4 settembre 2021

Le bianche distese (M. Rasoulof, 2009)

Le bianche distese (Keshtzar haye sepid)
di Mohammad Rasoulof – Iran 2009
con Hasan Pourshirazi, Younes Ghazali
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Visto su YouTube, in originale con sottotitoli inglesi.

Da trent'anni Rahmat (Pourshirazi), con la sua barca a remi, visita i villaggi e le comunità che vivono sulle isole rocciose e sulle coste di un vasto lago salato (il film è stato girato sul Lago di Urmia, nelle province azere dell'Iran settentrionale) per "raccogliere le lacrime" degli abitanti. Le versa infatti in un'ampolla di vetro e le porta via, insieme a tutti i loro dolori: nel far questo è testimone di lutti, funerali, ma anche strani riti, cerimonie e superstizioni, spesso crudeli (una ragazza data "in sposa al mare" affinché interceda per far cadere la pioggia; un nano calato in un pozzo per recare agli spiriti sotterranei le preghiere degli abitanti del villaggio, le cui parole sono state racchiuse in barattoli di vetro; un pittore condannato alla cecità perché si ostina a dipingere il mare di colore rosso). Ad accompagnarlo, per un breve periodo, ci sarà un ragazzo, Nassim (Ghazali), che si finge sordo e muto, partito alla ricerca del proprio padre. Suggestivo, poetico e visionario (gli elementi antropologici sono in gran parte frutto dell'immaginazione del regista, anche sceneggiatore), il terzo film di finzione di Rasoulof si colloca in quell'area del World Cinema già frequentata da autori come Pasolini ("Medea"), Paradžanov ("Ashik Kerib") e Naderi ("Acqua, vento, sabbia"), fra riti ancestrali, antichi costumi e località sperdute nell'Asia centrale. Proprio i magnifici scenari (le coste e gli scogli incrostati di sale, le acque del lago che si confondono con il cielo, le isole rocciose sperse in mezzo al nulla) valgono da soli la visione, senza poi contare le musiche e i canti popolari che punteggiano gli eventi e la bellezza di un mondo arcaico e fuori dal tempo. Per il resto i dialoghi sono sparsi e rarefatti, i personaggi semplici osservatori, la tavolozza cromatica basilare. A curare il montaggio c'è Jafar Panahi, collega e amico del regista e a sua volta grande cineasta: sia Rasoulof che Panahi, rappresentanti di un cinema anticonformista e indipendente, avranno continui problemi con la censura di stato e saranno condannati nel 2010 per "propaganda contro il governo" a non poter girare più altri film (cosa che continueranno invece a fare clandestinamente). L'episodio del pittore imprigionato, i cui occhi vengono "rieducati" a forza perché, a differenza di tutti gli altri, vede (e dipinge) il mare di colore rosso anziché blu, è una chiara metafora delle pressioni e delle persecuzioni del regime verso gli artisti non allineati.

2 commenti:

Ismaele ha detto...

è davvero un gran film,
Mohammad Rasoulof è uno dei più bravi registi in giro, censurato in patria e poco conosciuto nel mondo

https://markx7.blogspot.com/2020/06/white-meadows-mohammad-rasoulof.html

Christian ha detto...

Anch'io lo conoscevo poco, e ho iniziato a scoprirlo solo di recente...