31 marzo 2015

Amleto (Grigori Kozintsev, 1964)

Amleto (Hamlet)
di Grigori Kozintsev – URSS 1964
con Innokenti Smoktunovski, Anastasija Vertinskaya
***1/2

Visto in divx, in originale con sottotitoli.

Al fianco delle versioni dirette e interpretate da Laurence Olivier e Kenneth Branagh, quello di Kozintsev è forse il più celebrato adattamento cinematografico dell'Amleto di Shakespeare. Epico e solenne, impreziosito da una regia ariosa e panoramica e da una cupa fotografia in bianco e nero, può contare su diversi punti di forza, a partire dalla suggestiva colonna sonora di Dmitri Shostakovich che accompagna le parole e le immagini. La traduzione del testo in russo è quella di Boris Pasternak, ma Kozintsev ne ha tagliato alcune scene, accorciando la tragedia (che in originale dura quattro ore) a circa due ore e venti. A differenza di Olivier, che aveva preferito concentrarsi sui dilemmi personali, morali e filosofici di Amleto, il regista sovietico (che aveva già curato un allestimento teatrale della tragedia a Leningrado dieci anni prima) ne mantiene invece tutto il contenuto "politico", lasciando al centro dell'azione i complotti e le manovre del re e di Amleto stesso. La messinscena è classica, con personaggi in costumi d'epoca che si muovono in un castello di Elsinor (ricostruto in Estonia) vero e proprio protagonista dell'azione, il cui ruolo come "prigione" è enfatizzato e i cui spazi e i cui cortili sono esplorati da una macchina da presa in frequente movimento e attraverso riprese lunghe ed estese delle sale ampie ed affrescate, le robuste mura, il terrapieno, le brughiere circostanti e il mare (la fortezza sorge infatti nei pressi di una scogliera: il monologo "Essere o non essere" è recitato da Amleto proprio sulla spiaggia, fra gli scogli sferzati dalle onde). Numerose le scene da antologia: su tutte, citerei l'inquietante apparizione del fantasma del padre di Amleto sulle mura del castello (a tratti sembra uno dei cavalieri neri de "Il signore degli anelli"!), con tanto di cavalli spaventati; la rappresentazione teatrale degli attori al cospetto del re e della regina, all'esterno, davanti alle porte del castello; e tutta la scena della pazzia di Ofelia, che danza come una bambola (e che poi ritroviamo immersa nell'acqua, come nel quadro di John Everett Millais). Se l'aspetto visivo della pellicola è preponderante, non meno importanti sono i contenuti, che la narrazione mantiene in profonda coerenza con lo stile. I numerosissimi pensieri interni di Amleto sono veicolati attraverso una voce in sovraimpressione, alla Resnais, sul volto impenetrabile di Innokenti Smoktunovski, che fonde riservatezza e intensità nervosa, mentre gli altri personaggi gli ruotano attorno, interagendo con lui in una serie di entrate/uscite tipiche del palcoscenico. Molti degli attori (a partire dal protagonista) provenivano dal teatro anziché dal cinema. Oltre ai nobili abitanti del castello, sullo sfondo si intravedono a tratti contadini e paesani, che occasionalmente salgono in primo piano (come nella scena dello scavafossi e del teschio di Yorick, preludio al funerale di Ofelia). Grazie anche a queste punte di "neorealismo sovietico", ne risulta un dramma concreto e filosofico al tempo stesso, perfetta fusione fra le due anime – il realismo storico del fatto di sangue e la metafora psicanalitica che ne sottende – della tragedia shakespeariana.

2 commenti:

Marisa ha detto...

Una notevolissima rappresentazione, degna della migliore tradizione russa! Gli spunti per una lettura anche politica di Amleto sono notevolissimi.

Christian ha detto...

L'universalità e la modernità di Shakespeare mi sorprendono sempre. Ogni (ri)lettura è possibile, e ogni cultura (russa, giapponese, ecc.) vi si può rispecchiare in qualche modo!