Il mulino del Po (Alberto Lattuada, 1949)
Il mulino del Po
di Alberto Lattuada – Italia 1949
con Carla Del Poggio, Jacques Sernas
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Visto in divx.
Sulle sponde ferraresi del Po, a fine Ottocento, la mugnaia Berta (Carla Del Poggio) è promessa sposa al contadino Orbino (Jacques Sernas): la loro storia si intreccia con le lotte e le rivendicazioni dei lavoratori e dei braccianti, che si oppongono alle prepotenze dei padroni e all'avidità dei nuovi regnanti. Uscito nelle sale quasi in contemporanea con "Riso amaro" di De Santis, che parimenti raccontava le fatiche di un'Italia contadina e rurale, il film (sceneggiato da Federico Fellini e Tullio Pinelli) è tratto dal terzo volume della sterminata saga familiare di Riccardo Bacchielli (le parti precedenti saranno trasposte negli anni sessanta e settanta in due celebri sceneggiati per la televisione) e pare anticipare in molte cose "Novecento" di Bertolucci, sia per l'ambientazione che per la fusione delle storie personali con quelle collettive e politiche di fronte a un mondo che cambia. "È il primo film storico sulla nostra civiltà contadina", ha scritto Callisto Cosulich. Certo è insolito che un romanzo scritto e pubblicato in epoca fascista metta in primo piano le idee marxiste e la lotta di classe: ma l'approccio è assai equilibrato (tanto da essere stato criticato da entrambe le parti), visto che presenta entro certi limiti le ragioni e i torti di tutti, senza banalizzare una questione assai complessa (fra i lavoratori ci sono divisioni e contrasti, fra le autorità e le forze dell'ordine ci sono persone di buon senso). Ne risulta un denso e ricchissimo affresco storico-sociale, curato nell'ambientazione (i campi, i cascinali, le rive del fiume) e colmo di personaggi interessanti, che siano di primo piano – la famiglia dei mugnai, fra cui la vecchia matrona Cecilia (Isabella Riva) e l'impetuoso e tragicamente ingenuo fratello Princivalle (Giacomo Giuradei); quella dei contadini, con l'anziano nonno (Domenico Viglione Borghese); l'infido e vendicativo Smarazzacucco (Giulio Calì); il politico socialista Raibolini (Nino Pavese); il padrone Clapassòn (Mario Besesti) – o figure marginali e di contorno, della cui caratterizzazione con pochissimi tratti Lattuada è un maestro: si pensi alla Lupacchioni (Pina Gallini), anarchica "satanista", al corpulento Caterinone, al pescatore Scanzafrasca, ma anche al brigadiere meridionale e con l'ombrello (Bruno Salvalai) e al capitano dei soldati (l'aiuto regista Carlo Lizzani) che vengono incaricati di lavorare nei campi in sostituzione dei braccianti che scioperano. E sullo sfondo delle tumulti e delle rivendicazioni sociali ci sono i sentimenti (l'amore fra Berta e Orbino è osteggiato a più riprese) e lo scontro con le forze della natura (la piena del fiume, il temporale, la grandine e il fulmine sui campi). Nonostante qualche dialettismo (soprattutto per il personaggio di Princivalle) e l'intensità dei volti (le donne, gli anziani), non è un film neorealista: Lattuada fu accusato di calligrafismo, ma gli squarci lirici e poetici e l'ottima costruzione dei personaggi compensano eventuali difetti.
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