea che il regista tedesco Fritz Lang (sé stesso) sta per girare a Capri. Ma qualcosa si incrina nel rapporto fra i due coniugi: di punto in bianco, forse per risentimento verso la nonchalance insincera con cui il marito ha lasciato che lei trascorresse il pomeriggio insieme a Prokosch, Camille dichiara di non amarlo più, anzi di provare disprezzo nei suoi confronti. E durante la lavorazione del film, nella villa di Jeremy a Capri, le cose non migliorano, mentre l'interpretazione originale e audace che il produttore intende imporre alla rilettura dell'Odissea (Ulisse e Penelope si amavano davvero?), oltre a seminare contrasti con Lang, sembra riecheggiare proprio i problemi della relazione fra Paul e Camille... Dal romanzo di Alberto Moravia, adattato dallo stesso Godard, una coproduzione italo-francese che, per i suoi temi (che fondano riflessioni esistenzialiste e suggestioni metacinematografiche) e la sua forma (l'uso del colore, del linguaggio, del formato panoramico, dei movimenti di macchina, dei piani sequenza) si rivela una delle opere più importanti e paradigmatiche del co-fondatore della Nouvelle Vague, colma com'è di riferimenti intrecciati alla vita, l'arte, la realtà, il cinema e il racconto. Le riflessioni sulla settima arte si sprecano, a cominciare dalla frase di apertura, "Il cinema sostituisce al nostro sguardo il mondo che desideriamo", passando per la celebre citazione di Louis Lumiére ("Il cinema è un'invenzione senza futuro"), ai discorsi sul suo stato attuale (con le teorie godardiane sulla superiorità del cinema autoriale, "Come ai tempi di Griffith e Chaplin"), dai tanti manifesti di pellicole sui muri di Roma (fra cui film di Hawks, Hitchcock o dello stesso Godard), alla scelta di Lang (che all'epoca, anche se naturalmente non lo si sapeva ancora, aveva ormai concluso la sua carriera: il suo ultimo film risale al 1960, e prima della sua morte nel 1976 non ne girerà altri) per il ruolo del regista, un Lang che afferma che "il cinemascope è fatto per i serpenti o per i funerali". C'è spazio poi per l'eterno conflitto fra la pulsione artistica e le esigenze commerciali (Paul deve piegarsi alle richieste del produttore "perché ha bisogno di soldi", cosa che si collega al dover mantenere "una moglie giovane e bella"), anche se Jeremy cerca di darsi arie autoriali affermando "Quando sento parlare di cultura, metto mano al libretto degli assegni" (capovolgendo il senso della celebre frase attribuita a Goebbels, che invece metteva mano "alla pistola", simbolo del disprezzo – appunto! – verso la cultura). Come Ulisse sfida gli dèi, Paul alla fine sfida il produttore (ossia, per un cineasta, il suo dio), anche se la sua è una rivolta vana e improduttiva: alla fine lascerà l'incarico, mentre Lang continuerà a girare sul set perché "bisogna sempre finire quello che si è iniziato".

Se al centro narrativo della pellicola c'è la crisi sentimentale ed esistenziale di una coppia borghese, dal punto di vista formale (ma in fondo anche contenutistico) essa è permeata a più livelli dal tema dell'arte, della cultura e della creatività. Si va dai rimandi alla civiltà mediterranea, con i paesaggi di Capri (una fonte di ispirazione fu il contemporaneo documentario "Méditerranée" di Jean-Daniel Pollet e Volker Schlöndorff) e le molteplici immagini delle statue greco-romane (a volte colorate, come pare che fossero in effetti i marmi che oggi siamo abituati a vedere bianchi), ai riferimenti pittorici (in un'inquadratura, la Bardot sembra la "ragazza con l'orecchino di perla" di Vermeer), dalle architetture classiche alle sculture moderne. Non sarebbe poi un film di Godard se il linguaggio non avesse un ruolo chiave: importante, al riguardo, il personaggio di Francesca (Giorgia Moll), la segretaria e interprete di Prokosch. Ogni personaggio parla infatti in una lingua diversa (inglese, francese, tedesco, italiano), generando un'affascinante babele in cui la ragazza si occupa di mettere ordine, traducendo a beneficio degli spettatori anche le numerose citazioni "colte" e letterarie (Omero, naturalmente, ma anche Dante o Hölderlin). Il film, che si apre con titoli di testa letti ad alta voce anziché scritti sullo schermo (come aveva fatto Orson Welles, con quelli di coda, ne "L'orgoglio degli Amberson"), è essenzialmente diviso in tre parti, che si svolgono rispettivamente a Cinecittà, nell'appartamento romano di Paul e Camille, e infine a Capri (la villa è Casa Malaparte, a Punta Massullo). Degna di nota è la sezione centrale, con solo due personaggi che discutono, litigano e si riappacificano, girata con lunghi piani sequenza e lasciando ampia libertà di improvvisazione ai due attori. Ne risulta un realistico e frustrante dialogo fra marito e moglie sul filo dell'incomprensibilità e dell'incomunicabilità, del velatamente alluso e del non detto. Il produttore italiano Carlo Ponti avrebbe voluto scritturare Sophia Loren e Marcello Mastroianni, mentre Godard suggeriva Kim Novak e Frank Sinatra. Si pensò anche a Monica Vitti, prima che Ponti scegliesse la Bardot e insistette affinché fossero presenti sue scene di nudo (come nella prima sequenza, a pancia in giù sul letto, girata in penombra). Il direttore della fotografia è Raoul Coutard, le musiche sono di Georges Delerue, almeno nell'edizione francese, perché in quella italiana sono invece di Piero Piccioni (e sono più jazz e "scanzonate", anziché classiche e "serie"). Ponti, infatti, rimaneggiò pesantemente la pellicola prima della sua uscita nel nostro paese: furono tagliati venti minuti di girato, cambiati l'inizio e la fine, alterati i nomi dei protagonisti (che riacquistano quelli del romanzo di Moravia: Emilia e Paolo Molteni), ma soprattutto viene svuotato di significato il personaggio dell'interprete Francesca, che diventa inutile visto che tutti parlano in italiano anziché nelle rispettive lingue. Insomma: da vedere, se si può, solo in originale.

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