29 aprile 2021

An elephant sitting still (Hu Bo, 2018)

An Elephant Sitting Still (Da xiang xi di er zuo)
di Hu Bo – Cina 2018
con Peng Yuchang, Zhang Yu
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Visto in TV (RaiPlay), in originale con sottotitoli.

Nell'arco di una sola giornata, quattro personaggi che abitano in un quartiere popolare della città di Shijiazhuang vivono il loro dramma esistenziale mentre le rispettive storie si intrecciano. Il giovane Wei Bu (Peng Yuchang), per difendere un amico accusato di furto dal bullo della scuola, fa cadere senza volerlo quest'ultimo giù dalle scale. La sua compagna di classe Huang Ling (Wang Yuwen) viene accusata di avere una relazione con il vicepreside. L'anziano Wang Jin (Liu Congxi) rifiuta di essere rinchiuso dai parenti in un ospizio con la scusa di dover badare al proprio cagnolino, ma l'animale viene ucciso da un cane randagio. Il gangster Yu Cheng (Zhang Yu), fratello maggiore del bullo di cui sopra, è testimone del suicidio del proprio miglior amico dopo che questi ha scoperto che la moglie lo tradiva proprio con Yu. Tutti e quattro manifesteranno a più riprese il desiderio di abbandonare la città e di fuggire lontano, magari a Manzhouli, nella Mongolia Interna, il cui zoo ospita un elefante che "resta seduto tutto il giorno"... Primo e unico lungometraggio (dopo tre corti) diretto dallo scrittore Hu Bo, che si è suicidato a soli 29 anni subito dopo averne terminato le riprese e il montaggio: e il tema del suicidio (visto come fuga dalla disperazione) adombra tutte le vicende dei vari personaggi, che si arrabattano fra disillusione e pessimismo in un ambiente disagiato, fra l'ostilità dei parenti e la mancanza di vie di scampo. "Il mondo è una terra desolata", dice a un certo punto un amico di Wei Bu. Tutti, sia giovani che vecchi, sono privi di speranza e di futuro, attorniati da tragedie che capitano loro quasi per caso o per incidente, ma i cui sensi di colpa li spingeranno a una fuga impossibile da portare fino in fondo (nessuno arriverà a Manzhouli: né con il treno, che viene soppresso, né con l'autobus, che si fermerà in uno spiazzo in mezzo al nulla, da dove peraltro si udrà il barrito dell'elefante durante la notte). D'altronde, come spiega Wang Jin a Wei Bu, è inutile fuggire perché anche altrove "non c'è nessuna differenza": tanto vale provare a sopravvivere dove ci si trova. Dall'andamento lento ma avvolgente, con i suoi tempi (dura quasi quattro ore), una fotografia plumbea e spesso in controluce, una macchina da presa che segue sempre da vicino gli attori e con lunghi piani sequenza, il film coinvolge e fa partecipare insieme ai personaggi a un frammento della loro esistenza, con grande realismo ma anche un ampio respiro che rende quasi universali le loro storie corali e interconnesse.

2 commenti:

Marisa ha detto...

Il miglior film visto in questo lungo periodo di astinenza...Quello che si respira, senza alcuna pateticità, è la solitudine che in una grande città in continuo cambiamento circonda i personaggi, la mancanza di empatia soprattutto tra le mura domestiche. L'ultima a morire è proprio l'illusione di cui l'elefante seduto in meditazione è il simbolo...ma rimane irraggiungibile e il barrito che si sente alla fine sembra soltanto l'ultimo grido di disperazione. Il suicidio del giovanissimo e bravissimo regista rende ancora più struggente ed inquietante una realtà che non aspetta più redenzione.

Christian ha detto...

Guardare il film sapendo già del suicidio del regista è davvero strano... perché molte volte si percepisce nei personaggi stessi un certo pessimismo e una voglia di farla finita con il mondo, che dunque non è finzione ma faceva parte proprio del modo di essere dell'autore...