12 novembre 2018

Il sogno della farfalla (M. Bellocchio, 1994)

Il sogno della farfalla
di Marco Bellocchio – Italia 1994
con Thierry Blanc, Roberto Herlitzka
*

Visto in TV.

Massimo (Thierry Blanc), figlio di uno studioso di mitologia greca (Roberto Herlitzka) e di una poetessa (Bibi Andersson), ha scelto di non parlare più "in maniera normale" e di esprimersi soltanto attraverso monologhi o frammenti di dialogo tratti da testi teatrali (per esempio l'Edipo a Colono o il Macbeth). Anche per questo motivo ha scelto la carriera di attore... Su una sceneggiatura dello psichiatra Massimo Fagioli (che era l'analista del regista, e con cui aveva collaborato anche ne "Il diavolo in corpo" e "La condanna"), Bellocchio gira il suo film più criptico e meno accessibile, un'astrusa storia di silenzio e di rapporti familiari irrisolti (quella di Massimo è una ribellione?), che mescola riferimenti alla cultura greca (l'intero finale che si svolge proprio durante una vacanza nel Peloponneso), pretenziosità filosofica, banalità archetipiche e ridicolo involontario (vedi la scena del vecchio giardiniere che, sdraiato a terra, si taglia la barba con le cesoie da giardino e fa il morto). La chiusura di Massimo nel silenzio vorrebbe forse rappresentare una fuga, a differenza del fratello Carlo (Henry Arnold: sì, l'Hermann di "Heimat 2"!) che, essendo fisico, cerca invece di indagare la natura anche a costo di distruggerla (quanti luoghi comuni!): due facce della figura di Ulisse, quella curiosa e ricercatrice e quella invece che (secondo Herlitzka) fugge dal proprio inconscio per tornare nel più confortante luogo natale. Personaggi enigmatici prima ancora che irrequieti, frasi ripetute allo sfinimento finché non sono svuotate di significato ("Tu sei il mio figlio più bello"), qualche bel paesaggio (le sponde del Lago d'Iseo), ma per il resto zero cinema, tanta noia, pessimi dialoghi e personaggi con cui è impossibile trovare il minimo aggancio emotivo. Siamo di fronte a un film vuoto e presuntuoso, pseudo-intellettuale e fintamente psicologico, in cui più si cerca e meno si trova, e che rifiuta persino di affrontare il tema stesso che si era scelto, quello del silenzio (su cui peraltro ci sarebbe tanto da dire, Bergman docet). Registicamente le cose migliori sono le scene in cui nessuno parla e quelle del viaggio in Grecia. Sprecato l'interessante cast. All'inizio Massimo recita ne "Il principe di Homburg" di von Kleist, che sarà proprio il soggetto del successivo film di Bellocchio.

0 commenti: