30 aprile 2020

Titanic (James Cameron, 1997)

Titanic (id.)
di James Cameron – USA 1997
con Leonardo DiCaprio, Kate Winslet
****

Rivisto in DVD.

Il naufragio del RMS Titanic, transatlantico di lusso che calò a picco nella notte fra il 14 e il 15 aprile 1912, durante il suo viaggio inaugurale dall'Inghilterra verso gli Stati Uniti, a causa della collisione con un iceberg che provocò l'allagamento dello scafo e causò la morte di 1500 dei suoi 2200 passeggeri, è narrato attraverso la storia personale di una dei superstiti, la giovane Rose DeWitt (Kate Winslet), che ai giorni nostri la racconta da anziana (Gloria Stuart) all'equipaggio di una nave da recupero impegnata a cercare nel relitto una collana con un preziosissimo diamante, "Il cuore dell'oceano", acquistato per lei dall'allora fidanzato Cal Hockley (Billy Zane). Filo conduttore del suo racconto (e del film) è la storia d'amore "impossibile" fra Rose, facoltosa passeggera di prima classe, e Jack Dawson (Leonardo DiCaprio), spiantato artista che viaggia in terza classe ma che saprà far breccia nel cuore dell'irrequieta ragazza, strappandola a un destino che sembrava già scritto. Mettiamo subito le cose in chiaro: "Titanic" è un capolavoro, oltre che uno dei kolossal di maggior successo del cinema americano, fortemente voluto dal regista-sceneggiatore James Cameron contro tutto e contro tutti: costò uno sproposito (200 milioni di dollari, che all'epoca lo resero il film più dispendioso di sempre) e richiedette il coinvolgimento di non uno ma due grandi studios (la 20th Century Fox e la Paramount, che vollero dividersi le spese e i rischi), ma si rifece al botteghino con gli interessi (è stato il primo film nella storia a superare il miliardo di dollari di incassi; per la precisione arrivò a 1.843 milioni, che divennero poi 2.194 con la successiva riedizione in 3D: un record battuto soltanto dodici anni più tardi da un altro film dello stesso Cameron, "Avatar"). Eppure, prima della sua uscita, non pochi addetti ai lavori prevedevano un sonoro flop, anche per via delle eccessive ambizioni. E in effetti l'enorme successo nelle sale non fu immediato ma montò pian piano: contrariamente alla consuetudine che vede i film registrare la maggior parte del loro incasso nella prima settimana di programmazione, "Titanic" carburò lentamente ma continuò a riempire i cinema per mesi e mesi. A suggellare la sua strepitosa popolarità fu una combinazione di elementi: la grandiosità della pellicola, la maestria tecnica, gli agganci emotivi che facevano appiglio su pubblici diversi (gli appassionati di film d'azione o catastrofici, quelli attratti dalla ricostruzione storica, gli amanti dei kolossal spettacolari, i patiti delle storie d'amore) e naturalmente l'esplosione della "DiCaprio mania" (un aneddoto personale: quando il film giunse al cinema, lo vidi due volte a distanza di circa una settimana. La prima volta la sala era semivuota, ma la seconda, dopo pochi giorni, era già strapiena di ragazzine sognanti, pronte a gridare e a sospirare ad ogni inquadratura ravvicinata degli occhi azzurri del buon Leo).

