Il gioco delle coppie (Olivier Assayas, 2018)
Il gioco delle coppie, aka Non-fiction (Doubles vies)
di Olivier Assayas – Francia 2018
con Guillaume Canet, Juliette Binoche
**1/2
Visto al cinema Colosseo, con Marisa, in originale con sottotitoli (rassegna di Venezia).
Pellicola corale con cui Assayas riflette sulle trasformazioni del panorama editoriale – e culturale in generale – ai tempi di internet e del digitale. Alain (Guillaume Canet) è il curatore di una storica e prestigiosa casa editrice. Leonard (Vincent Macaigne) è uno scrittore che basa tutti i suoi romanzi su episodi autobiografici. Selena (Juliette Binoche), la moglie di Alain, è un'attrice che recita da anni in una fortunata serie televisiva. Valérie (Nora Hamzawi), la compagna di Leonard, è un'attivista politica che si dà da fare per sostenere un candidato populista. La giovane Laure (Christa Théret) viene assunta per occuparsi dello "sviluppo digitale" della casa editrice. Alta densità di dialoghi (è un film essenzialmente parlato, con una successione di scenette dall'impianto quasi teatrale) e vicende che si incrociano (con molti tradimenti: Alain diventa l'amante di Laure, Selena lo è di Leonard da anni), presentate con toni leggeri e spigliati, una forte ironia di fondo che scherza sugli intellettuali (e il modo di atteggiarvisi: vedi Leonard che nel suo romanzo finge di aver avuto un'esperienza sessuale durante la proiezione de "Il nastro bianco" di Haneke, quando invece è accaduto durante un film di "Star Wars") e affronta i temi del cambiamento nella comunicazione, presentando i punti di vista di tutti senza prendere posizione (il che può essere un pregio ma anche un difetto). Non tutti i personaggi sono sviluppati adeguatamente (bene Leonard, anche se è una figura un po' caricaturale e macchiettistica; meno convincente Alain, che pure è l'alter ego del regista): in fondo sono tutti intellettuali superficiali in ogni cosa che fanno (persino nell'amore e nei tradimenti, che non sfocieranno mai in tragedia). In ogni caso un film garbato e simpatico, ironico e mai gridato, benché alla resa dei conti abbia forse le polveri bagnate e non dica nulla di veramente interessante o sconvolgente sulla rivoluzione digitale in atto. Tante le strizzatine d'occhio (l'autocitazione di Juliette Binoche) e i riferimenti letterari, cinematografici o culturali (da "Luci d'inverno" di Bergman al "Gattopardo").
2 commenti:
La forza del film sta forse proprio nella possibilità di prendere coscienza dell'enorme superficialità e dell'inutilità di certi dibattiti tra "intellettuali", visti anche nell'amoralità e insulsaggine della loro vita privata, dove anche l'amore è solo un gioco sterile e per nulla divertente...
Esatto, è un ambiente dove si parla tanto per non dire in fondo nulla di interessante o di definitivo. Comunque un film gradevole, nella sua leggerezza, ma forse arriva già in ritardo di qualche anno persino nella sua analisi.
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