19 settembre 2012

The millennial rapture (Koji Wakamatsu, 2012)

The millennial rapture (Sennen no yuraku)
di Koji Wakamatsu – Giappone 2012
con Shinobu Terajima, Kengo Kora
*1/2

Visto al cinema Apollo, in originale con sottotitoli (rassegna di Venezia).

Gli uomini della famiglia Nakamoto – un clan dal sangue “nobile ma empio” che vive all’interno di una piccola comunità di emarginati, in un villaggio situato fra il mare e le montagne – sembrano essere segnati da una maledizione: giovani e belli, attraggono con facilità donne e guai e sono tutti destinati a una morte prematura e violenta. Oryu, la levatrice che ha contribuito a portare alla luce molti di loro, giunta ormai in tarda età discorre con l’effige del suo defunto compagno (un monaco: se lei si occupava i nascituri, lui accompagnava i morti) e ricorda la turbolenta esistenza di alcuni di questi ragazzi, in particolare quella dello sciupafemmine Hanzo e quella dello sfaccendato e delinquente Miyoshi. Con un’ambientazione fuori dal tempo (siamo evidentemente ai giorni nostri, visto che sono presenti furgoni e automobili moderne; ma atmosfere, abiti e scenografie – per non parlare della colonna sonora, un accompagnamento con lo shamisen – rimandano al passato), il film – tratto da un romanzo di Kenji Nakagami, “Mille anni di piacere”, e diretto da un regista di pink eiga, i film erotici giapponesi degli anni sessanta e settanta – si snoda in maniera poco appassionante e ripetitiva, tanto che per ben due volte la narrazione riparte da capo con un nuovo personaggio di cui fino ad allora non era mai stata fatta menzione: quando Hanzo muore, a metà film, Miyoshi viene introdotto “dal nulla”; e lo stesso capita nel finale con Tatsuo, che a sua volta prende il testimone dal cugino. L’apparente cura nella fotografia e l’aura “mitica” che la sceneggiatura eredita dal romanzo è inficiata da una certa raffazzonatura generale: ne sono un esempio gli errori di continuità, come quello nella scena in cui Miyashi mostra a Oryu il suo tatuaggio (che dapprima sembra prolungarsi fino alle sue braccia e poi si rivela confinato alla sola schiena). Il simbolismo sui temi della vita, della morte e del sesso si limita al classico legame fra eros e thanatos, mentre le parabole umane dei personaggi non vanno al di là di una perenne sensazione di ciclicità e dell’impossibilità di scampare a un destino predeterminato e autodistruttivo. Resta il sospetto che il film sia stato prodotto soltanto per dare un’occasione di ribalta ad alcuni giovani attori “bellocci” (Kengo Kora, Sosuke Takaoka, Shota Sometani).

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