Il successo e la popolarità, da sempre, hanno anche dei lati negativi. Non solo Cameron e il film stesso si attirarono gli strali snobistici dei cinefili anti-mainstream (compresi i molti ammiratori del regista rimasti irritati dalla sua scelta di abbandonare il cinema di genere, per lo più di fantascienza, che lo aveva reso celebre) e anche di molti spettatori che, pur avendolo segretamente apprezzato, lo denigravano in pubblico liquidandolo come un film buono solo per ragazzine adolescenti (che in effetti contribuirono agli incassi andando in sala a vederlo più volte), ma anche i due protagonisti rischiarono di restarne bollati per sempre: per alcuni anni soprattutto DiCaprio si fece la fama di attore belloccio la cui carriera era dovuta solo a questo unico titolo. Col tempo, però, seppe dimostrare (e lo stesso vale per la bravissima Winslet) di essere un interprete di grande calibro, collaborando con il fior fiore dei registi hollywoodiani (da Scorsese a Tarantino, da Nolan a Spielberg, da Scott a Iñárritu). E naturalmente il film riportò all'attenzione del grande pubblico il "mito" del Titanic, a dire il vero mai veramente tramontato (a parte gli innumerevoli film e romanzi sull'argomento, come la pellicola del 1958 "Titanic, latitudine 41 Nord" di Roy Ward Baker che avrebbe ispirato Cameron in più scene, si pensi solo alla canzone "Titanic" di Francesco De Gregori, dall'album omonimo), anche per via dei tantissimi sottotesti storici, sociali e culturali che portava con sé: la nave colossale e lussuosa, il cui nome tira in ballo addirittura la mitologia greca (i titani dominarono la Terra, prima di essere sconfitti e spodestati dai loro figli, gli dèi), pomposamente soprannominata "l'inaffondabile" e dunque simbolo dell'orgoglio e delle ambizioni dell'uomo; ma anche la divisione in classi al proprio interno, che ne fa un microcosmo dell'intera struttura sociale umana (le scene del film ambientate nell'enorme sala macchine, un livello ancora più in basso della terza classe, ricordano in maniera impressionante quelle delle fabbriche nel "Metropolis" di Fritz Lang, altro film incentrato su questo tema); e ovviamente il contesto cronologico, quell'inizio di un ventesimo secolo che tutti immaginavano foriero di conquiste scientifiche, di progresso e di belle arti (era la Belle Époque, dopotutto!): proprio l'affondamento del Titanic, prima ancora dello scoppio della prima guerra mondiale e della caduta dei grandi imperi, rappresentò un brusco risveglio per tutti coloro che si illudevano di un progresso continuo e di una conquista infinita. Come dice Massimo Polidoro, fu "la fine di una leggenda che sposava la tecnologia alla ricchezza, il materialismo al romanticismo, l'illusione alla fantasia".

Con una durata di oltre tre ore, il film si prende il suo tempo per raccontare tutto quello che ha da dire: si comincia con un prologo ambientato ai giorni nostri, la parte più tecnologica della pellicola e forse la più squisitamente "cameroniana" (il regista è sempre stato attratto dall'esplorazione delle profondità sottomarine, come si evince da titoli quali "Abyss" e dai documentari "Ghosts of the abyss" e "Aliens of the deep"). Un robot-sommozzatore teleguidato ci porta a esplorare il (vero!) relitto del transatlantico, ritrovato nel 1985, mostrandoci ambienti (il parapetto di prua, i saloni, i ponti) e oggetti (il lampadario, il camino, il fermacapelli, la cassaforte con il ritratto), ormai degradati dai batteri o ricoperti dalle alghe, che più tardi rivedremo nuovi fiammanti durante il viaggio inaugurale di 84 anni prima. Protagonisti di questa sezione sono i "cacciatori di tesori" guidati da Brock Lovett (Bill Paxton), che soltanto alla fine del film giungeranno a comprendere finalmente "l'elemento umano" della tragedia. Assai efficace è la trovata di mostrare, attraverso una simulazione al computer, tutte le fasi dell'affondamento della nave: quando poi ci ritroveremo a bordo di essa, sapremo già cosa ci aspetta e questo non farà che accrescere la tensione (un trucco ben noto a Hitchcock: conoscere già qualcosa incrementa la suspense, anziché andare a suo detrimento). Dicevamo della divisione in classi: la forbice non potrebbe essere più ampia di quella fra i due protagonisti, Jack e Rose, il primo in terza e senza un soldo in tasca (ha vinto i biglietti per il viaggio, per sé e l'amico Fabrizio, in una mano fortunata alle carte), la seconda in prima, in una delle cabine più lussuose, colma di gioielli e di oggetti preziosi (fra cui alcuni quadri "acquistati a Parigi": qualche critico si è lamentato della presenza fra questi di opere di Picasso o di Monet che non erano state ancora dipinte o che all'epoca erano già esposte in qualche museo, ma nulla esclude che si tratti di dipinti simili o di versioni alternative degli stessi, andate poi perdute nel naufragio; ben più gravi sono altri errori o anacronismi, come l'accenno a Freud, le costellazioni sbagliate nel cielo – poi corrette nella riedizione del 2012 – o alcuni brani musicali che anccora non erano stati composti). Fidanzata al ricco e arrogante Cal con il beneplacito della madre (Frances Fisher), Rose si sente prigioniera e intrappolata in una vita già scritta e che ovviamente le va stretta, lei che vuole sentirsi libera e indipendente. Indicativa una frase della madre: "L'università serve solo a trovare un buon marito, e questo Rose l'ha già fatto". Nonostante la differenza sociale, l'affinità con Jack sarà totale: dal primo incontro, quando lui sventerà il suo tentativo di suicidio (buttandosi dalla poppa della nave: il luogo opposto a quella prua dove invece si cementerà il loro amore, con l'iconica scena del "volo", appoggiati al parapetto e con le mani distese: "Ti fidi di me?" "Mi fido di te"), ai vari passaggi della loro (breve) relazione: conoscersi meglio (scoprendo i molti punti in comune, a partire dall'amore per l'arte), frequentarsi prima nell'ambiente di lei (la cena in prima classe) e poi in quello di lui (il ballo in terza classe), scoprire di amarsi.

