10 novembre 2022

Triangle of sadness (Ruben Östlund, 2022)

Triangle of sadness (id.)
di Ruben Östlund – Svezia/Ger/Fra 2022
con Harris Dickinson, Charlbi Dean
***

Visto al cinema Colosseo, con Marisa.

Carl (Harris Dickinson) e Yaya (Charlbi Dean), giovani modelli e "influencer", partecipano a una crociera di lusso a bordo di uno yacht ricolmo di folli oligarchi russi, imprenditori superficiali e mercanti d'armi insensibili. Fra un episodio e l'altro, la crociera si rivela più movimentata del previsto. E dopo un naufragio, alcuni dei superstiti finiranno su un'isola deserta, dove i rapporti sociali si rovesceranno (l'addetta alle pulizie sulla nave, essendo l'unica in grado di procurare il cibo agli altri, diventa il capo della nuova comunità). Dopo aver vinto la Palma d'Oro a Cannes con un quadrato ("The square" nel 2017), Östlund la rivince con un triangolo (il "triangle of sadness", viene spiegato nella scena iniziale, è la zona delle rughe fra le sopracciglia). E ancora una volta prende di mira, attraverso il linguaggio della satira e del grottesco, i paradossi e le storture di una società dominata dalla vacuità, dalle apparenze e dal denaro, focalizzandosi in particolare sulla moda (dove la bellezza è una "valuta di scambio") e sul mondo dei super-ricchi. Come hanno fatto illustri precedenti prima di lui (vengono in mente il Buñuel de "Il fantasma della libertà" e il Ferreri de "La grande abbuffata", ma anche certe cose di Pasolini o, in tempi recenti, il Bong Joon-ho di "Parasite"), il regista svedese punta sul surreale contrasto fra gli opposti: dai ruoli di genere del maschio e della femmina a livello di regole sociali (vedi il litigio fra Carl e Yaya su chi debba pagare il conto al ristorante) o di rapporti di forza (il matriarcato instaurato sull'isola da Abigail (Dolly De Leon), con Carl nel ruolo del "concubino"); al dibattito "ideologico" fra l'americano comunista (il capitano della nave, interpretato dall'unica star della pellicola, Woody Harrelson) e il russo capitalista (Zlatko Burić); al contrasto fra la raffinatezza della ricchezza (i piatti di alta cucina alla cena sullo yacht) e l'oscenità e il lerciume corporale causato dal mal di mare (vomito e merda! A proposito, sul grande schermo non si vedeva una scena di vomito così dai tempi di "Stand by me", o forse da "Il senso della vita" dei Monty Python). Per non parlare del conflitto fra la civiltà e il "ritorno alle origini", basato sulla necessità di sopravvivere, dei naufraghi che, isolati dal mondo, ribaltano tutte le loro priorità e le regole cui obbedivano in precedenza. Il risultato è un film provocatorio, proprio come era "The square" (ricordiamo tutti la scena dello scimmione sui tavoli), capace di scuotere e far pensare lo spettatore come poche altre pellicole recenti. Fosse uscito negli anni sessanta o settanta, magari firmato da uno dei registi sopra citati, non ci sarebbe stato da stupirsi: ma oggi, in un'epoca di cinema sempre più commerciale, adolescenziale e preconfezionato, Östlund è certamente una mosca bianca. Se dunque il film – a tratti forzato, esagerato e ridondante (soprattutto nella seconda delle tre parti in cui è diviso, intitolate rispettivamente "Carl e Yaya", "Lo yacht" e "L'isola") – non è forse all'altezza dei lavori precedenti del regista (si pensi anche a "Forza maggiore"), riesce comunque a spiccare nel piattume generale che lo circonda. Nell'ottimo cast corale anche Vicki Berlin (Paula, l'addetta alla sicurezza sullo yacht), Iris Berben (la turista tedesca che si esprime con un'unica frase, "In den Wolken!"), Henrik Dorsin e Jean-Christophe Folly.

5 commenti:

Ismaele ha detto...

se il film voleva essere divisivo cè riuscito.

io sono fra i pochi delusi:(

https://markx7.blogspot.com/2022/11/triangle-of-sadness-ruben-ostlund.html

Christian ha detto...

Ti capisco, nel senso che comprendo benissimo come questo tipo di film possa deludere o addirittura disgustare! Ma io, dopo magari essermi sorbito l'ennesimo film Marvel o Netflix fatto con lo stampino, mi accorgo che mi mancano moltissimo film e registi come questo (che negli anni sessanta e settanta abbondavano, per poi sparire salvo poche eccezioni recenti – von Trier, Aronofsky, Bong).

Marisa ha detto...

Anche se più lungo del necessario mi è sembrato un film "necessario" in quest'epoca dominata dalla feroce e ossessiva ricerca dell'apparire e dalle sempre più estreme differenze sociali mascherate dall'illusione del "tutto è possibile" del qualunquismo. Anche il finale che sembrerebbe ribaltare l'andazzo dominante, lo riconferma con amarezza e ci mostra che in realtà non è cambiato niente...

Christian ha detto...

Forse la sua provocazione può sembrare cadere nel vuoto proprio perché di queste tendenze siamo (almeno) consapevoli... Ma non per questo gli artisti non devono rinunciare a metterle in risalto, anche ricorrendo (come in questo caso) alla satira e al grottesco.

Christian ha detto...

Aggiornamento Oscar: ben tre nomination "importanti" (miglior film, regia e sceneggiatura) per "Triangle of sadness". Curiosamente manca quella per il film straniero (forse perché recitato in inglese?).