Il discorso del re (Tom Hooper, 2010)
Il discorso del re (The King's Speech)
di Tom Hooper – Gran Bretagna 2010
con Colin Firth, Geoffrey Rush
**
Visto al cinema Arcobaleno, con Hiromi, in originale con sottotitoli.
Per superare la balbuzie che lo affligge sin da bambino e che gli rende difficile e imbarazzante tenere discorsi in pubblico (attività che i membri della famiglia reale, dopo l'invenzione della radio, sono tenuti a svolgere con sempre maggior frequenza), il principe Albert di Gran Bretagna (figlio di re Giorgio V e fratello minore dell'erede al trono Edward) si rivolge a un logopedista australiano, Lionel Logue, che con i suoi metodi poco ortodossi e ancor meno formali lo aiuterà a vincere le proprie incertezze. L'amicizia fra i due si rivelerà fondamentale nel 1939 quando, diventato re d'Inghilterra con il nome di Giorgio VI dopo che il fratello ha abdicato per sposare Wallis Simpson, Albert dovrà pronunciare l'importante discorso che comunica al popolo l'ingresso in guerra contro la Germania. Filtrando i grandi eventi della storia attraverso un "piccolo" dramma personale, il film riesce a comunicare tutta l'umanità di un personaggio costretto a mostrare in pubblico un volto fermo e solenne, in contrasto con il proprio carattere timido e introverso. Albert è un principe e poi un re riluttante che riesce – grazie alla forza di volontà e soprattutto all'amicizia con un "uomo comune" ed estraneo al contesto della famiglia reale come Logue (curiosa, fra l'altro, l'affinità del cognome del personaggio con la parola logos) – a superare i propri limiti. La sceneggiatura (di David Seidler, a sua volta un balbuziente) lascia intendere che i disturbi di dizione del protagonista avessero un'origine psicologica. Certo, lascia un po' perplessi che nella scena finale ci sia tanta enfasi e apprezzamento per il lato formale del discorso mentre nessuno sembra preoccuparsi per i contenuti (ossia l'inizio della guerra). Eccellente l'interpretazione di Colin Firth, da apprezzare guardando il film in lingua originale (trattandosi di una pellicola incentrata sul linguaggio, è quasi un delitto ascoltarla doppiata), ma anche quella dell'ironico Geoffrey Rush, sagace terapeuta e attore shakesperiano dilettante, a sua volta in grado di superare le proprie insicurezze e l'inadeguatezza sociale grazie al successo del suo paziente. La brava Helena Bonham Carter è la moglie di Albert, Guy Pearce è un Edward un po' schematico, Michael Gambon è Giorgio V, Timothy Spall è un caricaturale Winston Churchill, Derek Jacobi è l'arcivescovo di Canterbury. Nella colonna sonora si fa ampio uso di celebri brani di musica classica: in particolare, durante il fatidico discorso si ode in sottofondo l'Allegretto della settima sinfonia di Beethoven. C'è stata qualche polemica negli Stati Uniti e in altri paesi per il turpiloquio usato da Logue come metodo di cura "shock" (e pare, assurdo!, che verrà realizzata anche una versione rimontata senza le scene incriminate). Esagerate, comunque, dodici candidature agli Oscar per un film un po' ingessato e limitato dalla "monotematicità" che gli impedisce di spaziare al di fuori del suo tema centrale.