4 aprile 2021

La naissance, la vie et la mort du Christ (A. Guy, 1906)

La naissance, la vie et la mort du Christ
aka La vie du Christ
di Alice Guy, Victorin Jasset – Francia 1906
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Alice Guy è stata la prima regista donna nella storia del cinema. Aveva esordito nel 1896 con "La fée aux choux" (film andato perduto, ma di cui sono sopravvissuti due remake con lievi differenze, girati dalla stessa Guy nel 1900 e nel 1902), realizzato mentre lavorava come segretaria di Léon Gaumont, fondatore dell'omonima società di materiale fotografico (divenuta in seguito un'importante casa di produzione cinematografica, la più antica tuttora in attività). Dal 1897 al 1907 diresse e supervisionò l'intero settore cinematografico della Gaumont: oltre a realizzare numerose pellicole, sperimentò anche nei campi più tecnologici della sincronizzazione del suono, della colorazione e degli effetti speciali. Dopo aver sposato il produttore britannico Herbert Blaché nel 1907, si trasferì in America insieme a lui, fondando a New York la Solax (una delle maggiori compagnie cinematografiche precedenti l'era di Hollywood) e lasciando la Gaumont nelle mani del suo assistente Louis Feuillade. Negli Stati Uniti, fra le altre cose, pare che abbia realizzato alcuni dei primi film con un cast composto soltanto da attori afro-americani.

Questo kolossal sulla vita di Cristo, da lei diretto insieme a Victorin Jasset, fu la risposta della Gaumont al grande successo della rivale Pathé, "La vie et la passion de Jésus-Christ", firmato da Ferdinand Zecca e Lucien Nonguet nel 1903. All'epoca era perfettamente normale realizzare veri e propri "remake" di pellicole di successo, anche perché le leggi sul copyright non esistevano o venivano raramente applicate, e anche in questo caso un confronto con il film della Pathé mostra tantissime similitudini, forse inevitabili visto l'identico soggetto trattato. Rispetto al film di Zecca, però, questo presenta scenografie più ricche e sontuose e risulta complessivamente più elaborato nei costumi e nella messa in scena, oltre a vantare un maggior numero di comparse (in totale ne furono usate ben 300). L'iconografia si rifà a quella classica ma anche alle celebri illustrazioni del Nuovo Testamento di James Tissot. Per quanto riguarda la regia, invece, non si notano particolari novità di rilievo, anche se la scelta delle inquadrature è varia (alcune sequenze, come l'ultima cena, non sono frontali ma in leggera prospettiva), e non mancano profondità di campo, inserti con piano americano (santa Veronica) e movimenti di macchina (la salita al Golgota). La recitazione è enfatica, con gli attori – i cui nomi restano sconosciuti – che ricorrono ad ampi gesti delle braccia. Essenzialmente si tratta della rappresentazione illustrata di episodi con cui il pubblico aveva già familiarità (non ci sono dialoghi o spiegazioni di quello che si vede sullo schermo, e se qualcuno ipoteticamente non conoscesse i Vangeli comprenderebbe poco o nulla della storia). Ogni episodio è introdotto da un cartello con il suo titolo: lo spazio maggiore è dedicato alla passione e alla via crucis, che occupano due terzi del film. L'unico vero effetto speciale (a parte le apparizioni di angeli e angioletti) è nella scena della resurrezione, in cui si vede Gesù ascendere al cielo. Nota: il film fu la prima grande produzione girata alla Cité Elgé, all'epoca il maggiore complesso di studi cinematografici e teatri di posa al mondo, costruito l'anno precedente dalla Gaumont a La Villette.

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