Qualcosa nell'aria (Olivier Assayas, 2012)
Qualcosa nell'aria (Après mai)
di Olivier Assayas – Francia 2012
con Clement Metayer, Lola Créton
**1/2
Visto al cinema Apollo, con Sabrina, in originale con sottotitoli (rassegna di Cannes).
La vita, gli amori, le ribellioni e la crescita di un gruppo di liceali inquieti e politicamente impegnati – fra anarchia e comunismo – nell’estate del 1971 (il titolo originale significa “Dopo maggio”): critici verso le istituzioni e gli idoli del passato, i protagonisti vivono pienamente l’ondata libertaria della controcultura, sognando di diventare artisti, pittori o registi e di portare a compimento quella rivoluzione che pochi anni prima, nel 1968, non avevano potuto cominciare perché ancora troppo giovani. Assayas stesso, che nel 1971 aveva sedici anni, fa parte di questa generazione: il film è dichiaratamente autobiografico e affonda a pieni mani in ricordi, canzoni, letture, visioni, sensazioni e illusioni di quegli anni. L’individualismo e il pluralismo, il lavoro e lo studio, i viaggi (in Italia, in Nepal, a Londra, in America) e l’impegno si fondono e si confondono in una narrazione frammentata e lineare al tempo stesso, che non segue una trama ma un flusso di vita dove trovano posto anche indecisioni e confusione (si pensi alla diatriba fra i documentaristi su quale “stile” cinematografico adottare: rivoluzionario ma incomprensibile alle masse o tradizionale ma più efficace?), l’incoscienza dovuta all’età e gli inevitabili intoppi nel percorso di crescita, fra amori e delusioni, certezze e dubbi, estremismi e ripensamenti. Il film è stato premiato a Venezia per la miglior sceneggiatura, anche se forse non sono i dialoghi il suo vero punto di forza bensì l’atmosfera generale (cui contribuisce una bellissima fotografia, luminosa ed eterea come solo i ricordi dell’adolescenza possono essere), la ricostruzione della cultura che si respirava in quegli anni, i sogni e gli ideali di chi cercava a fatica di individuare la propria strada in un mondo sempre più vasto e complicato. La politica, l’arte e la vita si fondono così in un mosaico di esperienze e di sensazioni, alla continua ricerca di coerenza e libertà. Fra i personaggi (tutti interpretati da bravi e giovanissimi attori) spicca Gilles, vero e proprio alter ego di Assayas, più interessato alla pittura che alla politica, diviso fra due amori e colto dai primi dubbi sul reale significato degli stravolgimenti che lo circondano. Il suo è un percorso alla scoperta della propria vita, fra compagni sempre più estremisti e rivoluzionari e altri che invece si ripiegano su sé stessi, sull’amore o sul misticismo, fra la sperimentazione artistica che si ribella al passato (“Odio i vecchi poeti”, recita una poesia di Gregory Corso che il ragazzo legge a un certo punto) e l’esperienza che solo un’industria culturale ben organizzata può garantire (gli sceneggiati televisivi su Maigret che il padre produce, le pellicole di fantascienza trash che si girano nei Pinewood Studios di Londra). Alla fine la vita continua, e quell’epoca – come ogni epoca – si rivelerà essere solo un momento di passaggio, per quanto importante, nel corso di un’esistenza.
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