L'uomo che uccise Don Chisciotte (T. Gilliam, 2018)
L'uomo che uccise Don Chisciotte (The man who killed Don Quixote)
di Terry Gilliam – GB/Spa/Fra/Por/Bel 2018
con Adam Driver, Jonathan Pryce
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Visto al cinema Colosseo, con Marisa.
Mentre si trova in Spagna per la lavorazione di uno spot pubblicitario, il cinico e disilluso regista Toby Grisoni (Adam Driver) scopre che Javier (Jonathan Pryce), l'anziano ciabattino che dieci anni prima aveva interpretato per lui il ruolo di Don Chisciotte in un film studentesco girato in quegli stessi luoghi, è impazzito e crede di essere davvero il leggendario personaggio di Cervantes. Convinto che Toby sia Sancho Panza, il vecchio lo coinvolgerà nelle proprie illusioni, trascinandolo con sé in una serie di disavventure picaresche in una campagna arcaica e religiosa, a metà strada fra il sogno e la realtà, fino a una folle serata in una festa in costume nel castello di un oligarca russo. Testamento della creatività e della forza di volontà di Gilliam, nonché summa di tutto il suo cinema (per dirne alcune: la (con)fusione fra immaginazione e realtà viene da "La leggenda del re pescatore", la serie di peripezie fantastiche ed esagerate da "Le avventure del barone di Munchausen", il medioevo grottesco e parodistico da "Monty Python e il sacro Graal"), il film esce finalmente nelle sale dopo una lunghissima gestazione, grane finanziarie e legali e una ventina d'anni di tentativi, problemi e incidenti di ogni genere (raccontati con dovizia di particolari nel documentario "Lost in La Mancha", che mostra il dietro le quinte delle riprese del 2000, quando gli attori protagonisti avrebbero dovuto essere Johnny Depp e Jean Rochefort). Ed è curioso ricordare come anche un altro celebre regista visionario e indipendente, Orson Welles, abbia lavorato per anni a un "Don Chisciotte", nel suo caso rimasto incompiuto. Caotico, diseguale, confusionario, colorato, sopra le righe, con una messinscena elaborata e barocca, il film tocca i temi da sempre cari al cineasta americano, su tutti la potenza della fantasia e dell'immaginazione: è evidente come per Gilliam fosse irresistibile la fascinazione per un personaggio come Don Chisciotte, che viene qui visto come un archetipo immortale, che si reincarna continuamente per continuare a vivere sulla faccia della Terra, anche a distanza di secoli. D'altronde, le avventure di Chisciotte erano sin dall'inizio il prodotto della sua folle fantasia, il desiderio di mantenere in vita l'epopea cavalleresca anche in tempi moderni, in un mondo cambiato e dove le antiche regole della cortesia e dell'onore non esistono più (siamo ora in un mondo che vive nel timore dei terroristi musulmani, o dove i ricchi, con i loro abusi e le loro prepotenze, fanno il bello e il cattivo tempo, "giocando" a ricostruire un medioevo farlocco e stereotipato). Che proprio un regista, ovvero un uomo che per mestiere crea fantasie e illusioni, sia destinato a rinverdire i fasti di Don Chisciotte è dunque assolutamente coerente. Adam Driver si cala nella parte che avrebbe dovuto essere di Johnny Depp imitandone il modo di recitare, tanto che in numerose scene è difficile non pensare proprio a lui. L'ottimo Pryce è un habituè di Gilliam, avendo recitato già in "Brazil", "Munchausen" e "I fratelli Grimm". Nel resto del cast si riconoscono Stellan Skarsgård (il produttore), Olga Kurylenko (la moglie del capo) e Rossy de Palma (una contadina). Joana Ribeiro è Angelica, la "Dulcinea" del caso, Óscar Jaenada il misterioso gitano.
2 commenti:
Mi sono ritrovata alla fine come se il tempo fosse volato, segno che mi è piaciuto molto. La figura di Don Chisciotte spicca su tutte le ipocrisie e i giochi di potere del nostro "pazzo" mondo e ci obbliga a chiederci cosa è veramente la follia...
Meno male che qualche Don Chisciotte gira ancora per il mondo...
Certo che fare un film su Don Chisciotte ha in sé stesso qualcosa di donchisciottesco... Non a caso la lavorazione del film è stata così travagliata, e anche altri cineasti ci hanno provato senza troppo successo...
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