20 dicembre 2019

Star Wars: L'ascesa di Skywalker (J.J. Abrams, 2019)

Star Wars: L'ascesa di Skywalker
(Star Wars: The Rise of Skywalker)
di J.J. Abrams – USA 2019
con Daisy Ridley, Adam Driver
*1/2

Visto al cinema Colosseo.

L'imperatore Palpatine non è morto alla fine de "Il ritorno dello Jedi" e offre a Kylo Ren una flotta di Star Destroyer, ciascuno munito di un cannone in grado di disintegrare un intero pianeta, per conquistare l'universo e fondare un nuovo impero, l'Ordine Finale. Il figlio di Han Solo accetta, ma in cuor suo vorrebbe eliminare l'imperatore e allearsi con Rey, che però è ancora incerta sul proprio futuro. Continuando l'addestramento da Jedi e collaborando con la Resistenza, la ragazza si lancia con gli amici Finn e Poe alla ricerca di Exegol, il misterioso pianeta su cui si nasconde Palpatine, con l'intenzione di distruggerne la flotta. Lungo la strada, scoprirà finalmente la verità su sé stessa. Diretto, come il primo, da J.J. Abrams (che diventa il secondo regista dopo George Lucas a firmare due episodi diversi della saga), in sostituzione di Colin Trevorrow, inizialmente designato e poi licenziato per divergenze creative (è la seconda volta di fila che accade, dopo lo spin-off "Solo"), il terzo capitolo della cosiddetta "trilogia sequel" di "Star Wars" (nonché il nono episodio in totale se seguissimo la numerazione tradizionale) regala la consueta dose di intrattenimento ma è anche uno dei più piatti e derivativi, nonché quello con meno creatività e fantasia di tutta la saga: difficile individuare una sequenza, un'ambientazione o un nuovo personaggio che rimarrà nella memoria collettiva. Quando la Disney aveva acquistato i diritti da Lucas e aveva messo in cantiere le nuove pellicole, la scelta di ripartire con un "remake" a tutti gli effetti del prototipo era sembrata in fondo corretta, perché è naturale che una saga che dura da 42 anni guardi indietro alla propria mitologia per rilanciarsi, purché da quelle basi si costruisca poi qualcosa di nuovo. E invece in questo film si procede con il pilota automatico e il freno a mano tirato, ma soprattutto con una devozione al passato che tarpa continuamente le ali alla sceneggiatura, che peraltro si dipana in maniera meccanica (i personaggi vanno dal punto A al punto B, e poi al C, come in un videogioco) o accatasta eventi random e inconsequenziali (vedi la perdita di memoria di C-3PO, quasi subito ripristinata). In ruoli che non sono altro che camei più o meno prolungati, ricompaiono quasi tutti i personaggi "classici", da Luke ad Han (entrambi sotto forma di fantasmi/visioni), da Leia (che muore: Carrie Fisher era scomparsa nel 2016, qui vengono riutilizzate scene girate durante la lavorazione dei film precedenti) a Lando Calrissian, da Chewbacca ai droidi, fino all'improbabile ritorno dell'imperatore (Abrams non sa nemmeno inventarsi un nuovo cattivo). Riesumata anche la Morte Nera, i cui rottami ospitano una breve sequenza, e persino la rivalità fra Sith e Jedi, ma solo a parole, con una tensione inferiore persino a quella dei vituperati prequel di Lucas, che (chi l'avrebbe mai detto?) dal confronto con questi sequel escono addirittura rivalutati.

E i nuovi personaggi, che in teoria qui concludono un percorso di crescita durato ben tre film e oltre sette ore? Come nel precedente "Gli ultimi Jedi", di fatto gli unici di rilievo e con un certo spessore sono Rey (Daisy Ridley) e Kylo Ren (Adam Driver): tutti gli altri – Finn (John Boyega) e Poe Dameron (Oscar Isaac) in testa – rimangono accessori di contorno o macchiette che servono soltanto a fare numero, a elargire battutine e a riciclare dinamiche e situazioni del passato. Mentre il Generale Hux (Domhnall Gleeson) si rivela una spia, come new entry abbiamo il "cattivo" ufficiale Pryde (Richard E. Grant), l'ennesimo robottino (D-O) e due possibili "interessi romantici" per Finn e Poe (rispettivamente l'amazzone Jannah (Naomi Ackie) e la guerriera in armatura Zorri Bliss), i quali possono così rimanere comprimari anche sul piano sentimentale e non ostacolare la relazione, prevista a tavolino sin dall'inizio, fra Rey e Kylo Ren. Quest'ultimo viene sacrificato nel finale, quando ormai aveva comunque perso gran parte della sua ragion d'essere. La protagonista prosegue invece la sua crescita, acquisendo poteri e capacità sempre maggiori (con tanto di lotta con sé stessa che fa il verso a quella di Luke ne "L'impero colpisce ancora"): la rivelazione che si tratta della nipote di Palpatine rovina un po' una delle migliori trovate de "Gli ultimi Jedi" (un'origine "normale", una volta tanto) ma contribuisce a portare avanti il tema fondante della saga, ovvero le sfumature che si celano nello scontro fra il bene e il male. Il controfinale in cui la ragazza si dichiara orgogliosamente una Skywalker, infine, cerca di giustificare un titolo ancora una volta ambiguo e poco azzeccato. In teoria potremmo rivedere Rey nei prossimi film, chissà se da protagonista o per accompagnare il cammino di altri personaggi: ma probabilmente si andrà in direzioni opposte, tornando a rivisitare il passato (glorioso) della franchise. Da sottolineare nuovamente l'insistenza sul "girl power" che caratterizza questa trilogia, frutto del clima culturale che si respira in questi anni negli Stati Uniti: a parte la protagonista e alcuni dei succitati comprimari, per la prima volta si odono (ripetutamente!) voci femminili provenire dagli assaltatori, per non parlare delle tante donne presenti fra i membri della Resistenza (compresa un'evidente coppia lesbica). Ah, fra i piloti ribelli si riconosce anche Kevin Smith. Il film è stato girato, fra le altre location, nella Valle della Luna (Wadi Rum) in Giordania. La sceneggiatura è di Abrams e Chris Terrio (inizialmente avrebbe dovuto scriverla Rian Johnson, il regista dell'episodio precedente), la musica – per l'ultima volta, pare – di John Williams.

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