Shutter Island (M. Scorsese, 2010)
Shutter Island (id.)
di Martin Scorsese – USA 2010
con Leonardo DiCaprio, Ben Kingsley
***
Visto al cinema Colosseo, con Marisa.
Nel 1954, l'agente federale Teddy Daniels sbarca con un collega su un'isola al largo di Boston che ospita una sorvegliatissima prigione-manicomio per criminali folli e violenti. Qui dovrà indagare sulla misteriosa scomparsa di una detenuta, ma anche sulle strane pratiche compiute dai medici, che Teddy sospetta effettuare esperimenti sui pazienti ai limiti della legalità e con la complicità delle alte sfere, non dissimili da quelli dei nazisti nei campi di concentramento. Proprio gli orrori di Dachau, ai quali aveva assistito durante la guerra, uniti al trauma della morte della moglie in un incendio a opera di un piromane – che, guarda caso, è ospitato nella struttura – metteranno a rischio la salute mentale del protagonista, in un crescendo di paranoia e di allucinazioni. Con una confezione sontuosa come al solito (splendida, in particolare, la fotografia di Robert Richardson), una regia solida e ottime interpretazioni (oltre all'intenso DiCaprio, ci sono Mark Ruffalo nei panni del suo partner, Ben Kingsley come direttore del manicomio e Max von Sydow è il medico di origine tedesca; il piromane sfregiato non è De Niro, come mi era parso a prima vista, ma Elias Koteas), Scorsese sforna un thriller dalle venature horror sulla follia, la violenza, la perdita di identità e la rimozione del dolore, che ha forse il difetto di essere un po' lungo, a tratti didascalico ed eccessivamente prevedibile. I colpi di scena nel finale, infatti, non possono sorprendere uno spettatore pronto a cogliere i tanti dettagli che vengono suggeriti in precedenza, talora anche esplicitamente. Bello comunque il controfinale risolutivo, all'insegna della frase "Cos'è peggio: vivere da mostro o morire da uomo per bene?". A sostenere il film c'è comunque anche una bella ambientazione: l'isola-microcosmo è quasi protagonista alla pari di DiCaprio, un'isola fisica e psicologica insieme, con i suoi padiglioni, le costruzioni, le scogliere e il faro, separata dal resto del mondo e sconvolta dalla furia della natura (le onde, il tornado). Anche la collocazione temporale negli anni cinquanta, con i continui flashback sugli orrori della guerra che si fondono ai traumi personali, contribuisce a dar vita a un'atmosfera torbida e ossessiva che può ricordare altri classici del cinema americano sulla follia, come "Il corridoio della paura" di Samuel Fuller. E nonostante alcuni echi hitchcockiani, la riflessione sulla natura violenta dell'uomo è tipicamente scorsesiana.
16 commenti:
Mi fa piacere che tu l'abbia apprezzato a dovere. Io l'ho trovato davvero straordinario. Ah, secondo me definire l'ambientazione solo "bella" è un'ingiustizia ^^
Ale55andra
A dire il vero qualche riserva ce l'ho (sulla sceneggiatura e sulla parte centrale, un po' "pesantina"), ma indubbiamente l'ho apprezzato molto dal punto di vista tecnico e formale. Si vede l'amore di Scorsese per il cinema classico!
Io invece devo ammettere che un pizzico di delusione ce l'ho.
Che un film di Scorsese sia girato molto bene è il minimo che ci possa aspettare.
Rimane però il fatto che un film così dopo qualche giorno mi ha lasciato un po' poco, troppo convenzionale per un Autore di questo calibro, capace da sempre di coniugare spettacolarità con contenuti di una certa importanza.
A me è cresciuto il giorno dopo, ripensandoci. Ho capito che anche se i film può sembrare un po' meccanico e prevedibile dal punto di vista dello script, i temi che affronta e soprattutto il modo in cui li approccia non sono certo banali e alla portata di tutti. Come riconosci anche tu, Scorsese gira meglio del 90% per cento (o anche di più) dei registi "giovani" e alla moda. E ha idee molto chiare, non accumula mai sequenze a casaccio.
Diciamo allora che Scorsese non riesce più a ritrovare quella carica creativa che lo ha portato ad essere fino a dieci anni fa uno dei massimi punti di rifermento del cinema americano.
Perchè questo Shutter Island, pur rimanendo apprezzabile, non mi pare un film che lascerà il segno.
In fondo non dice nulla di nuovo nè lo fa in maniera nuova.
Non che pretenda in alcun modo di farlo, sia chiaro.
Non so se lascerà il segno, però forse sarà il caso di rivederlo con calma, magari in DVD, fra qualche mese o qualche anno (cosa che andrebbe fatta con tutti i film, se ci fosse il tempo, sia chiaro!)...
Sono d'accordo al 100% Christian.
