31 ottobre 2021

Ju Dou (Zhang Yimou, 1990)

Ju Dou (id.)
di Zhang Yimou, Yang Fengliang – Cina/Giappone 1990
con Gong Li, Li Baotian
**1/2

Rivisto su YouTube, in originale con sottotitoli inglesi.

L'anziano e avaro Yang (Li Wei), proprietario di una tintoria in un piccolo villaggio nella Cina degli anni Venti, sposa la giovane Ju Dou (Gong Li), nella speranza di avere finalmente quell'erede maschio che ha sempre sognato. Di fronte ai maltrattamenti che la donna deve subire, il nipote adottivo di Yang che lavora nella tintoria, Tianqing (Li Baotian), se ne innamora: e sarà proprio lui a mettere incinta Ju Dou, che darà finalmente alla luce un bambino. Ma l'amore fra i due sarà osteggiato dal destino avverso. Il secondo film a portare Zhang Yimou alla ribalta internazionale, dopo il debutto con "Sorgo rosso" (con cui condivide l'ambientazione rurale e la collocazione temporale) e prima di "Lanterne rosse", è stato anche uno dei primi film cinesi prodotto con capitali esteri (nella fattispecie, giapponesi): riscosse un grande successo critico, con tanto di nomination agli Oscar come miglior film straniero. Tratto da un romanzo popolare di Lui Heng (autore anche della sceneggiatura), ne restringe l'ambientazione sia temporalmente (la storia si svolge nell'arco di una decina d'anni) che spazialmente (tutta la vicenda è concentrata praticamente all'interno della tintoria, spazio scenico che con i suoi tessuti colorati appesi ad asciugare, le vasche della tintura, le corde, gli ingranaggi e le ruote dentate, caratterizza in maniera notevole l'intero dramma). Anche le relazioni fra i personaggi (solo quattro di fatto, contando anche il bambino) guidano la trama in maniera dinamica: si passa dai soprusi del vecchio Yang al capovolgimento dei rapporti di forza quando questi si ritrova paralizzato e alla mercé dei due amanti, per poi cambiare nuovamente con la morte del vecchio (che costringe Tianqing e Ju Dou a vivere separati, per evitare pettegolezzi) e la crescita del figlio, che inaspettatamente si era schierato dalla parte di Yang. Se l'incipit, scenario a parte, poteva ricordare un noir in stile "Il postino suona sempre due volte", gli sviluppi fanno pensare a un melodramma o, salendo di tono, a una tragedia greca. E il contorno, il villaggio ancora prigioniero di tradizioni arretrate (vedi il funerale) e di dettami morali che mettono i bastoni fra le ruote alla ricerca di felicità dei protagonisti, ha stimolato anche letture politiche ("una metafora del processo di restaurazione che pose fine agli entusiasmi e ai sogni che si erano accompagnati alla Rivoluzione Culturale"), il che spiega perché non fu bene accolto dalle autorità in patria. Ottima la regia, così come la fotografia di Gu Changwei, particolarmente attenta ai cromatismi (i colori gialli e rossi dei drappi appesi ad asciugare). Il secondo regista accreditato, Yang Fengliang, aveva collaborato con Zhang anche nel precedente "Operazione Cougar": di lui di sa poco o nulla, ma Zhang ha dichiarato che si trattava di un supervisore che gli era stato affiancato perché era ritenuto ancora troppo inesperto per girare un film da solo.

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