I miei giorni più belli (A. Desplechin, 2015)
I miei giorni più belli (Trois souvenirs de ma jeunesse)
di Arnaud Desplechin – Francia 2015
con Léonard Matton, Lou Roy-Lecollinet
**1/2
Visto al cinema Plinius, con Sabrina, in originale con sottotitoli (rassegna di Cannes).
Quando l'antropologo Paul Dedalus si appresta a tornare in Francia dopo dieci anni di viaggi all'estero, viene fermato dalle autorità perché qualcosa non torna nel suo passato. L'uomo si ritrova così a raccontare a uno sconosciuto alcuni eventi della sua adolescenza che non aveva mai confidato a nessuno. Si tratta di un viaggio nei ricordi e nelle esperienze di gioventù, diviso in tre capitoli: l'infanzia (con il difficile rapporto con la madre, pazza e odiata, che morì quando lui aveva undici anni); un gita scolastica in Unione Sovietica, quando con un compagno di scuola si offrì di aiutare alcuni dissidenti a lasciare il paese (regalando loro il suo passaporto); e soprattutto il rapporto con Esther, irrequieta e bella ragazza di Roubaix, conosciuta negli ultimi anni del liceo e frequentata "a distanza", più tramite lettere e pensieri che non dal vivo, durante i primi anni di studi universitari a Parigi. Ne risulta un intenso e insolito romanzo di "coming-of-age" ambientato a cavallo fra la fine degli anni ottanta e l'inizio dei novanta (in televisione si vedono il crollo del muro di Berlino e Gorbaciov), ritratto di un ragazzo diverso dagli altri, timido e inquieto e al tempo stesso estroverso e originale, capace di atti coraggiosi e istintivi così come di rinchiudersi nel proprio mondo di pensieri e di cultura, attorniato da amici e parenti (il fratello Ivan e le sue ossessioni religiose, la sorella Delphine, il cugino Bob) che col tempo abbandonerà perché destinato a rimanere solo. Un personaggio a suo modo unico, che il regista segue con precisione e attenzione come se si trattasse di un alter ego, e che la macchina da presa osserva con cura entomologica (ogni sequenza si apre e si chiude con il mascherino a iride, tipico dei film muti). Non mancano momenti romantici (l'idillio di Paul ed Esther a Parigi), di crescita culturale (gli studi di antropologia con un'insegnante che diventa per Paul una nuova madre; la scoperta del greco, lingua che ben si abbina al suo ingombrante cognome), di dinamiche affettive, famigliari (anche con il padre, assente o inadeguato) o di amicizia (tradita), per un affresco giovanile a tutto tondo che mi è parso più sincero e meno pretenzioso delle altre opere del regista che avevo visto in passato. Da notare comunque che il film, pur visibile a sé stante, è tecnicamente il prequel di un'altra pellicola di Desplechin, "Comment je me suis disputé... (ma vie sexuelle)" del 1996, visto che il protagonista Paul Dedalus (interpretato da adulto da Mathieu Amalric) è lo stesso.
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