L'ultimo Scorsese sembra il ritratto del suo attore feticcio che, ossessionato dal desiderio di dimenticare Titanic, si cala sistematicamente in ruoli da Bad Boy che ne amplificano la natura adolescenziale..il regista fa orecchie da mercante tanto gli è necessario dal punto di vista mercantile per finanziare e filmare in prima persona "il suo viaggio personale nei miti del cinema americano"...un saluto
Credo che DiCaprio, e le sue fan, ormai "Titanic" lo abbiano dimenticato e superato da tempo. E non penso nemmeno che Scorsese scelga il buon Leo per esigenze commerciali, visto che allora ci sarebbero nomi ben più efficaci (come quelli cui ricorrono sistematicamente i Coen, loro sì veri ruffiani)... Evidentemente Scorsese vede in lui un attore adeguato alla sua idea di cinema, legata appunto al cinema americano classico (anche il suo volto adolescenziale è in linea con quest'idea!). Un altro attore che secondo me sarebbe stato perfetto per Scorsese è Joachim Phoenix, peccato che abbia deciso di non recitare più. E comunque, a me DiCaprio piace, in film come "Revolutionary Road" ha dimostrato di avere tutte le carte in regola.
Io ho apprezzato il film, nel quale mi sono immersa completamente sino alla fine, anzi il dubbio e l'ambiguità mi hanno accompagato anche dopo: non esiste indizio nella trama che possa portarci a affermare con certezza se il buon Leo sia un agente dell'FBI accorso per le indagini o paziente da anni sull'isola. L'inquadratura finale sul faro conferma definitivamente tale dubbio radicale.
Ciao Christian!
Eleonora
Nonostante mi fossi avvicinato alla visione con un po' di scettiscismo, debbo dire che complessivamente il film è bello se lo si intende come una commistione tra realtà, allucinazione e incubo che divengono specchio di un anima tormentata; certo se voleva essere un thriller puro, l'operazione non è riuscita, troppo prevedibili i colpi di scena e troppo di già visto nella trama.
L'indiscussa bravura di Scorsese e degli attori (su tutti Di Caprio e Kingsley) fanno il resto.
Missile
Eleonora: Sono contento che ti sia piaciuto, in effetti durante la visione è molto coinvolgente. Il mio parere è che DiCaprio fosse effettivamente un paziente dell'ospedale, altrimenti il finale (quando finge di non essere ancora guarito per sottoporsi volontariamente alla lobotomia e dimenticare così le sue azioni) perderebbe ogni valore etico.
Missile: Anch'io la penso essenzialmente come te: se dovessi giudicarlo solo dalla trama e dai colpi di scena, sarebbe decisamente prevedibile. I suoi indubbi pregi stanno invece nella confezione, nell'atmosfera e soprattutto nei sottotesti.
Ora, senza offesa per nessuno, affermare che il film sia ambiguo significa che gli spettatori vanno al cinema con le fette di salame sugli occhi.
Tutto il film è un accumulare di indizi che smentiscono i pensieri del presunto agente Di Caprio.
Sembra quasi un "thriller for dummies", ogni volta sembra dire "se non hai ancora capito nulla ecco qua un altro indizio!".
Uno su tutti praticamente all'inizio del film, nel primo incubo in cui la moglie abbracciata dal marito sanguina abbondantemente dal ventre, mostrando in maniera lampante come sia effettivamente morta e come confermato nel finale.
Io pensavo che nessuno dopo questa scena potesse avere più dubbi ma purtoppo non è così.
Per il resto sono d'accordo con Christian sul valore del finale, sul sacrificio del protagonista per espiare ciò che ha fatto e per evitare il rischio di cadere di nuovo nelle proprie "illusioni".
Però, Martin, vista l'atmosfera di paranoia ci può anche stare che qualcuno si immagini che quelli siano falsi indizi. Io avevo pochi dubbi al riguardo (sarebbe stato davvero troppo!), ma non era impossibile che la sceneggiatura preparasse un "doppio colpo di scena", spingendo lo spettatore a credere che Leo fosse un paziente per poi capovolgere tutto alla fine. Ripeto, non è così perché altrimenti il suo sacrificio finale non avrebbe senso, ma fino a quell'ultima scena uno spettatore iper-smaliziato (e paranoico a sua volta! ^^) poteva immaginarsi di tutto.
E' esattamente questo il punto.
In un "vero" thriller o non ci sono tutti questi indizi oppure come faceva il buon Hitch si butta qua e là qualche falsa pista in modo da confondere lo spettatore.
E' chiaro che anche in questo caso le certezze si hanno solo alla fine ma è anche vero che si finisce per non avere grosse sorprese.
Non sono nemmeno convinto che il fatto di essere un "non-thriller" sia necessariamente un limite, il film ha anche i pregi che hai sottolineato tu.
E probabilmente non sarebbe stato comunque un film migliore se il finale avesse ribaltato tutti gli indizi.
In definitiva lo ritengo un buon film, il cui difetto principale risiede nel fatto che da Scorsese si aspetta sempre qualcosa in più.
Chiarisco perchè non forse si capisce.
"E' chiaro che anche in questo caso..." va letto come "E' chiaro che anche nel caso di Shutter Island le certezze si hanno solo alla fine ma è anche vero che si finisce per non avere grosse sorprese."
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