21 aprile 2020

Sukiyaki western Django (T. Miike, 2007)

Sukiyaki Western Django (id.)
di Takashi Miike – Giappone 2007
con Hideaki Ito, Kaori Momoi
*1/2

Visto in TV.

Un misterioso pistolero solitario (Hideaki Ito) giunge in un villaggio conteso fra il clan degli Heike e quello dei Genji (rispettivamente vestiti di rosso e di bianco), in guerra fra loro ed entrambi alla ricerca di un fantomatico tesoro nascosto. Il titolo del film esplicita già tutto: siamo di fronte a una rilettura degli spaghetti western in salsa nipponica ("Sukiyaki" è un tipico piatto giapponese), con la presenza di Quentin Tarantino nel cast (nel ruolo del narratore) a condire il tutto con una pennellata di post-modernismo. E infatti si sguazza nel regno del pop e del citazionismo, spesso fine a sé stesso. La fotografia iperfiltrata, le esplosioni di violenza e di splatter, l'atteggiamento dei personaggi, la mancanza di realismo (con costumi e quinte teatrali) svelano il desiderio del cineasta di esibire soprattutto il proprio stile (anzi, un miscuglio di stili, alla "Kill Bill") e i propri interessi, anziché raccontare una storia. La trama è infatti esile, incoerente, poco originale, e i personaggi hanno una caratterizzazione risibile o inesistente. Nell'azione violenta e ipercinetica e nella confusione narrativa e visiva si mescolano suggestioni storiche e moderne, occidentali e orientali: cowboy armati di pistola (o di mitragliatrici!) si battono con samurai con la spada, case e saloon da villaggio western ospitano paraventi e dipinti orientali, yakuza con i tatuaggi citano Shakespeare (il capo degli Heike si fa chiamare Enrico IV, i genitori del piccolo Heihachi sono di fatto Giulietta e Romeo). Una commistione che all'inizio può divertire, ma a lungo andare stanca. Anche perché la narrazione non offre appigli, gli eventi appaiono quasi random e lo stesso protagonista non fa praticamente nulla prima del finale (quando si batte con l'ultimo nemico rimasto, sotto la neve). Persino i molti rimandi agli spaghetti western (di Leone e Corbucci) sono appunto filtrati da un approccio pop e citazionista, alla Tarantino, che guarda solo in superficie (ed è un peccato: in fondo "Per un pugno di dollari" era già una rilettura de "La sfida del samurai" di Kurosawa, anch'esso qui citato, quindi si sarebbe potuti tornare al punto di partenza). Il tutto resta pertanto un'esperienza vuota, a differenza di altre pellicole di Miike che, pur estreme o bizzarramente "folli" anche più di questa, un sottotesto sociale o psicologico ce l'avevano ("Visitor Q", "Ichi the killer", "Audition"...). Quanto all'esperienza straniante di vedere attori asiatici vestiti da cowboy, non è nulla che non si fosse già fatto (meglio) in passato, per esempio nel thailandese "Le lacrime della tigre nera". Il legame col "Django" di Corbucci viene spiegato sui titoli di coda (cinque anni più tardi, lo stesso Tarantino firmerà una sua rilettura del personaggio, "Django unchained"). I clan Heike e Genji sono esistiti veramente (chiamati anche Taira e Minamoto, si batterono alla fine del dodicesimo secolo), ma quelli che si vedono sullo schermo, a parte i nomi, non hanno alcun legame con la realtà storica (e i loro colori, il bianco e il rosso, non recano nessun riferimento politico, pur essendo gli stessi – per esempio – delle fazioni della guerra civile russa). Nel cast anche Koichi Sato, Yusuke Iseya, Yoshino Kinora e Masanobu Ando. Kaori Momoi è la pistolera Ruriko, detta "Bloody Benten" (dal nome di una dea guerriera). Teruyuki Kagawa è lo sceriffo che parla con sé stesso.

0 commenti: