28 maggio 2019

Black Panther (Ryan Coogler, 2018)

Black Panther (id.)
di Ryan Coogler – USA 2018
con Chadwick Boseman, Michael B. Jordan
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Visto in divx.

La piccola nazione del Wakanda, situata nel cuore dell'Africa nera e completamente isolata dal mondo esterno, è segretamente ricca e tecnologicamente avanzata (pur conservando riti etnici e tradizioni ancestrali) grazie al vibranio, un metallo di origine extraterrestre che si trova nel suo sottosuolo e che consente di sviluppare armi e tecnologie avveniristiche. T'Challa (Chadwick Boseman), nuovo monarca dopo la morte del padre T'Chaka (avvenuta in "Captain America: Civil War", film che introduceva il personaggio nel Marvel Cinematic Universe), intende proseguire la politica di isolamento voluta dai propri antenati: ma la sua decisione sarà messa a dura prova dal cugino rivale Killmonger (Michael B. Jordan), che ne vuole usurpare il trono. Supereroe minore della Casa delle Idee, Pantera Nera (o Black Panther, come il marketing impone di chiamarlo anche in Italia) è il protagonista del primo film Marvel con un cast quasi esclusivamente di colore (fanno eccezione Martin Freeman nei panni dell'agente della CIA Everett Ross e l'ottimo Andy Serkis in quelli del malvagio trafficante d'armi Klaw, già visto a sua volta in "Avengers: Age of Ultron"), osannato proprio per questo motivo dalla critica e dal pubblico d'oltreoceano (e nominato a ben sette premi Oscar, compreso quello per il miglior film, vincendo le statuette per la scenografia, i costumi e la colonna sonora). Eppure, nonostante gli elogi, l'impressione è quella di trovarsi di fronte a un prodotto non particolarmente profondo o innovativo, nemmeno considerando la media della Marvel. Abbiamo una trama poco originale (con rimandi a "Il re leone" nelle scene delle visioni in cui T'Challa parla con il padre defunto), un protagonista di scarso carisma (molto meglio il cattivo, che almeno ha reali motivazioni, e persino i comprimari), scene d'azione piuttosto mediocri (alcuni combattimenti sembrano quasi al rallentatore), una CGI onnipresente ma non sempre di eccellente qualità, una sceneggiatura priva di dialoghi memorabili (per non parlare delle occasionali battutine che stonano con la seriosità di tutto il resto). Gli accenni alle questioni razziali antiche o moderne (il colonialismo, lo schiavismo, le lotte per i diritti civili, il dramma dei profughi) donano almeno una patina di spessore a quello che resta comunque un film d'intrattenimento, rendendo comprensibile l'entusiasmo, l'orgoglio e l'identificazione da parte del pubblico afro-americano (è praticamente la versione moderna – e supereroistica – dei film di blaxploitation degli anni settanta). Lupita Nyong'o è Nakia, spia wakandiana ed ex fidanzata di T'Challa; Danai Gurira è la guerriera Okoye, guardia del corpo del re; Letitia Wright è Shuri, la sorellina scienziata di T'Challa che gli fornisce armi e gadget (praticamente una variante di "Q" di James Bond). Daniel Kaluuya e Winston Duke sono due capi tribù del Wakanda. Piccoli ruoli per Angela Bassett (la regina madre), Forest Whitaker (lo sciamano) e Isaach De Bankolé (uno degli anziani). Stan Lee (che ha creato il personaggio insieme a Jack Kirby nel 1966 sulle pagine de "I Fantastici Quattro") fa il suo consueto cameo nel ruolo di un giocatore al casinò in Corea. Scadente il doppiaggio italiano. A parte gli accenni ai due film Marvel già citati e il controfinale con Bucky Barnes, la pellicola è essenzialmente fruibile a sé stante: ma il personaggio (del quale è in produzione un secondo capitolo "a solo") riapparirà nei lungometraggi successivi degli Avengers.

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