Se pure ha giocato un ruolo ampio e forse decisivo per l'enorme successo del film, la trama romantica rappresenta anche il suo aspetto più scontato e retorico, quello più convenzionalmente hollywoodiano e "costruito a tavolino". Eppure non si può negare la sua efficacia (l'assenza parziale di lieto fine è anche assai commovente) e, in fondo, fa parte del gioco: senza contare che proprio l'ampio spazio dato alla storia sentimentale dei due personaggi, mentre sullo sfondo si dipana una tragedia di proporzioni storiche, imparenta il film con l'altro grande classicone del cinema americano, "Via col vento", tuttora il film con il maggior incasso di sempre se si tiene conto dell'inflazione. Entrambi rappresentano il meglio di quello che Hollwyood ha da offrire, in quanto "fabbrica di sogni" su vastissima scala, al pubblico di tutto il mondo. Ma torniamo alla nostra storia. Se per molti sarà una tragedia, per Rose in un certo senso l'affondamento del Titanic rappresenta una liberazione, l'occasione (grazie anche a Jack, certo) di rompere le catene della sua prigionia e di rifarsi una nuova vita: le fotografie che da anziana porta sempre con sé mostrano le varie tappe di una vita libera e avventurosa, piena di viaggi e di esperienze che non avrebbe certo mai potuto fare se fosse rimasta a fianco di Cal. "Lui mi ha salvato. In tutti i modi in cui una persona può essere salvata", spiegherà, riferendosi a Jack: ma il merito è un po' anche di quel transatlantico che è affondato (per lei) al momento giusto, portandosi dietro gran parte del "mondo di ieri", per dirla alla Stefan Zweig. I segni premonitori sul destino della nave sono presenti, nel film, in numerosi dialoghi sin dall'inizio: dall'armatore Ismay (Jonathan Hyde) che ordina al comandante Smith (Bernard Hill) "Questo viaggio inaugurale del Titanic deve finire in prima pagina", allo stesso Jack che proclama a Fabrizio "La nostra vita sta per cambiare". La sequenza del naufragio occupa l'intera seconda metà della pellicola e si svolge quasi in tempo reale (nella realtà passarono solo due ore e quaranta dall'urto con l'iceberg al completo affondamento), in un crescendo sempre più teso e spettacolare che trasforma il film da romantico a catastrofico. Naturalmente, a seconda del tipo di pubblico, c'è chi ha gradito più la prima parte e chi più la seconda: ma è l'insieme, e la perfetta fusione delle due anime (la vicenda di Jack e Rose continua a dipanarsi anche durante le varie fasi del naufragio), a renderla una pellicola eccezionale.

L'iceberg compare di colpo davanti allo scafo, in una notte serena e senza vento, con il mare "piatto come una tavola", sorprendendo chi è a bordo quasi come il pubblico in sala (che magari, preso dalla fuga d'amore dei protagonisti e dal conflitto con il "cattivo" Cal, si era quasi dimenticato cosa stava per arrivare). La falla sul fianco provoca l'allagamento dello scafo e della sala macchine, dando il via al lento sprofondare della nave. Di colpo ci torna in mente la simulazione al computer vista in precedenza, e sappiamo che il Titanic si inclinerà fino a spezzarsi in due. Equipaggio e passeggeri, chi prima e chi dopo, passano dall'iniziale incredulità al rendersi conto della situazione (in modo non dissimile dalla situazione che stiamo vivendo in questi giorni, dovuta all'epidemia di Coronavirus: c'è chi rifiuta di accettare la realtà e le sue conseguenze e chi la comprende quasi subito). Con grande anticipo ci è stato anche detto che le scialuppe non basteranno per tutti i passeggeri a bordo: mentre scoppia il caos e il panico, e assistiamo a piccoli e grandi episodi di codardia o di coraggio, verrà data la preferenza a donne e bambini, ma anche ai passeggeri di prima classe rispetto agli altri (Cal afferma che deve salvarsi "la metà giusta"). La tragedia monta inesorabilmente, il dramma collettivo si fonde con quello personale dei due protagonisti, mentre la regia costruisce una concretezza e una tensione da grande film d'azione e d'avventura, per esempio nella sequenza in cui Rose deve liberare Jack, falsamente accusato di furto e ammanettato, mentre sale il livello dell'acqua gelida (si nota tutta la maestria che Cameron ha accumulato e sfoggiato in lavori precedenti come "Aliens" e "Terminator"). Il destino dei due innamorati rimane in ballo fino all'ultimo, così come quello degli altri personaggi. Non tutti si salveranno, e a decidere chi lo farà non sarà il loro ruolo nella storia: ci sono personaggi negativi fra i superstiti (Cal, Ismay) e positivi fra i deceduti (Jack, l'ingegnere Andrews (Victor Garber) che rimane a morire sulla nave, così come il comandante Smith). Grazie anche alla fotografia di Russell Carpenter, ora così scura e fredda (quando nella prima parte era calda e avvolgente, capace di catturare spettacolari tramonti), percepiamo quanto l'acqua sia gelida. Le immagini ci mostrano la disperazione delle persone, di chi è stato abbandonato a morire, ma anche di chi è condannato a sopravvivere. Per inciso, il "mito" dell'orchestra che avrebbe continuato a suonare anche durante l'affondamento, incurante del naufragio, è parzialmente sbufalato: qui i membri del quartetto d'archi continuano a suonare sì, ma lo fanno consapevolmente, su ordine del capitano, per evitare il panico e per esorcizzare a proprio modo la fine imminente tramite il potere dell'arte.

