17 agosto 2022

Irma Vep (Olivier Assayas, 1996)

Irma Vep (id.)
di Olivier Assayas – Francia 1996
con Maggie Cheung, Jean-Pierre Léaud, Nathalie Richard
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Rivisto in divx.

René Vidal (Jean-Pierre Léaud), regista "autoriale" da tempo in declino, è in procinto di girare un remake del classico serial del 1915 "I vampiri" di Louis Feuillade (naturalmente muto e in bianco e nero, come l'originale) scegliendo come protagonista Maggie Cheung (sé stessa), popolare attrice di Hong Kong. Giunta a Parigi, Maggie si ritrova spersa in una città straniera di cui non conosce la lingua e su un set pieno di confusione, dove abbondano tensioni e litigi. Per non parlare del fatto che si trova al centro delle tensioni fra la troupe e un regista in profonda crisi, sia professionale che personale, e delle attenzioni che, secondo feroci gossip, esercita su Zoé, la costumista lesbica (un'ottima Nathalie Richard). Una sorta di "Effetto notte" per Assayas, con cui affronta svariati temi semi-autobiografici e legati allo stato della settima arte in un momento di passaggio dalle velleità autoriali delle Nouvelle Vague (di cui René è uno degli ultimi rappresentanti: non a caso il personaggo è interpretato da Léaud, celebre "alter ego" di Truffaut nel ciclo di Antoine Doinel iniziato con "I quattrocento colpi") al post-modernismo di Tarantino & Co. (esemplificato dalla macchietta del giornalista che intervista Maggie, innamorato di John Woo e del cinema di arti marziali e feroce detrattore del vecchio cinema francese, descritto come "noioso", "intellettuale" e interessato solo al "proprio ombelico": sembra di sentire le stesse critiche che si facevano all'epoca al cinema impegnato italiano, o le parole rivolte da esegeti del cinema "popolare" e "d'azione" contro quello "d'autore"; il paradosso, naturalmente, è che le due cose possono convivere, come ha dimostrato la stessa Maggie nel corso della sua carriera, passando dalle pellicole di Jackie Chan a quelle di Wong Kar-wai). Lo stile di Assayas, per forza di cose, va alla ricerca del realismo, con la macchina a mano, lunghi piani sequenza, musica diegetica, dialoghi improvvisati o che si sovrappongono fra loro in modo fluente; e non mancano momenti intensi e sorprendenti, come quello in cui Maggie, per "entrare nel personaggio", indossa il costume di Irma Vep (una tuta in lattice, aderente e completamente nera, simile a quella di Musidora nel film di Feuillade ma ispirata anche alla Catwoman del secondo "Batman" di Tim Burton) e si aggira per l'albergo dove risiede, entrando persino nella stanza di una turista americana (interpretata da Arsinée Khanjian, moglie e musa di Atom Egoyan!) e rubandole una collana. L'insieme è affascinante, nel ritrarre il caos turbolento di una produzione cinematografica destinata da subito al fallimento: alla fine René abbandonerà il progetto e gli subentrerà un altro regista, José Mirano (Lou Castel), che come prima cosa rinuncerà all'attrice cinese, sostituendola con la sua controfigura. Maggie come sempre è esotica, splendida e vulnerabile. Nel cast anche Bulle Ogier (l'amica di Zoé). Nella colonna sonora spicca "Bonnie and Clyde" cantata da Serge Gainsbourg e Brigitte Bardot. Nel 2022 lo stesso regista ha realizzato un remake autoreferenziale sotto forma di miniserie televisiva (con Alicia Vikander).

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