L'ultimo imperatore (B. Bertolucci, 1987)
L'ultimo imperatore (The Last Emperor)
di Bernardo Bertolucci – Italia/GB 1987
con John Lone, Joan Chen
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Rivisto in DVD, per ricordare Bernardo Bertolucci.
Salito al trono nel 1908 a soli 3 anni, Pu Yi è stato l'ultimo imperatore della Cina: la sua abdicazione forzata, alla nascita della Repubblica Popolare Cinese, ha posto fine a una tradizione bimillenaria. Questo kolossal storico-epico di enorme successo (conquistò, fra le altre cose, ben 9 premi Oscar, fra cui quelli per la miglior pellicola e il miglior regista) si basa sulla sua autobiografia, scritta in tarda età, e racconta – attraverso le vicende personali del protagonista – le immense trasformazioni che il paese ha vissuto nel corso del Novecento, dopo secoli (millenni?) di immobilismo. E sotto questo aspetto, nonostante l'ambientazione esotica (la Cina può sembrare quanto di più lontano dalla provincia emiliana o dai confini europei), non mancano i punti in comune con gli altri capolavori di Bernardo Bertolucci, "Novecento" appunto, ma anche "Il conformista" (con la sua ragnatela di passioni e intrighi politici, rievocati in particolare nelle sequenze in cui Pu Yi diventa il sovrano dello stato fantoccio del Manchukuo). Strutturata come una serie di flashback, la sceneggiatura segue la prigionia di Pu Yi bambino all'interno della sua stessa corte, dalla quale non può uscire né quando è il divino "figlio del cielo" né quando rimane solo un simbolo mentre all'esterno il mondo sta cambiando rapidamente. In fondo non è dissimile dal topolino, dal grillo o dagli altri animaletti di corte. Dal carattere aperto, riformista ed esterofilo (anche per merito del precettore britannico Reginald Johnston), per tutta la vita Pu Yi rimane suo malgrado una pedina in mano ad altri: prima ai nazionalisti cinesi, e poi ai giapponesi che lo mettono a capo della Manciuria occupata. Infine, a guerra terminata, è accusato di collaborazionismo dal Partito Comunista e rinchiuso in un "campo di rieducazione", dal quale uscirà dopo dieci anni, nel 1959, per vivere gli ultimi suoi giorni da cittadino comune. Le ultime sequenze (forse immaginarie) ce lo mostrano mentre visita il suo palazzo, ormai diventato un'attrazione turistica. Per la prima volta una troupe cinematografica occidentale ebbe il permesso, da parte delle autorità cinesi, di girare all'interno della Città Proibita, la vasta cittadella che fu sede della corte imperiale. Bertolucci ebbe totale libertà d'azione, e il risultato è sontuoso, grazie anche alla fotografia di Vittorio Storaro. Nella sua lunghezza (due ore e quaranta minuti), il film attraversa molteplici fasi e atmosfere: dallo splendore formale dei riti e dei cerimoniali di corte, al progressivo svuotamento del palazzo man mano che il sovrano cresce, dal trasferimento a Tianjin ai venti di guerra, dagli interrogatori nella prigione all'avvento della rivoluzione culturale di Mao (con gli inesorabili contrappassi che genera ogni svolta di potere). La produzione richiese quasi 20.000 comparse, molte delle quali fornite dall'esercito cinese. Nel ruolo di Pu Yi si alternano quattro attori: John Lone è l'imperatore da adulto, mentre tre bambini o ragazzini lo interpretano a varie età (a 3, a 8 e a 15 anni). Joan Chen è Wanrong/Elizabeth, l'imperatrice, mentre Wu Junmei è Wenxiu, la seconda moglie. Peter O'Toole è il precettore scozzese, Ying Ruocheng il governatore della prigione, Ryuichi Sakamoto (autore anche delle musiche) il giapponese Amakasu. Nel cast anche Victor Wong (il gran tutore), Dennis Dun, Maggie Han (la spia "Gioiello d'oriente"), Cary-Hiroyuki Tagawa e il regista Chen Kaige (il capo delle guardie). Al vasto successo di critica non sono estranei la cura dei costumi, delle scenografie e del montaggio. E il film rimane forse l'esempio per eccellenza del respiro vasto e internazionale che il cinema italiano un tempo poteva vantare (anche attraverso le co-produzioni, come in questo caso).
2 commenti:
Nessuno come Bertolucci ci fa assistere al drammatico e totale cambiamento del mondo avvenuto nei pochi decenni della prima metà del novecento, sia in occidente che in oriente. In questo film inoltre, la distanza siderale tra occidente ed oriente scompare attraverso l'umanissima e dolente figura dell'imperatore, che da "Figlio del Cielo" ad umile giardiniere , proprio grazie alla drammatica perdita dell'imbalsamato mondo che lo teneva prigioniero nella Città proibita, recupera la visione e un qualche rapporto con la realtà.
Mi sembra di assistere al cammino inverso di Dante, che per recuperare "la diritta via" comincia dall'Inferno per approdare alla salvezza del Paradiso dopo il lavoro di elaborazione del Purgatorio. Qui si comincia da un Paradiso fasullo e l'Inferno arriva poi per approdare forse ad un Purgatorio di presa di coscienza ed elaborazione dell'assoluto stato di ignoranza sia personale che della complicità del male inflitto al suo popolo.
Il crollo degli imperi del passato, il cambio di orizzonti, le nuove società che si formano, gli eventi della storia accomunano sicuramente questo film e "Novecento", i due grandi affreschi storici che Bertolucci ha regalato al cinema. Pur così diversi, i due film hanno davvero molto in comune, a partire dal fatto che questi eventi storici sono filtrati da un punto di vista umano e individuale. E in fondo ogni uomo, a modo suo, nella propria vita compie un viaggio come quello di Dante, anche se forse se ne rende conto solo in tarda età.
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