6 novembre 2019

Full metal jacket (Stanley Kubrick, 1987)

Full Metal Jacket (id.)
di Stanley Kubrick – USA/GB 1987
con Matthew Modine, Lee Ermey
***1/2

Visto in divx.

Il duro addestramento nel corpo dei marines di un giovane coscritto (Matthew Modine), insieme ad altre reclute, e poi le sue esperienze sul campo di battaglia durante la Guerra del Vietnam, dapprima come giornalista militare nelle retrovie e quindi come combattente in prima linea. L'ennesimo capolavoro di Kubrick nel genere bellico (il più frequentato dal grande regista, che già vi aveva firmato "Paura e desiderio", "Orizzonti di gloria" e, se vogliamo, "Il dottor Stranamore" e "Barry Lindon") è un raggelante ritratto della follia che circonda l'apparato militare, ispirato a un romanzo autobiografico di Gustav Hasford ("The Short-Timers", in italiano "Nato per uccidere"), che ha collaborato alla sceneggiatura. Diviso essenzialmente in due parti, il film è entrato nell'immaginario collettivo soprattutto per la prima sezione (che dura circa quarantacinque minuti), quasi un mediometraggio a sé stante: quella dell'addestramento dei soldati nel campo di Parris Island, in Carolina del Sud, agli ordini di un severissimo istruttore, il sergente maggiore Hartman (Ronald Lee Ermey), che pur di farne dei "duri" ("Non voglio dei robot, ma dei killer") li tartassa con esercizi e punizioni e li umilia verbalmente in continuazione, a partire dai degradanti nomignoli che affibbia loro per identificarli durante il loro soggiorno nel campo (il protagonista, per il suo spirito sarcastico, rimarrà il "soldato Joker" per tutto il film). A essere preso particolarmente di mira, come bersaglio preferito, è un giovane contadino sempliciotto, bonaccione e (purtroppo per lui) sovrappeso, subito rinominato "Palla di lardo" (Vincent D'Onofrio), il più fragile e il meno dotato del gruppo. Hartman riuscirà sì a piegarlo, a disumanizzarlo e a trasformarlo in una macchina da guerra, ma a prezzo della sua sanità mentale.

Se la sezione dell'addestramento è entrata nell'immaginario collettivo (sin dalla sequenza iniziale, quella della rasatura dei capelli a zero con la macchinetta: un rimando al musical "Hair"?) e può essere giustamente considerata come il pezzo forte del film, con il suo esasperato militarismo (talmente agghiacciante da sconfinare spesso nella satira: si pensi al rapporto che i soldati devono instaurare con il proprio fucile, dedicandogli preghiere o chiamandolo con un nome da ragazza), anche quella successiva, pur meno dirompente e originale (ma comunque esteticamente notevole), non è da meno. La guerra è spogliata di qualsiasi eroismo e rivestita invece di disillusione, antiretorica (che emerge nelle "interviste" fatte ai soldati al fronte), incoscienza e infantilismo (basti pensare al finale, con i marines che vanno in battaglia cantando la "Marcia di Topolino": poco prima hanno ucciso a sangue freddo una giovane cecchina vietnamita che era, lei sì, poco più di una bambina). D'altronde gli stessi americani, come abbiamo visto nella prima parte, non erano altro che "bravi ragazzi" costretti spesso controvoglia a trasformarsi in macchine per uccidere, "uomini indistruttibili e senza paura". A farci da guida in questo inferno è lo sguardo sarcastico e disincantato di Joker (in un certo senso il personaggio più equilibrato di tutti), le sue citazioni di John Wayne, il suo humour nero ("Volevo tanto vedere l'esotico Vietnam, il gioiello dell'Asia orientale. Volevo incontrare gente interessante, stimolante, con una civiltà antichissima... e farli fuori tutti"), le sue ambiguità e contraddizioni, come la scelta di sfoggiare un distintivo con il segno della pace e contemporaneamente scrivere "Born to kill" sul proprio elmetto: un riferimento alla dualità dell'essere umano (una "teoria junghiana", spiega a un esterrefatto superiore).

La regia di Kubrick è tagliente ed efficace, con il consueto ampio uso di piani sequenza e carrelli. Le scene di battaglia in Vietnam furono ricostruite e girate in Gran Bretagna: la lunga sequenza dell'assalto del cecchino fra i palazzi della città semidistrutta e in fiamme, in particolare, presenta uno scenario urbano apocalittico che ispirerà, nella sua estetica, tanti videogiochi. La colonna sonora comprende diverse canzoni del periodo in cui si svolge la storia (gli anni sessanta), da "Hello Vietnam" di Johnnie Wright (sui titoli di testa) a "These Boots Are Made for Walkin'" di Nancy Sinatra, da "Surfin' Bird" dei Trashmen a "Paint It Black" dei Rolling Stones. Modine (qui con caratteristici occhiali con la montatura in metallo) aveva già interpretato un soldato in caserma quattro anni prima, nel bel film "Streamers" di Robert Altman. Lee Ermey era stato un vero istruttore di marines durante la Guerra del Vietnam: la sua interpretazione così sopra le righe, urlata e piena di volgarità (gran parte della quale fu scritta o improvvisata sul set: una rarità per Kubrick, che si fidò dell'attore in nome dell'autenticità), ha conquistato il pubblico ed è diventata oggetto di numerose parodie (lo stesso Ermey parodiò sé stesso in "Sospesi nel tempo"). Nel cast anche Adam Baldwin (Animal), Arliss Howard (Cowboy) e Kevyn Major Howard (Rafterman). Il titolo del film fa riferimento a un tipo di pallottole blindate (o "incamiciate" con un metallo più duro). Una nomination agli Oscar per la miglior sceneggiatura non originale. Rispetto alla versione uscita originariamente nelle sale, la riedizione della Warner altera, chissà perché, alcune battute del doppiaggio italiano (come la frase sul finale, "Fottuta dedizione al dovere", che diventa un più banale "Adesso sei un duro, Joker") ed elimina la localizzazione della marcia di Topolino sulle scene conclusive (che torna ad essere in inglese). Qui un confronto fra le due versioni.

2 commenti:

Alessandra ha detto...

Inutile sprecare la parola capolavoro, ma con Kubrick quasi sempre è la prima che viene in mente. Film immenso e me l'hai fatto rivivere in maniera vivida, come se l'avessi rivisto oggi.
Hai visto per caso, a proposito di Kubrick, Doctor Sleep?

Christian ha detto...

Esatto, ogni film di Kubrick è a suo modo, e nel suo genere, un capolavoro!
"Doctor Sleep" non l'ho ancora visto, sinceramente mi ispira anche poco, ma se mi capiterà l'occasione lo guarderò prima o poi...