27 dicembre 2022

Frankenstein (James Whale, 1931)

Frankenstein (id.)
di James Whale – USA 1931
con Colin Clive, Boris Karloff
***1/2

Rivisto in DVD.

Il giovane e ambizioso scienziato Henry Frankenstein (Colin Clive) sogna nientemeno che di sfidare Dio e di creare la vita: a questo scopo "assembla" una creatura (con pezzi di cadaveri rubati nei cimiteri) e la "anima" grazie a una scarica elettrica. Ma il mostro (Boris Karloff), sfuggito al suo controllo, semina morte e terrore nel villaggio e nella campagna circostante. E lo stesso Henry, alla guida degli abitanti locali, sarà costretto a distruggerlo, facendolo perire nelle fiamme. Questo film seminale è il più celebre adattamento del romanzo di Mary Shelley ("Frankenstein o il moderno Prometeo", pubblicato nel 1818), anche se si rifà soprattutto alla versione teatrale di Peggy Webling (del 1927): straordinariamente influente nel plasmare tanto il genere horror (in particolare quello di mostri: assieme al coevo "Dracula" è il capostipite del filone della Universal) quanto la mitologia e l'estetica del mostro di Frankenstein stesso, ne è diventato il punto di riferimento essenziale e irrinunciabile. Di fatto le fattezze della creatura, nell'immaginario collettivo, sono ormai quelle di Karloff, con il make up (opera di Jack Pierce) che ne accentua la natura mostruosa (con la fronte, le mani e i piedi pronunciati, e i chiodi conficcati nel collo). Da allora, omaggi, riferimenti, parodie (al cinema ma anche nei fumetti e nei cartoni animati) non hanno potuto più prescindere da questo aspetto iconico, così diverso da tutto ciò che era venuto prima (per esempio nelle precedenti versioni cinematografiche dell'opera, come il film muto del 1910 di J. Searle Dawley). Il produttore Carl Laemmle Jr., che voleva replicare il successo di "Dracula", uscito pochi mesi prima, scelse il regista britannico James Whale dopo la rinuncia della prima scelta Robert Florey. Anche Karloff fu un ripiego, visto che inizialmente la star doveva essere la stessa di "Dracula", Bela Lugosi, che però rinunciò perché avrebbe preferito interpretare lo scienziato e non il mostro. Il resto del cast comprende Mae Clarke (Elizabeth, la fidanzata di Henry), Edward Van Sloan (il dottor Waldman, suo mentore), Frederick Kerr (il barone Frankenstein, suo padre) e Dwight Frye (Fritz, l'assistente gobbo, quello che nelle pellicole successive sarà rinominato Igor). L'ambientazione è immaginata nelle Alpi bavaresi, attorno al villaggio (fittizio) di Goldstadt, mentre il laboratorio di Frankenstein (con attrezzature ideate da Kenneth Strickfaden) è situato in un vecchio mulino abbandonato, lo stesso in cui, dato alle fiamme, perirà nel finale la creatura (distaccandosi in questo dal romanzo originale, dove il mostro, anziché nel fuoco, scompariva nelle acque ghiacciate dell'Artico).

Se il film, visto oggi, può sembrare datato per le tante ingenuità legate all'epoca e le concessioni al gusto hollywoodiano, a partire dalla trasformazione in positivo del dottor Frankenstein nella seconda parte (mentre la prima ce lo presentava come un vero e proprio "scienziato pazzo", determinato a travalicare i limiti della natura: anzi, proprio questa pellicola ha contribuito a codificarne la figura, con tanto di assistente deforme al seguito), che mette la testa a posto e, addirittura, anziché essere punito per la sua smisurata ambizione può godere di un lieto fine (con matrimonio, figlio in arrivo, e brindisi finale "alla salute dei Frankenstein", come se non fosse stato lui in fondo il responsabile di ogni tragedia), ciò nonostante non mancano le scene forti, orrorifiche o raccapriccianti: su tutte quella della morte della bambina, Maria, che viene (anche se non consapevolmente) annegata dal mostro. In effetti la censura ebbe da ridire (ed eravamo nel periodo precedente al codice Hays!), chiedendo che fosse tagliata, così come si oppose a una linea di dialogo considerata blasfema (quando Henry afferma "Ora so cosa si prova a essere Dio!"). Per mettere le mani avanti, Laemmle fece inserire un prologo in testa al film, in cui Van Sloan preannuncia agli spettatori che il film «vi emozionerà, forse vi colpirà, potrebbe anche inorridirvi! Se pensate che non sia il caso di sottoporre a una simile tensione i vostri nervi, allora sarà meglio che voi... be', vi abbiamo avvertito!». Da notare anche i titoli di testa, dove il nome dell'attore che interpreta il mostro è sostituito da un punto interrogativo. A film terminato, nei titoli di coda i credits ritornano ("Un buon cast merita di essere ripetuto"), stavolta con il nome di Karloff reinstallato. La fotografia, cupa ed espressionista, è di Arthur Edeson. L'enorme successo al botteghino portò alla realizzazione di una serie di sequel (solo il primo, "La moglie di Frankenstein" del 1935, diretto ancora da Whale), crossover (in cui la creatura incontra altri mostri della Universal, come Dracula o l'uomo invisibile), spin-off, remake (come quello di Kenneth Branagh del 1994), omaggi (come "Demoni e dei") e parodie, la più celebre delle quali (nonché la più fedele al materiale di partenza, arrivando persino a riutilizzare parte dei set originali) è senza dubbio il "Frankenstein Junior" di Mel Brooks (1974), così fedele che oggi è difficile guardare i film di Whale senza pensare, praticamente in ogni scena, alla loro versione comica. Ma è quello che capita un po' a tutte le opere iconiche: l'immaginario popolare se ne appropria e le svuota dell'impatto o dei significati originari.

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