Sorgo rosso (Zhang Yimou, 1987)
Sorgo rosso (Hong gaoliang)
di Zhang Yimou – Cina 1987
con Gong Li, Jiang Wen
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Rivisto in divx, in originale con sottotitoli.
Alla fine degli anni venti, in una zona rurale della provincia di Shandong (nella regione nord-orientale della Cina), la giovane Jiu-Er (Gong Li), "Nove Fiori", viene destinata in matrimonio dalla famiglia a un uomo ricco, anziano e malato, proprietario di una distilleria di vino di sorgo nel bel mezzo del deserto. L'uomo, però, muore dopo una sola notte di nozze, e la ragazza diventa così l'unica proprietaria della fabbrica, che farà prosperare con l'aiuto dei lavoranti, uno dei quali (Jiang Wen) diverrà il padre di suo figlio. Nove anni più tardi, con l'arrivo dei giapponesi, Jiu-er e gli uomini della distilleria si sacrificheranno per combattere gli invasori. Uno dei primi film della cosiddetta "quinta generazione" cinese (ovvero di quei registi e autori cresciuti dopo la Rivoluzione Culturale), nonché il primo titolo della Repubblica Popolare della Cina a essere distribuito ufficialmente nel nostro paese, il lungometraggio – che vinse l'Orso d'Oro al festival di Berlino e fece conoscere internazionalmente il regista Zhang Yimou (qui all'esordio) e l'attrice Gong Li – adatta con grande intensità le prime due parti (di cinque) dell'omonimo romanzo epico-generazionale di Mo Yan. Siamo lontani dalle opere di propaganda che avevano caratterizzato il cinema cinese nei decenni precedenti (anche se ne permangono alcune tracce: si pensi al comportamento di Jiu-Er quando diventa padrona della distilleria, rifiutando di farsi chiamare capo e coinvolgendo tutti i lavoratori nella sua gestione collettiva; o in generale alla seconda parte, quando la vicenda cambia rapidamente di tono, e da fiaba quasi atemporale si fa più drammatica e legata agli eventi storici): i personaggi sono mossi da passioni e sentimenti individuali, come l'erotismo o il desiderio di vendetta. In effetti, nel finale Jiu-Er e i suoi uomini non si battono contro i giapponesi per difendere la patria, ma per vendicare uno dei loro compagni, il "fratello Liu" (Ting Rujun), ucciso dagli invasori. Nonostante fosse il suo primo lavoro da regista, il film mette già in mostra tutta la maestria e la vena autoriale di Zhang Yimou, che trasfigura i bei paesaggi desertici, le terre frequentate dai briganti e i vasti campi di canne di sorgo mossi dal vento con una fotografia (di Gu Changwei) filtrata con colori intensi, soprattutto rossicci. Da notare che lo stesso Zhang, prima di darsi alla regia, è stato direttore della fotografia. Il rosso, che richiama tanto il vino di sorgo quanto il sangue (ed è ovviamente anche il colore della Cina), e dunque tutte le passioni che muovono i personaggi, caratterizza cromaticamente ogni scena della pellicola (con l'eccezione di alcune vedute notturne, con la luna piena verde che si staglia nel cielo senza stelle), culminando con la rossa eclissi finale. L'attenzione ad ambienti e culture rurali e marginali della Cina rende "viva" la vicenda (si pensi alle tradizioni legate al matrimonio della ragazza, o al canto dei lavoranti per la distillazione del vino). L'intera storia è raccontata dalla voce di un narratore fuori campo, nipote dei due protagonisti (proprio come avverrà in un successivo film di Zhang, "Il viaggio verso casa").
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