3 marzo 2010

M, il mostro di Düsseldorf (F. Lang, 1931)

M, il mostro di Düsseldorf (M)
di Fritz Lang – Germania 1931
con Peter Lorre, Otto Wernicke
****

Rivisto in DVD, con Giovanni, Rachele, Monica, Ilaria e Ginevra.

Una città tedesca (che il titolo italiano identifica in Düsseldorf, forse perché il film si ispira alla serie di delitti commessi negli anni venti da Peter Kürten, il "Vampiro di Düsseldorf", ma che in realtà è Berlino) è terrorizzata da un misterioso maniaco omicida che sceglie le sue vittime fra le bambine, adescandole per strada con giochi e dolciumi. La paura e la paranoia montano fra i cittadini, e tutti sono pronti a denunciare ogni passante sospetto, mentre la polizia incrementa a dismisura la sorveglianza in ogni angolo della città ed effettua frequenti retate nei locali e nei quartieri della malavita. Per mettere fine a questo stato di cose, che rende loro impossibile continuare a svolgere le consuete attività illegali, gli stessi criminali decidono di dare la caccia al misterioso omicida, con il quale fra l'altro rifiutano di essere apparentati, e riescono a identificarlo grazie ai mendicanti dislocati in maniera scientifica su tutto il territorio. L'uomo, marchiato con una "M" (da "Mörder", assassino) scritta con il gesso sul suo cappotto, viene pedinato e infine catturato dopo una drammatica incursione notturna nel palazzo dove si era rifugiato. Sottoposto a un vero e proprio processo da parte di tutti i criminali della città, verrà condannato a morte – nonostante un appassionato monologo in propria difesa, in cui manifesta tutto il tormento per essere incapace di tenere sotto controllo i propri impulsi – ma sarà salvato all'ultimo momento dalla polizia e portato davanti alla "vera" legge. Prima che la sentenza sul suo destino venga pronunciata (pena capitale o infermità mentale?), il film – che si era aperto con un gruppo di bambini che giocava sulle note di una canzoncina macabra ("Scappa, scappa monellaccio – se no viene l'uomo nero – col suo lungo coltellaccio – per tagliare a pezzettini – proprio te!") – si conclude con il pianto di alcune madri delle vittime che mettono in guardia gli spettatori ("Bisogna vigilare meglio sui nostri bambini!").

Uno dei massimi capolavori di Lang e del cinema tedesco anteguerra, "M" è una pellicola ancora attuale e modernissima, eccezionale per diversi motivi: tecnicamente superbo, con una regia che cattura lo spettatore e lo sovrasta con una tensione costante e palpabile, può contare anche su una fotografia forte ed evocativa che gioca con le metafore visive, le ombre e i chiaroscuri, movimenti di macchina precisi e rigorosi, inquadrature angolate o curiosamente ardite (spesso i personaggi sono ripresi dal basso, con l'illuminazione o la distanza ravvicinata che ne deformano le fattezze, anticipando talvolta quello che farà nei suoi film Orson Welles), transizioni incredibilmente esplicite o significative (si pensi alla sequenza iniziale, con la madre che attende la figlioletta per il pranzo, e le inquadrature della palla che rotola e del palloncino impigliato nei fili della luce), una sceneggiatura che fonde diversi generi (il police procedural, il thriller sui serial killer, il noir, il documentario) e che cambia continuamente il "punto di vista" della narrazione, e dialoghi precisi e convincenti. Al suo primo film sonoro, fra l'altro, Lang riesce a sfruttare in maniera coerente e innovativa la nuova opportunità tecnologica, rendendo il motivo fischiettato da Peter Lorre (Nella sala del re della montagna, dal "Peer Gynt" di Edward Grieg: in realtà lo fischiava Lang stesso, in quanto l'attore non ne era capace) non solo un elemento caratterizzante del personaggio (che annuncia il suo arrivo o la sua presenza, aumentando la tensione e l'inquietudine dello spettatore) ma anche uno strumento narrativo, in quanto è proprio quello che provoca la sua identificazione da parte del venditore cieco di palloncini.

Se il bravissimo Lorre è costantemente al centro della vicenda, anche nella prima parte del film quando la sua figura è ancora avvolta nel mistero (ne intravediamo soltanto l'ombra, in silhouette, proiettata su un manifesto che parla proprio dei suoi delitti), in realtà la vera protagonista è l'intera città, con le sue madri, i bambini, i passanti, i negozianti, i senzatetto, i poliziotti e i criminali che si attivano alla ricerca dell'assassino, come suggerisce anche il sottotitolo tedesco ("Eine Stadt sucht einen Mörder") e come avverrà in un successivo film di Lang ("Anche i boia muoiono"). Ognuno può essere il colpevole, anzi – fra le righe viene addirittura implicato – ognuno lo è, magari anche solo per complicità morale. Non esiste una divisione netta fra bianco e nero (il "mostro" stesso è anche una vittima), o fra bene e male, come dimostra il fatto paradossale e grottesco che gli stessi criminali, che a loro volta si sono macchiati di numerosi delitti, si sostituiscono ai poliziotti e ai giudici: e questo, alla luce del clima socio-politico della Germania nel quale il film venne girato, cioè agli albori del nazismo, non è un dettaglio da poco. Anche sul tema della giustizia e del sistema legale, dunque, il film ha il merito di non imporre allo spettatore un messaggio preconfezionato o unilaterale: al processo imbastito dalla malavita si discute se sia giusto condannare l'assassino alla pena di morte anche se questi non è del tutto responsabile delle sue azioni, e sullo schermo vengono presentati i diversi punti di vista. Magnifici ed espressivi i volti degli attori, compresi quelli minori e le numerose comparse, in un miscuglio di realismo e di caricatura, mentre fra i personaggi principali spiccano – oltre a Lorre, la cui carriera specializzata in noir, thriller e horror decollò proprio da questo incisivo ritratto di una creatura orribile, anonima e patetica al tempo stesso – il massiccio commissario Lohmann (interpretato da Otto Wernicke) e il rigido capo della malavita (Gustaf Gründgens).

