24 gennaio 2021

Django (Sergio Corbucci, 1966)

Django
di Sergio Corbucci – Italia/Spagna 1966
con Franco Nero, Loredana Nusciak
**1/2

Rivisto in TV (Prime Video).

L'enigmatico Django (Franco Nero), ex soldato yankee che attraversa il deserto trascinandosi dietro una cassa da morto, giunge in un villaggio nei pressi del confine fra Stati Uniti e Messico, dove è in corso una faida fra gli scagnozzi del maggiore sudista Jackson (Eduardo Fajardo), che ha dato vita a una vera e propria setta razzista caratterizzata dai cappucci rossi, e la banda di rivoluzionari messicani in esilio guidati dal generale Hugo (José Bódalo). Intenzionato a perseguire una sua misteriosa vendetta, dopo aver salvato la prostituta Maria (Loredana Nusciak) dalle grinfie di entrambi i gruppi, il protagonista sgominerà gli uomini del maggiore grazie alla mitragliatrice che nasconde nella bara. Iperviolento, astratto, sporco e cinico, un film che fece scalpore e contribuì a indirizzare il filone degli spaghetti western verso gli stilemi che lo connoteranno negli anni a venire. Non gli mancano i difetti: la trama sembra quasi improvvisata man mano che procede, con cambio di focus e scarsa caratterizzazione del protagonista. La prima parte è sicuramente la migliore, ricca di sorprese, mentre la sezione centrale (quando Django si allea con i messicani per rapinare il forte) è più convenzionale, così come lo sono gran parte dei comprimari (a cominciare dal personaggio femminile). Resta certamente impressa la violenza, con ampi spargimenti di sangue, il sadismo (si pensi alla scena dell'orecchio tagliato, di cui si ricorderà Tarantino ne "Le iene", ma anche alle mani fratturate), gli spazi fangosi, le sabbie mobili: siamo lontani anni luce dalle ambientazioni pulite e dalle atmosfere dei classici western hollywoodiani. Persino Sergio Leone, che ai tempi aveva diretto soltanto i primi due film della sua trilogia del dollaro (e verso il cui "Per un pugno di dollari", e quindi di riflesso verso Akira Kurosawa e Dashiell Hammett, il soggetto mostra qualche debito) non si era ancora spinto a tanto. Alla sceneggiatura hanno contribuito Bruno Corbucci (fratello di Sergio), Franco Rossetti e, non accreditato, Fernando Di Leo. Ruggero Deodato è l'aiuto regista, Enzo Barboni il direttore della fotografia, Luis Bacalov l'autore delle musiche (e della title song "Django"). Nonostante le riserve della critica per l'eccessiva violenza, la pellicola riscosse un grande successo: negli anni a venire uscirono numerosi sequel "apocrifi", o film che richiamavano Django nel titolo – o reintitolati come tali quando venivano distribuiti all'estero – pur avendo poco o nulla a che fare con l'originale (se ne contano almeno una trentina!), se non il tema generico del misterioso pistolero vendicatore, spesso in lotta contro bande di razzisti. Fra gli omaggi e le rivisitazioni, sono ovviamente da ricordare "Sukiyaki Western Django" di Takashi Miike (2007) e "Django Unchained" di Quentin Tarantino (2012): in quest'ultimo appare anche Franco Nero in un divertente cameo ("La D è muta"). Citazioni del personaggio che si trascina dietro una bara si ritrovano anche in parecchi anime giapponesi, da "Ken il guerriero" a "Cowboy Bebop".

2 commenti:

Riky Giannini ha detto...

A parte il filone di Leone, per me questo è lo spaghetti western capolavoro, anche perché, come molti spaghetti western, non divide tra buoni e cattivi, ma ci sono persone con tanti lati grigi.
Non privo di difetti (d'altra parte la sparatoria finale è ai limiti dell'assurdo), ma clamorosamente epico.

Christian ha detto...

Sicuramente molto divertente (soprattutto la prima mezz'ora), e anche molto influente! I pregi che citi ci sono tutti. A me però non ha mai convinto fino in fondo, mi pare un po' incoerente come storia e come caratterizzazione del protagonista. I miei spaghetti western preferiti, dopo quelli di Leone (e i due "Trinità"!), sono forse quelli di Sergio Sollima ("Faccia a faccia" e "La resa dei conti").