Anche Jack, a sorpresa (essendo un personaggio immaginario, non legato dunque alla realtà degli eventi storici, poteva in fondo salvarsi, come ci si aspetterebbe da una pellicola mainstream con lieto fine hollywoodiano), lentamente ci dà l'addio mentre svanisce nelle scure profondità dell'oceano. La scena è ad effetto, ma chissà perché il ragazzo non ha potuto salire sulla zattera improvvisata che porta in salvo Rose, una dei soli 6 superstiti fra i 1500 passeggeri finiti in acqua (per non parlare del fatto che lei si tiene addosso i vestiti ghiacciati). E dopo tante immagini terribili dei cadaveri gelati in mare (anche una mamma col bambino!) e la scomparsa di Jack, quasi irreale, il racconto di Rose termina: chi l'ha ascoltato (nella "realtà filmica" come in sala) è in preda a forti emozioni, e sembra quasi di uscire da un film per tornare in un altro. Come il cacciatore di tesori, ci rendiamo conto di non aver mai veramente compreso cos'è stato il Titanic prima d'ora. La penultima scena, in cui l'anziana Rose getta il diamante in mare (filo conduttore di tutta la pellicola, ma in fondo un MacGuffin), ovvero restituisce all'oceano il suo "cuore", è una conclusione un po' scontata ma inevitabile. L'ultima è invece riservata all'ennesimo "passaggio" fra il passato e il presente, dal relitto sommerso alla nave del suo splendore primigenio, con Rose (defunta?) che viene accolta a bordo da tutti coloro che sono scomparsi nel naufragio, Jack in primis. La commozione sale a livelli esorbitanti e partono le note di "My Heart Will Go On", la popolarissima canzone di Céline Dion che si è legata indissolubilmente a questa pellicola, composta dall'autore della colonna sonora James Horner (inizialmente contro il volere di Cameron, che non voleva alcun brano vocale sui titoli di coda: ma cambiò idea dopo averla sentita) e il cui tema melodico aveva già accompagnato i momenti più romantici della vicenda di Jack e Rose. Capiamo che la storia è finalmente finita: una storia che ci ha coinvolti e tenuti avvinti per oltre tre ore, un'esperienza cinematografica come poche, un capolavoro (senza mezzi termini) del cinema epico, colossale, catastrofico e romantico, di una Hollywood al suo meglio. E anche un film d'altri tempi: non a caso, appunto, il paragone che viene più spontaneo da fare è quello con un titolo del 1939, "Via col vento". Per realizzarlo c'è voluto un "autore" visionario come Cameron, che ne ha fatto un proprio pet project, perché i dirigenti delle major (ormai pallidi simulacri di quelli del passato) non ne avrebbero mai avuto la visione, il desiderio o il coraggio di pensarlo o di produrlo da soli.