12 commenti:

marco c. ha detto...

incredibilmente moderno. sembra girato alla fine degli anni '50.

Giuliano ha detto...

Un omaggio reverente a Lang.

Christian ha detto...

Lang è uno dei miei registi preferiti, sin da quando vidi "Metropolis" per la prima volta (nella versione di Moroder: adesso aspetto con ansia quella integrale e restaurata, che è stata presentata da poco al festival di Berlino). Non solo i suoi film tedeschi sono potenti e appunto modernissimi, molto avanti sui loro tempi; ma anche i film americani hanno ancora un fascino particolare, e alcuni sono da annoverare fra le maggiori gemme degli anni quaranta e cinquanta, soprattutto nel campo del noir.

Giuliano ha detto...

Beh, quando hai visto Metropolis poi è dura dimenticarselo!
Idem per il Mabuse. Ne ho parlato pochissimo perché ci sono ottimi libri, soprattutto le lunghe interviste con Bogdanovich e con (con chi era l'altro? l'età che comincia a colpire...)

Christian ha detto...

Non saprei... C'è un famoso libro di Lotte Eisner su di lui (che non ho letto): forse ti riferisci a quello? Oppure il documentario di William Friedkin...?

Marisa ha detto...

Bella recensione! Ti sei persino scomodato a dare 4 pallini.
Aggiungerei una riflessione sul "gioco dei bambini",una scena che mi ha sempre molto colpito e,devo ammettere, a volte devo resistere per impedirmi di cantare la famosa filastrocca quando gioco con bambini piccoli.
Da sempre i bambini esorcizzano le loro paure trasformandole in gioco. Le favole sono nate così e, se ci pensiamo bene, anche il teatro è nato per esorcizzare le nostre angosce e paure(quelle dei grandi naturalmente, ma sempre paure). Il famoso effetto catartico.
Per questo sono molto perplessa di fronte a un certo atteggiamento "buonista", che si va diffondendo, di edulcorare le favole, quando ci si permette ancora di raccontarle, per non spaventare i bambini.

Christian ha detto...

La differenza fra i bambini e gli adulti, nel film, è proprio questa: i bambini esorcizzano la paura con la canzoncina e i giochi, mentre gli adulti sono in preda alla paranoia e al terrore (al punto da accusare ingiustamente ogni passante e ogni persona minimamente sospetta). Naturalmente proprio questa "tranquillità" dei bambini ne fa le vittime ideali del "mostro" che riesce a carpirne la fiducia con poche caramelle o un palloncino, anche perché i bimbi si aspettano magari un mostro con il coltellaccio e invece si trovano di fronte un ometto gentile e rubicondo che regala loro dei dolci.

Sulle fiabe e il loro valore catartico, naturalmente, sono d'accordo! Non a caso i primi film Disney (come "Biancaneve", del 1937!) facevano molta più paura di quelli attuali, che invece per lo più puntano a stimolare risate e divertimento.

Giuliano ha detto...

Sì, penso che sia Friedkin: mi pare che esista anche come libro ma non sono sicuro. L'intervista con Bogdanovich invece ce l'ho in casa e la consulto spesso, parla quasi soltanto del periodo americano ma si torna spesso agli anni '30 e '20.

Anonimo ha detto...

Non conoscevo l'aneddoto sul fischio. Interessante. Per il resto che dire. Grandissimo capolavoro indimenticabile e soprattutto intramontabile.

Ale55andra

Christian ha detto...

Giuliano: prima o poi quell'intervista me la recupererò anch'io... ^^

Ale55andra: un film davvero essenziale!

Fabio ha detto...

Mi sto buttando adesso su Fritz Lang. So di ripetere cose dette qui sopra, ma questo film è di una modernità sorprendente, e per di più tocca tanti generi con eguale maestria. C'è la tensione costruita nella prima lunga scena, i dialoghi brillanti del vertice della malavita, l'azione del rapimento, il processo... davvero un grande film.

Christian ha detto...

Come già detto, Lang è probabilmente nella top five dei miei registi preferiti. Questo film non solo resiste benissimo dopo ottant'anni, ma regge anche a numerose visioni! La costruzione della suspense è magistrale! ^^