15 settembre 2012

La quinta stagione (Brosens, Woodworth, 2012)

La quinta stagione (La cinquième saison)
di Peter Brosens e Jessica Woodworth – Belgio 2012
con Aurélia Poirier, Gil Vancompernolle
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Visto all'Auditorium San Fedele, in originale con sottotitoli (rassegna di Venezia).

In un piccolo villaggio di campagna, gli abitanti si preparano al tradizionale rito che segna la fine dell'inverno: bruciare un fantoccio di paglia che simboleggia "zio inverno", in modo da scacciare la stagione fredda. Ma incomprensibilmente, la paglia e le frasche non prendono fuoco, e il rogo non attecchisce. Nei giorni seguenti, accade anche di peggio: la primavera non arriva, i semi non germogliano, gli animali muoiono o non producono più nulla. I mesi passano ma il villaggio resta immerso in una stagione eternamente spoglia e brulla, che porta a inasprire i contrasti e a far uscire il peggio da ogni uomo. E molti, naturalmente, se la prenderanno con lo "straniero", nella fattispecie un filosofo-apicultore venuto da fuori che diventerà il capro espiatorio per tutti. Al terzo film, la coppia formata dal documentarista belga Brosens e dalla regista americana Woodworth continua a descrivere il rapporto conflittuale fra uomo e natura: lo fa con una pellicola dalla forte connotazione simbolica, che fonde suggestioni buñueliane ("L'angelo sterminatore") o post-apocalittiche (un'apocalisse silenziosa e misteriosa, visto che le origini del fenomeno non sono esplicitate: ma è evidente che l’uomo perde il contatto con la natura perché la percepisce in maniera esclusivamente utilitaristica, come qualcosa da sfruttare, al punto che nessuno si preoccupa del mancato arrivo della primavera in sé ma solo perché il ciclo produttivo dell’agricoltura e dell’allevamento si interrompe) ed elementi che possono ricordare i film italiani "Il vento fa il suo giro" e "Le quattro volte". Molto belle le immagini di una campagna spoglia e arida, così come certi squarci surreali (l'apparizione improvvisa dei giganteschi pupazzi di cartapesta che raffigurano un contadino, una contadina e una mucca; tutte le scene che mostrano un uomo nell'infruttuoso tentativo di addestrare il proprio gallo a cantare), ma anche sequenze come il ballo collettivo degli abitanti del villaggio prima del rogo, o la scena in cui padre e figlio, in macchina, intonano il duetto "Pa-pa-pa-pa" dal "Flauto magico" di Mozart. Di forte impatto, infine, la "trasformazione" degli uomini in animali mediante le rudimentali maschere da uccello che indossano prima della spedizione punitiva, così come la significativa sequenza finale: tutto ciò che rimane sono struzzi che si aggirano per un cimitero.

2 commenti:

Marisa ha detto...

Film molto interessante ed impressionante, in cui l'angoscia è ancor più sottile e pervasiva perché non affidata a fantascienza o catastrofi strardinarie, ma semplicemente al fatto che la natura si è stancata di fare la "Madre buona" per uomini che danno tutto per scontato e la sfruttano solo per i loro comodi...
La scena finale mi ha fatto pensare alla legge del contrappasso di Dante. Gli struzzi rimangono gli unici essere viventi a sostituzione di creature che per troppo tempo hanno fatto... gli struzzi...

Christian ha detto...

Sì, un film interessante e originale. Non pensavo che sarebbe uscito anche in sala, per quanto con una distribuzione ai minimi termini (a Milano c'è solo in un piccolo cinema) e a quasi un anno di distanza dal Festival.