Parliamo un po' anche degli inevitabili aspetti tecnici: in un'epoca in cui il digitale era riservato soltanto ad effetti speciali aggiuntivi, fu necessario costruire un modello in scala 1:1 dell'intero Titanic (in realtà soltanto del 90% della nave, visto che alcune sezioni considerate ridondanti furono omesse), e le riprese vennero effettuate all'interno di una cisterna (una "horizon tank", che permette cioè di simulare l'oceano in tutte le direzioni) contenente decine di milioni di litri d'acqua. La lavorazione, lunga e faticosa, durò sei mesi, molto di più se si considera anche l'immenso lavoro di post-produzione. Quanto agli interpreti, il casting seppe anche andare contro alcuni luoghi comuni: se non c'è dubbio che DiCaprio fu scelto per l'aspetto efebico (e gli occhi azzurri!), la Winslet appare ben più "paffutella" della tipica eroina hollywoodiana, e la sua personalità guida la vicenda anche più di quella del suo co-protagonista. In ogni caso, l'alchimia fra di loro è innegabile: indimenticabili scene come quella (poi iper-parodiata, a partire da "Rat-Man") in cui lui la ritrae nuda, sul divano, con il diamante addosso e basta, un vero momento liberatorio per una fanciulla che tutti, tranne appunto Jack, vogliono reprimere (fu la prima scena che i due girarono insieme, fra l'altro). Entrambi gli interpreti, come già detto, si confermeranno grandi attori e avranno una carriera di successo (tornando occasionalmente a recitare in coppia, come nell'ottimo "Revolutionary Road" di Sam Mendes). Fra i molti ruoli minori, da ricordare Kathy Bates nei panni di Molly "l'inaffondabile", una dei pochi passeggeri di prima classe a prendere Jack in simpatia (d'altronde anche lei, in quanto "nuova ricca", è vista con snobismo e dall'alto in basso dagli aristocratici) e David Warner in quelli di Lovejoy, il valletto di Cal, vera spina nel fianco dei nostri eroi. Nominato a 14 premi Oscar (record di sempre, insieme a "Eva contro Eva" e "La La Land"), il film ne vinse ben undici (anche questo un record, spartito con "Ben-Hur" e "Il Signore degli Anelli: Il ritorno del re"): miglior film, regia, fotografia, montaggio, scenografia, costumi, sonoro, montaggio sonoro, effetti speciali, colonna sonora e canzone (gli sfuggirono quelli per l'attrice (Winslet), l'attrice non protagonista (Stuart) e il trucco; né DiCaprio né la sceneggiatura furono invece candidati). Nel ricevere la sua statuetta, Cameron ripetè sul palco una delle frasi più celebri della pellicola, quel "Sono il re del mondo!" pronunciato da Jack in preda all'entusiasmo per essere a bordo della nave e fare parte, a suo modo, della storia. Nel 2012, in occasione del centesimo anniversario del naufragio del Titanic, il film è stato riproposto nelle sale in versione 3D.

4 commenti:

In The Mood For Cinema ha detto...

Film indimenticabile. Stupendo al netto delle derive sentimentali che comunque l'hanno reso il colossal che è. Loro due, ovviamente, non di discutono: due attori mastodontici. Anche io, all'epoca ragazzina preadolescente, sono andata al cinema due volte a guardarlo, ma perché mi commuoveva come poche cose, non tanto per Di Caprio che non mi è mai parso così avvenente come appariva a tutti praticamente.

Marisa ha detto...

Fai bene a riproporre in tempo di pandemia questo film, in cui l'orgoglio umano per le sue conquiste viene drammaticamente messo a terra, mostrando e ricordandoci tutta la fragilità e la caducità delle nostre pur ammirevoli "opere" e del progresso della tecnologia e della scienza. Non penso ad una "punizione divina", come viene proposto dalla Bibbia nel caso del diluvio universale o nella caduta della torre di Babele, e come qualcuno ha riproposto dopo la caduta delle Torri Gemelle, ma semplicemente all'avvertimento che troviamo iscritto sul frontone del tempio di Apollo a Delphi, "Niente di troppo", e alla HYBRIS che accompagna sempre l'arroganza e la sfida ad ogni limite... una specie di legge di natura che rovescia ogni tanto i piani umani.
"Chi troppo in alto sale..."

Christian ha detto...

Alessandra: è un film che davvero fa "commuovere" tutti, magari ciascuno per motivi diversi (chi per la trama sentimentale, chi per l'aspetto catastrofico, chi semplicemente per la maestria tecnica cinematografica che tiene incollati per tre ore allo schermo e fa venire voglia, appunto, di rivederlo più volte a distanza di pochi giorni)!

Marisa: è incredibile come tutto, nella storia del Titanic (dal nome stesso della nave, al suo soprannome, "L'inaffondabile"), sembri studiato apposta come insegnamento contro la Hybris umana. Forse anche per questo la vicenda risuona così tanto ancora oggi nei nostri cuori ed è diventata un vero e proprio mito (nel senso mitologico!) moderno.

Marisa ha detto...

Eppure sembra che dimentichiamo, o meglio "rimuoviamo" così facilmente ogni lezione che la storia ci impartisce! lo chiamiamo "progresso"!