7 settembre 2012

Takeshis' (Takeshi Kitano, 2005)

Takeshis' (id.)
di Takeshi Kitano – Giappone 2005
con Takeshi Kitano, Kotomi Kyono
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Rivisto in DVD alla Fogona.

Questo film e i due successivi di Kitano ("Glory to the filmmaker!" e "Achille e la tartaruga"), fortemente autobiografici, costituiscono un'ideale trilogia sull'arte, chiamata anche del "suicidio artistico" non solo perché tratta il tema del fallimento ma anche perché è stata caratterizzata da un pessimo riscontro da parte del pubblico e della critica, soprattutto in occidente (fa in parte eccezione la terza pellicola), tanto da aver fatto cadere in disgrazia il regista presso quelle stesse audience che lo avevano amato in precedenza: di fatto, dopo "Takeshis'" i suoi film non hanno più trovato distribuzione in sala nel nostro paese. Eppure si tratta di lavori assai personali e sinceri, in cui Kitano espone tutto sé stesso, comprese quelle contraddizioni e quello spirito (auto)ironico e irriverente che già in passato lo avevano spinto a realizzare film considerati minori – o addirittura "inguardabili" – come "Getting any?". E bisogna rendergliene merito, magari analizzandoli con maggiore attenzione e guardandoli più di una volta: io stesso devo ammettere di aver faticato a comprendere "Takeshis'" alla prima visione, restando confuso e frastornato dalla sua anarchia demenziale e surreale, e di averlo rivalutato solo in seguito, quando sono riuscito a destreggiarmi meglio nella sua struttura complessa, fatta di scatole cinesi, metacinema e riferimenti ironici (e onirici) ai lavori precedenti. Nell’era della multiplicity (“la moltiplicazione delle competenze, la capacità di adattamento, l'abilità di operare contemporaneamente in contesti e su piattaforme diverse”, cito dal bando di un concorso; e chi meglio di Kitano, artista poliedrico che spazia dal teatro alla pittura, dalla tv al cinema, dal comico al drammatico, ne può incarnare il concetto?) il regista sceglie di mettere direttamente in scena la “frammentazione” del proprio io.

Il tema è infatti quello del doppio: Takeshi Kitano, attore e showman di successo, ha un sosia identico a lui (sfoggia persino la medesima tintura di capelli che il "vero" Kitano aveva inaugurato in "Zatoichi") e che porta lo stesso nome. Questi conduce una vita miserabile, lavora come commesso in uno squallido negozio di alimentari e aspira a sua volta a fare l'attore, presentandosi a numerose audizioni dove viene regolarmente scartato o adattandosi a lavoretti degradanti (come quello di impersonare un clown: un riferimento alle origini di Kitano come comico di bassa lega). Quando uno yakuza ferito a morte lascia nel suo negozio una borsa piena di armi, decide di vendicarsi di tutte le umiliazioni subite, in un'escalation di violenza surreale: uccide i suoi persecutori, compie una rapina in banca e fugge su un'isola insieme a una ragazza, dove sarà protagonista di uno scontro a fuoco con la polizia (in una serie di scene che ricordano quelle di "Hana-bi" e "Sonatine"). Il tutto si rivela un sogno, ma di chi? Del sosia (che fantastica di emulare le imprese del divo e di essere protagonista di uno dei suoi film) o del "vero" Beat Takeshi (che, in crisi d'identità artistica, immagina la propria degradazione e autodistruzione – non manca infatti una scena catartica in cui viene pugnalato dal suo doppio)? Il lungometraggio è un pastiche di situazioni grottesche e bizzarre, per alcuni critici addirittura "felliniane" (è stato paragonato a "8½"), con personaggi che ricorrono in continuazione sotto varie forme (praticamente tutti hanno un sosia o più di uno, e ritornano anche dopo la morte), frasi identiche ma ripetute in contesti diversi, sogni contenuti dentro altri sogni, scontri fra yakuza, giocatori di mahjong, producer, cantanti, attori e ballerini di tip tap (la nuova passione di Kitano da "Zatoichi" in poi), tassisti avidi, pagliacci rancorosi, ristoratori sgarbati, fan insistenti, una misteriosa donna che si accanisce contro il protagonista, la metafora del bruco come simbolo di riscatto e di vendetta, le sparatorie nel buio che si trasformano in costellazioni, e mille altre immagini o situazioni che si concatenano in maniera suggestiva fra sogno e fantasia. Il titolo di lavorazione della pellicola era "Fractal", il che può spiegare la sua complessa struttura autoreferenziale. In Giappone è uscito nelle sale con la tagline "500% Kitano – Nothing to Add!". Nel cast sono riconoscibili quasi tutti gli attori che fanno parte del "clan Kitano" (da Ren Osugi a Susumu Terajima, da Kayoko Kishimoto a Tetsu Watanabe), mentre alcuni celebri artisti giapponesi (Taichi Saotome, Akihiro Miwa) interpretano sé stessi.

2 commenti:

A Gegio film ha detto...

Io l'ho un pò amato, soprattutto per l'incipit che spiega tutto, con quella sparatoria surreale.

Christian ha detto...

Io l'avevo visto la prima volta durante la rassegna di Venezia 2005, e l'avevo trovato indigesto... Ma ora che l'ho rivisto, mi è sembrato avere un senso e mi è pure piaciuto! ^^ È proprio vero che con certi autori (come Kitano) bisogna avere pazienza.