Lo straniero (Luchino Visconti, 1967)
Lo straniero
di Luchino Visconti – Italia 1967
con Marcello Mastroianni, Anna Karina
***1/2
Visto in divx.
Nell'Algeria coloniale francese, il modesto impiegato Arturo Meursault (Mastroianni) uccide "per caso" un giovane arabo. Si consegna alla polizia e sarà condotto in tribunale. Qui il dibattimento diventa un processo alla sua vita, in particolare alla sua presunta insensibilità in occasione della recente morte della madre in un ospizio fuori città. È un processo di stampo etico e moralista, dove l'indifferenza di Meursault e il suo scarso attaccamento alla madre vengono visti come disinteresse per la patria, i valori religiosi e gli ideali dell'intera società. Dal romanzo esistenzialista di Albert Camus (sceneggiato dal regista con Suso Cecchi D'Amico), uno dei film esteticamente più sobri e minimalisti di Visconti. La prima metà è dedicata alla confessione di Meursault, e ne fornisce il ritratto di un uomo mite, senza volontà o ambizioni e apparentemente senza sentimenti, ma in realtà semplicemente uno "straniero" che vive in un mondo in cui non sa o non vuole integrarsi, dove nulla lo interessa davvero ("Per me è lo stesso" è il suo mantra, che si parli di amore o di lavoro). Eppure ha una donna (Maria, l'ex collega interpretata da Anna Karina), degli amici (Raimondo, un poco di buono: è lui, avendone picchiato la sorella, che scatena l'ira dell'arabo che poi Arturo uccide), delle relazioni (il vicino di casa con il cane, il datore di lavoro). Agli occhi altrui appare però vuoto, anestetizzato, difficile da comprendere. E naturalmente non crede in Dio, per la disperazione del procuratore che lo accusa (Georges Wilson) e lo sconcerto del prete che lo visita in galera (Bruno Cremer). Tanto basta per ritrarlo come un "mostro" abietto agli occhi della società (e della giuria) e per condannarlo alla pena capitale (la sua colpa sembra più quella di non aver pianto al funerale della madre che quella di aver ucciso l'arabo). Una condanna che accetterà con la stessa indifferenza e noncuranza, vista l'ineluttabilità della morte. La parte del protagonista sarebbe dovuta andare inizialmente ad Alain Delon, ma Mastroianni è perfetto e misurato, con il suo sguardo vuoto e il suo flusso di pensieri che donano alla pellicola un andamento quasi onirico, come se la vicenda non fosse ambientata nella nostra realtà ma in un territorio di confine fra l'esistenza e la sua negazione. D'altronde Mersault è letteralmente uno straniero, un uomo diviso a metà, fra l'Europa e l'Africa, né francese né algerino, senza una vera patria o vere radici. La regia asciutta di Visconti e la fotografia di Giuseppe Rotunno illustrano l'irrealtà dell'ambiente alla perfezione. Interessante anche la musica spettrale ed evocativa di Piero Piccioni. Bernard Blier è l'avvocato difensore. Da notare come il doppiaggio presenti i nomi italianizzati (Arturo, Raimondo, ecc.), provenienti forse dalla prima traduzione del romanzo.
3 commenti:
Visconti è uno dei pochi registi che riesce a fare dei bei film, a volte capolavori, dalla grande letteratura senza stravolgerne il senso, anzi aiutando con le immagini a penetrare in profondità. Vedi "Il Gattopardo", "Morte a Venezia"...
Sì, in questo è un vero maestro!
Questo film mi è ignoto. Da recuperare!
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