29 novembre 2018

Il tè nel deserto (B. Bertolucci, 1990)

Il tè nel deserto (The sheltering sky)
di Bernardo Bertolucci – Italia/GB 1990
con Debra Winger, John Malkovich
**1/2

Rivisto in divx.

Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, tre viaggiatori americani giungono sulle coste del Nordafrica: si tratta dei coniugi Port e Kit Moresby (Malkovich e Winger), artisti annoiati e in cerca di nuovi stimoli (anche per rinsaldare il proprio rapporto coniugale), e del loro giovane amico George Tunner (Campbell Scott). L'avventura, però, si rivela meno piacevole del previsto, fra compagni di viaggio sgradevoli, come il grassoccio Eric Lyle (Timonthy Spall) e sua madre (Jill Bennett), difficoltà logistiche con mezzi di trasporto improvvisati, imprevisti e malattie (Port si ammala di tifo). E i personaggi si smarriscono e si addentrano sempre più nel Sahara e nei suoi misteri. Tratto dal romanzo di Paul Bowles (che compare nel film nei panni del vecchio gentiluomo nel bar, testimone e narratore dell'intera vicenda), sceneggiato da Bertolucci insieme al cognato Mark Peploe e prodotto da Jeremy Thomas (come il precedente "L'ultimo imperatore"), un film difficile da gustare appieno se non ci si adagia nel suo ritmo e non si partecipa, insieme ai protagonisti, al viaggio con i tempi giusti. Caratterizzato, prima ancora che dalla regia di Bertolucci (e da un estetismo e una sensualità un po' melensi e noiosi), dalla fotografia dorata e crepuscolare di Vittorio Storaro, che rende reali e suggestivi gli scenari del deserto (compresa la sabbia e le mosche), sembra procedere a lungo senza una vera trama: in realtà la trama è sotto la superficie, e viene pienamente alla luce soltanto nell'ultima mezz'ora, la parte più bella e suggestiva della pellicola, quando Kit – rimasta sola – si unisce a una carovana di tuareg ed entra per un breve periodo a far parte della loro vita, diventando anche l'amante del berbero Belqassim. Allora dal film spariscono i dialoghi (visto che la donna non parla la lingua dei nomadi), sostituiti da canti e da silenzi, e anche la fotografia muta i propri toni, facendosi lunare (il sole è associato a Port, la luna a Kit). Celebre il tema musicale di Ryuichi Sakamoto.

2 commenti:

Marisa ha detto...

Uno dei film più difficili forse di Bertolucci, che personalmente ho amato solo dopo la seconda visione e che ora mi sembra sempre di più un film "rivelazione". La superficialità ed arroganza con cui gli occidentali, anche gli intellettuali, si avvicinano ad un mondo così diverso dai nostri parametri culturali continua ad essere disturbante e l'impatto non può che essere drammaticamente sconvolgente.
Ogni riferimento all'attuale atteggiamento della classe "dominante", così pregiudizialmente "ignorante" verso il mondo "altro da noi" è del tutto voluto...

Christian ha detto...

Sì, a una prima visione può risultare un film "fasullo", indisponente e noioso, almeno per gran parte della sua durata. L'ultima parte, particolarmente suggestiva, aiuta invece a contestualizzarlo meglio: come dici tu, gli occidentali (americani, in questo caso) che viaggiano in paesi così distanti non possono illudersi di rimanere uguali a sé stessi...