27 settembre 2018

The other side of the wind (Orson Welles, 2018)

The other side of the wind
di Orson Welles – USA/Iran/Francia 2018
con John Huston, Peter Bogdanovich
**1/2

Visto al cinema Anteo, con Daniela e Ciro, in originale con sottotitoli (rassegna di Venezia).

In occasione del suo settantesimo compleanno, un'eccentrica corte di fan, documentaristi, giornalisti, critici e collaboratori si riunisce nella villa del vecchio regista J. J. "Jake" Hannaford (John Huston). Durante la festa vengono proiettati alcuni spezzoni del suo ultimo film, "The other side of the wind", la cui lavorazione si è interrotta per mancanza di fondi e per la misteriosa scomparsa del giovane attore protagonista, John Dale (Bob Random). Orson Welles lavorò a questo film – nel quale recitano molti suoi amici e registi: non solo Huston, ma anche Peter Bogdanovich, Oja Kodar, Susan Strasberg, Norman Foster, Dennis Hopper, Paul Mazursky, Claude Chabrol, Tonio Selwart, Lilli Palmer, e tanti altri – dal 1970 al 1976, producendo oltre 100 ore di girato e cominciando a montarlo senza però mai arrivare a una versione finale. Dopo innumerevoli traversie artistiche, produttive e legali, la pellicola esce soltanto adesso – nelle sale e in tv – grazie a Netflix, con una colonna sonora di Michel Legrand e il montaggio di Bob Murawski (Welles è morto nel 1985). In parte metacinema (il personaggio di Hannaford, con le sue traversie produttive, assomiglia ovviamente allo stesso Welles, anche se il regista ha affermato di essersi ispirato a Ernest Hemingway), in parte satira (siamo di fronte a un nuovo "Hollywood party", che prende stavolta in giro la New Hollywood degli anni '70) e in parte parodia (il film nel film ricorda le atmosfere dei lavori di Antonioni, ma anche il cinema di exploitation e atmosfere surrealiste alla Dalì), la pellicola ondeggia fra la commedia, il dramma e il mockumentary, e affronta i temi della creazione artistica e dell'omosessalità repressa (quella di Hannaford che, invaghito del suo attore protagonista, nasconde le proprie pulsioni focalizzando invece il suo film sulle grazie della ragazza esotica (Oja Kodar) che lui insegue, e distraendo così – da buon prestigiatore – l'attenzione del pubblico). La molteplicità dei punti di vista si fa caotica ed espressiva, attraverso una miriade di immagini e frammenti che si fondono in un montaggio frenetico, l'alternanza fra colore e bianco e nero (nonché quella fra il widescreen, per il film nel film, e il 4:3), la camera a mano, i dialoghi incessanti e sovrapposti. L'insieme, nella sua sovrabbondanza e immensità, restituisce un affresco del frizzante e ipocrita sottobosco hollywoodiano, arricchito da immagini evocative, esplicite o simboliche: l'ultimo prodotto di un inarrivabile genio del cinema.

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