7 gennaio 2021

Prima della pioggia (M. Manchevski, 1994)

Prima della pioggia (Pred doždot, aka Before the rain)
di Milcho Manchevski – Macedonia 1994
con Rade Serbedzija, Katrin Cartlidge
***1/2

Rivisto in TV.

Bellissima pellicola divisa in tre episodi concatenati in maniera circolare: nel primo ("Parole"), un giovane monaco che si è votato al silenzio (Gregoire Colin) accoglie nel proprio monastero, fra i monti della Macedonia, una ragazzina albanese (Labina Mitevska) in fuga da un gruppo di uomini che la vogliono uccidere; nel secondo ("Volti"), a Londra, una giornalista (Katrin Cartlidge) rifiuta la proposta del fotografo di cui è innamorata (Rade Serbedzija) di trasferirsi con lui in Macedonia, anche perché è incinta dell'ex marito (Jay Villiers): ma la guerra di cui aveva tanto paura farà capolino anche nella capitale inglese; nel terzo ("Immagini"), il fotografo di cui sopra, Alex, torna nel proprio villaggio natale, dove si ritrova in mezzo a una faida fra i propri parenti e la famiglia albanese cui appartengono sia la sua amata di un tempo, Hana (Silvija Stojanovska), che la figlia di quest'ultima (e forse sua), Zamira. E proprio Zamira è la ragazza che fuggirà nel primo episodio. Come il contemporaneo "Pulp fiction" di Tarantino, infatti, il film d'esordio di Manchevski ha una struttura cronologica "sfasata": ogni episodio potrebbe essere quello iniziale, come suggerisce anche l'aforisma "Il tempo non aspetta, il cerchio non è rotondo", ripetuto in ciascuno dei tre segmenti (nel primo e nel terzo pronunciato da un monaco anziano, nel secondo sotto forma di graffito su un muro). Il cerchio è anche quello dell'odio e della vendetta, delle faide etniche e della guerra civile, che pare impossibile da spezzare. Sia la fuga (Zamira), sia il mantenimento di una distanza apparente (Anne), sia il ritorno a casa (Alex) si rivelano inutili per sfuggire alla cattiveria e all'odio che insanguinano la terra e calpestano i sentimenti più puri. Nel passare da un episodio all'altro, anche lo stile filmico muta: si comincia con toni e atmosfere da world cinema, con scenari idilliaci e un (neo)realismo da festival, per passare progressivamente al dramma intenso e al grido di dolore per una terra martoriata e funestata da arretratezza e conflitti: il tutto un po' ricorda le pellicole iraniane (alcuni paesaggi sembrano uscire dai lavori di Kiarostami) e un po' anticipa quelle del primo Kim Ki-duk (il monaco muto, l'isolamento e la violenza). E sopra le follie degli uomini, il destino incombe sotto forma di grigi nuvoloni che rombano e minacciano pioggia in continuazione (ma le prime gocce cominceranno a cadere quando ormai la tragedia si è conclusa). Lo stile di Manchevski, regista/sceneggiatore che nel prosieguo della sua carriera uscirà un po' dai riflettori, è ricco e complesso (e cita, fra le altre cose, il John Ford di "Sentieri selvaggi" e, per restare in tema di pioggia, "Raindrops keep fallin' on my head" dal film "Butch Cassidy": si vede che al regista piace il western, e infatti il suo lavoro successivo, "Dust", apparterrà proprio a questo genere). Leone d'oro alla mostra di Venezia, ex aequo con "Vive l'amour" di Tsai Ming-liang.

2 commenti:

Marisa ha detto...

Ricordo solo l'atmosfera (affascinante) e ...la mosca che ronza prima della pioggia...
Vorrei rivederlo, ma dove lo trovo?

Christian ha detto...

Io l'ho visto su Prime Video.