8 settembre 2012

Glory to the filmmaker! (T. Kitano, 2007)

Glory to the filmmaker! (Kantoku, banzai!)
di Takeshi Kitano – Giappone 2007
con Takeshi Kitano, Tohru Emori
**

Visto in divx alla Fogona, in originale con sottotitoli.

Il secondo capitolo della trilogia autobiografica di Kitano sull'arte (o meglio, sul fallimento artistico) comincia con una sorta di autoanalisi (che si tramuta in una riflessione metacinematografica) e prosegue nello stile del blob demenziale, goliardico e grottesco già sperimentato in "Getting any?" e caratteristico anche di parte dei suoi show televisivi. Se in "Takeshis'" aveva "frammentato" la propria personalità, qui procede – con lucida consapevolezza – a distruggerne i frammenti, uno dopo l'altro. L'incipit è indicativo: dopo che il regista si è fatto sostituire a un check-up medico da un pupazzo con le sue sembianze (elemento che continuerà a ricorrere per l'intero film: di fronte a ogni difficoltà, un Kitano senza idee non sa far altro che trasformarsi in un fantoccio), una voce narrante ci introduce alla crisi personale e artistica del nostro eroe, che avendo incautamente dichiarato in un'intervista di non voler più realizzare film sui gangster (nonostante le pellicole sulla yakuza siano le sue preferite e il suo marchio di fabbrica) non sa più in che direzione proseguire la propria carriera ed è alla disperata ricerca di un successo commerciale. Le prova tutte, con risultati disastrosi (stroncature da parte della critica o del pubblico, progetti abbandonati per i motivi più disparati): il film alla Ozu, in bianco e nero, sui problemi della gente comune (girato in modo esilarante: anche le inquadrature e il modo di parlare dei personaggi sono identici alle pellicole del grande maestro!); la love story strappalacrime oppure tragica; il film ambientato nostalgicamente negli anni '50, l'epoca della sua infanzia (uno spezzone mica male, con gli scorci di vita dei bambini nelle periferie disadattate che mi hanno ricordato certe sequenze di "20th Century Boys"!); l'horror orientale (genere che "spesso viene copiato da Hollywood"!); il film in costume, o chambara (il narratore ricorda che dei dodici film girati finora da Kitano uno solo, "Zatoichi", è stato un successo al botteghino in Giappone), nello specifico una fumettosa storia di ninja; e infine la fantascienza. Se inizialmente ci si stanca un po' di fronte al susseguirsi di frammenti, con la storia che ricomincia sempre diversa (e spesso non va a concludersi), l'episodio fantascientifico prende invece corpo e si sviluppa per tutta la seconda metà della pellicola, anche se in un crescendo di nonsense e di situazioni grottesche e surreali, corrispettivo – come ha dichiarato lo stesso Kitano – della comicità manzai dei suoi esordi. Lo pseudo-film di SF comincia con un asteroide che minaccia di schiantarsi contro la Terra, ma poi la sceneggiatura sembra dimenticarsene per seguire le peripezie di una coppia di donne spiantate e truffatrici (la madre è Kayoko Kishimoto, la figlia è Anne Suzuki) che cercano di trarre profitto dalla ricchezza di un bizzarro industriale, la cui formidabile ed eroica guardia del corpo (con tanto di poteri alla "Matrix", oltre che con la capacità di trasformarsi in pupazzo nei momenti di difficoltà) è appunto Beat Takeshi. Molte le gag e le situazioni umoristiche che si succedono e si accavallano senza posa: il ristorante gestito dai due wrestler che scaraventano fuori i clienti che si lamentano, la conferenza del ricco industriale, lo scienziato pazzo che costruisce robot e inventa un modo più semplice per fare le rovesciate calcistiche, la lezione di karate, la gag su Zidane... Se il divertimento – per quanto di bassa lega, sconclusionato e talvolta persino scurrile – non manca, il vero scopo di Kitano è quello di mettere sé stesso sotto l'obiettivo in una sorta di autoanalisi aperta al pubblico, come e più che in "Takeshis'", non senza un pizzico di megalomania ma sempre con sincera onestà. Al termine, al regista che domanda "Com'è il mio cervello?", il dottore non potrà che rispondere "Devastato": l'autodistruzione è completa, rimane solo una tabula rasa su cui provare in futuro a ricostruire qualcosa. Certo è che, dopo aver montato e smontato il cinema (il proprio e quello altrui) in questo modo, sarà difficile per Kitano tornare a girare un film "normale" prendendolo sul serio (o pretendendo che lo facciano gli spettatori).

5 commenti:

marco c. ha detto...

Eppure...a me ha ricordato "Dolls". La possibilità di decostruire una persona (e una personalità) è una tematica tipica di K. E' un film minore, ma è interessante per comprendere la chiave di lettura di molte altre opere "maggiori". Il "Blob" di situazioni è la metafora di un viaggio alla ricerca di un modo per re-costruire un individuo. Gli amanti incatenati incoscienti e senza meta alla ricerca di un termine al loro viaggio che ridia senso alla loro vita e le situazioni razionalmente e logicamente slegate di questo film. Ci trovo dei parallelismi, o meglio: dei legami. Il pupazzo Takeshi è un "Doll" di Kitano.

Christian ha detto...

È vero che in tutti i film di Kitano ci sono dei legami o parallelismi, e che spesso una scena di una pellicola ne può ricordare un'altra, ma francamente per me le similitudini con "Getting any?" spazzano via tutto il resto... ^^
Comunque hai ragione quando dici che, pur essendo un film minore (c'è chi ha detto che è in assoluto il peggiore di Kitano), va assolutamente visto per comprendere fino in fondo l'arte di Beat Takeshi.

marco c. ha detto...

Forse l'ho reputato migliore di quello che è perché mi rifiutavo di accettare che Kitano è "bollito". Ma è "bollito"? Forse sì.

A Gegio film ha detto...

Non è bollito, è (era) solo scxxxato quanto basta. Il film di tutti i film in sintesi: quanti generi riassume?

marco c. ha detto...

Speriamo che non sia bollito davvero, anche se i giapponesi sono diversi da noi per abitudini e cultura. Troppo diversi per valutarli da occidentali. Si vedrà.