The program (Stephen Frears, 2015)
The program (id.)
di Stephen Frears – GB/Francia 2015
con Ben Foster, Chris O'Dowd
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Visto in TV.
Il film racconta quello che fu definito "il piu sofisticato programma di doping nella storia dello sport", messo in piedi dal ciclista Lance Armstrong (Ben Foster) per vincere sette Tour de France consecutivi (dal 1999 al 2005), che poi gli furono revocati. Basato sul libro "Seven Deadly Sins" del giornalista David Walsh (qui interpretato da Chris O'Dowd e vero eroe positivo della storia, in contrapposizione al "cattivo" Armstrong), la pellicola è quasi una docu-fiction, visto che si limita a riproporre gli eventi (ricostruendoli con attori) e rinuncia a "scavare" nei personaggi, soprattutto in Armstrong stesso, di cui – a parte l'arroganza e la smisurata ambizione – non veniamo a sapere nulla che non riguardi le corse e il doping. Affidandosi alle pratiche illegali del medico sportivo Michele Ferrari (Guillaume Canet) e radunando attorno a sé una squadra di corridori disposti a tutto pur di vincere, Armstrong eluse per anni i controlli antidoping in maniera calcolata e scientifica, rimanendo sempre un passo avanti agli altri. E nel frattempo divenne un vero e proprio idolo delle folle, un modello di vita anche al di fuori delle corse, grazie ai suoi discorsi ispirazionali e alla sua fondazione benefica contro il cancro (lui stesso fu operato ai testicoli, prima di iniziare la sua cavalcata vittoriosa). Interessante come ricostruzione degli eventi e come sguardo su un mondo che dovrebbe essere di sana competizione e invece è fatto di menzogne e inganni, ottimi gli attori (Jesse Plemons è il gregario Floyd Landis, Lee Pace è l'agente Bill Stapleton, Denis Ménochet è il direttore sportivo Johan Bruyneel, Dustin Hoffman ha un cameo nel ruolo dell'assicuratore Bob Hamman) e belle le riprese delle tappe di montagna, con le alpi sullo sfondo: ma la sceneggiatura semplifica molto il tema del doping (di cui mostra una visione parecchio ingenua: basta assumere l'EPO e si vince) e, come detto, non approfondisce i personaggi (forse con l'eccezione di Landis, di cui mostra i sensi di colpa dovuti al suo background religioso). Sui titoli di coda, "Everybody knows" di Leonard Cohen.
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