13 gennaio 2008

Umberto D. (Vittorio De Sica, 1952)

Umberto D.
di Vittorio De Sica – Italia 1952
con Carlo Battisti, Maria Pia Casilio
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Visto in DVD.

È uno dei capolavori del neorealismo e forse il suo canto del cigno, visto che segna la fine di quella che ancora oggi rimane una delle stagioni più memorabili del cinema italiano, ed è considerato da molti critici l'esempio più compiuto della poetica di Cesare Zavattini (autore di soggetto e sceneggiatura). Ma è anche un film straordinario sulla vecchiaia, la povertà, la solitudine e la mancanza di mezzi. Ambientato a Roma nell'Italia post-bellica (ma l'umanità che tratteggia è senza tempo e senza luogo), si apre con una manifestazione di anziani che chiedono un aumento delle pensioni. Fra di loro c'è il protagonista della pellicola, Umberto Domenico Ferrari, che vive in una stanza in affitto in compagnia dell'amato cagnolino Flaik. I soldi non gli bastano per arrivare a fine mese, soprattutto perché è indebitato con l'insensibile padrona di casa che vorrebbe sfrattarlo e trasformare la sua stanza in un salone da ricevimenti. Fra decine di scene indimenticabili (il pranzo alla mensa dei poveri; il ricovero in ospedale per risparmiare sul vitto; la "tentazione" di mendicare, subito sopraffatta dalla dignità e dall'orgoglio con la mano protesa a chiedere la carità che di colpo – in una scena quasi chapliniana – viene girata come se stesse cadendo qualche goccia di pioggia), la disperazione di Umberto cresce fino a fargli meditare il suicidio. Ma quando proverà a gettarsi sotto un treno, sarà proprio il suo cagnolino a evitargli di compiere il passo estremo, fuggendo via all'ultimo istante prima che il convoglio passi sui binari: e forse, nel finale (aperto e non risolutivo, ma che sublima tutto e che ha molto in comune con quello di "Ladri di biciclette"), dopo un istante di sconcerto per il gesto del suo padrone, l'animale riacquisterà la sua fiducia e gli restituirà la speranza. Proprio il rapporto fra Umberto e il cagnolino è uno degli elementi centrali della pellicola: entrambi reietti e rifiutati da tutti (quando l'uomo cerca di lasciare il cane in una pensione o di affidarlo a un'altra famiglia incontra soltanto delusioni), si salvano la vita reciprocamente: in precedenza infatti, in una delle scene più intense e strazianti del film, Umberto era andato a cercare Flaik – fuggito di casa in sua assenza – al canile municipale: e lo sguardo disperato di fronte alla camera a gas dove gli animali indesiderati vengono eliminati non può non far riflettere sul destino degli emarginati della società, soprattutto se si pensa che pochi anni prima, durante la guerra, anche molti esseri umani avevano fatto quella fine. La pellicola forse sfiora il patetismo, ma non diventa mai troppo accondiscendente o compassionevole, o peggio ancora ricattatoria, grazie a una narrazione fredda e distaccata, quasi documentaristica, che colpisce nel segno tanto più perché è realistica nella sua descrizione di un mondo cinico e senza pietà, dove i pochi gesti di solidarietà avvengono soltanto fra poveri (gli unici che mostrano amicizia o affetto per il protagonista sono la servetta Maria Pia, a sua volta nei guai perché incinta di uno dei suoi "fidanzati", e l'uomo conosciuto all'ospedale, mentre – al contrario – la padrona di casa, il ricco amico incontrato per strada e il "commendatore" non accennano minimamente a volerlo aiutare). Molti degli attori, compresi i due principali (Umberto e Maria Pia) non erano professionisti. Carlo Battisti, in particolare, era un docente universitario in pensione. Il film è famoso anche per aver scatenato l'ira di Giulio Andreotti, allora sottosegretario allo spettacolo, convinto che "i panni sporchi si devono lavare in casa". Curiose alcune scene, che sembrano quasi degli "inserti" ma che aggiungono profondità all'insieme: mi riferisco a quella in cui la servetta prepara il caffè (lunga, muta, quasi alla Tsai Ming-Liang) e ai diversi incontri di Umberto con la donna che tradisce il marito, e che alla fine ritrova nel parco in compagnia del figlioletto.

2 commenti:

marco c. ha detto...

Andreotti. ce lo vedo che si inc***a

Christian ha detto...

Cito da Wikipedia:

A proposito di questo film, Giulio Andreotti, all'epoca Sottosegretario allo spettacolo, scrisse su "Libertà": «Se è vero che il male si può combattere anche mettendone a nudo gli aspetti più crudi, è pur vero che se nel mondo si sarà indotti - erroneamente - a ritenere che quella di Umberto D. è l'Italia della metà del XX secolo, De Sica avrà reso un pessimo servizio alla sua patria, che è anche la patria di Don Bosco, del Forlanini e di una progredita legislazione sociale»