Mank (David Fincher, 2020)
Mank (id.)
di David Fincher – USA 2020
con Gary Oldman, Amanda Seyfried
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Visto in TV (Netflix).
Nel 1940, costretto a letto per via di una gamba ingessata e isolato in uno chalet fuori città con un'infermiera (Monika Gossmann) e una dattilografa (Lily Collins), l'esperto e alcolizzato scrittore Hermann J. Mankiewicz (Gary Oldman) si dedica nell'arco di due mesi a redigere la sceneggiatura per il film che diventerà "Quarto potere" di Orson Welles. Una serie di flashback (ambientati dal 1930 al 1937) ce ne svelano i retroscena, ovvero i rapporti di familiarità e antagonismo che intercorsero fra lo scrittore e William Randolph Hearst (Charles Dance), il potente magnate della stampa al quale è ispirato Charles Forster Kane, il protagonista del film di Welles. "Mank" lo conobbe tramite il giovane collega Charles Lederer (Joseph Cross), nipote dell'attrice Marion Davies (Amanda Seyfried), amante di Hearst. Entrato inizialmente nelle grazie dell'imprenditore, che lo ammirava per il suo spirito caustico, lo sceneggiatore finirà per essere messo in disparte dall'industria hollywoodiana (all'epoca dominata dal sistema degli studios) a causa delle sue simpatie socialiste: e molto di ciò che avverrà durante l'elezione del governatore della California del 1934, quando la campagna del candidato democratico Upton Sinclair sarà boicottata da falsi cinegiornali prodotti proprio dagli studi del cinema, lo porterà a sviluppare uno dei temi del capolavoro di Welles (il potere dei mass media, in grado di influenzare l'opinione pubblica). Il secondo biopic firmato da David Fincher (dopo "The social network": ed entrambi scelgono come soggetto un vero e proprio "mito" della cultura americana) non è all'altezza del precedente. Nonostante la buona ricostruzione del mondo degli studios e dell'era della grande depressione, la pellicola risulta fredda, pesante, patinata e manieristica, e la sceneggiatura dà per scontata la conoscenza di troppe cose, nomi e personaggi. Inoltre, il tentativo di richiamare l'atmosfera di quegli anni (attraverso la fotografia in bianco e nero di Erik Messerschmidt, la colonna sonora retrò di Trent Reznor e Atticus Ross, e persino l'audio in mono, a dire il vero un po' fastidioso) sembra voler compensare il fatto che molti eventi e particolari sono stati romanzati o alterati. Discutibili infatti le caratterizzazioni di svariate figure di contorno, dal fratello Joe (Tom Pelphrey), ovvero il futuro regista Joseph L. Mankiewicz, la cui statura è alquanto sminuita, passando per Louis B. Mayer (Arliss Howard), ritratto come il "cattivo" del film. In generale il lungometraggio pare quasi un'agiografia di Mank, svalutando tutte le figure attorno a lui (da Welles a John Houseman, ridotto a poco più di un galoppino). Concludendosi con l'Oscar per la sceneggiatura (l'unico vinto da "Quarto potere") assegnato a Mankiewicz e Welles, entrambi assenti alla cerimonia, accenna anche alla disputa sulla paternità che ne seguì, sposando la versione (avanzata dalla critica Pauline Kael, ma controversa e ormai screditata) che questa fosse quasi esclusivamente opera del primo: in realtà Welles intervenne sulla (lunghissima) bozza originale, alterandola anche durante le riprese, e dunque è giusto che il risultato finale sia accreditato a entrambi. Nel complesso l'idea di fondo della pellicola (spiegare l'origine di "Quarto potere" attraverso il risentimento e il desiderio di rivalsa di Mank contro Hearst e la corruzione di Hollywood) è debole, per non parlare dei rimandi interni: ogni paragone che sorga spontaneo fra il film di Welles e questo non può che andare a favore del primo. Ottima comunque la prova di Oldman, ben calato nella parte. Tom Burke è Welles, Sam Troughton è Houseman, Ferdinand Kingsley è Irving Thalberg, Tuppence Middleton è Sara (la moglie di Hermann), Jamie McShane è il (fittizio) aiuto regista Shelly Metcalf, che si suicida per i sensi di colpa dopo la mancata elezione di Sinclair. La sceneggiatura è firmata dal padre del regista, Jack Fincher, che la completò negli anni novanta: il figlio l'avrebbe voluta girare già vent'anni fa (con Kevin Spacey come protagonista), ma all'epoca i produttori non gli consentirono di realizzare un film in bianco e nero, cosa che in tempi recenti è invece tornata di moda.
5 commenti:
Sei il primo che ne parla freddamente, io penso che lo amerò per le tematiche e lo stile, però devo ancora guardarlo, quindi mai dire mai.
Come stile Fincher mi ha sempre lasciato un po' freddino, anche in passato. Ma questo l'ho trovato discutibile proprio sul piano dei contenuti.
Aggiornamento Oscar: "Mank" ha ricevuto ben 10 nomination (più di ogni altro titolo in gara), comprese quelle per il miglior film, la regia, la fotografia e l'attore protagonista, ma significativamente non quella per la sceneggiatura.
In effetti è ironico: "Quarto potere" vinse il suo unico Oscar per la sceneggiatura, e questo film, fra tante nomination, non riesce a portare a casa proprio quella!
Aggiornamento Oscar: alla fine "Mank" ha vinto "solo" due statuette, quella per la fotografia (meritatissima) e quella per le scenografie.
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