31 gennaio 2011

Il discorso del re (Tom Hooper, 2010)

Il discorso del re (The King's Speech)
di Tom Hooper – Gran Bretagna 2010
con Colin Firth, Geoffrey Rush
**

Visto al cinema Arcobaleno, con Hiromi, in originale con sottotitoli.

Per superare la balbuzie che lo affligge sin da bambino e che gli rende difficile e imbarazzante tenere discorsi in pubblico (attività che i membri della famiglia reale, dopo l'invenzione della radio, sono tenuti a svolgere con sempre maggior frequenza), il principe Albert di Gran Bretagna (figlio di re Giorgio V e fratello minore dell'erede al trono Edward) si rivolge a un logopedista australiano, Lionel Logue, che con i suoi metodi poco ortodossi e ancor meno formali lo aiuterà a vincere le proprie incertezze. L'amicizia fra i due si rivelerà fondamentale nel 1939 quando, diventato re d'Inghilterra con il nome di Giorgio VI dopo che il fratello ha abdicato per sposare Wallis Simpson, Albert dovrà pronunciare l'importante discorso che comunica al popolo l'ingresso in guerra contro la Germania. Filtrando i grandi eventi della storia attraverso un "piccolo" dramma personale, il film riesce a comunicare tutta l'umanità di un personaggio costretto a mostrare in pubblico un volto fermo e solenne, in contrasto con il proprio carattere timido e introverso. Albert è un principe e poi un re riluttante che riesce – grazie alla forza di volontà e soprattutto all'amicizia con un "uomo comune" ed estraneo al contesto della famiglia reale come Logue (curiosa, fra l'altro, l'affinità del cognome del personaggio con la parola logos) – a superare i propri limiti. La sceneggiatura (di David Seidler, a sua volta un balbuziente) lascia intendere che i disturbi di dizione del protagonista avessero un'origine psicologica. Certo, lascia un po' perplessi che nella scena finale ci sia tanta enfasi e apprezzamento per il lato formale del discorso mentre nessuno sembra preoccuparsi per i contenuti (ossia l'inizio della guerra). Eccellente l'interpretazione di Colin Firth, da apprezzare guardando il film in lingua originale (trattandosi di una pellicola incentrata sul linguaggio, è quasi un delitto ascoltarla doppiata), ma anche quella dell'ironico Geoffrey Rush, sagace terapeuta e attore shakesperiano dilettante, a sua volta in grado di superare le proprie insicurezze e l'inadeguatezza sociale grazie al successo del suo paziente. La brava Helena Bonham Carter è la moglie di Albert, Guy Pearce è un Edward un po' schematico, Michael Gambon è Giorgio V, Timothy Spall è un caricaturale Winston Churchill, Derek Jacobi è l'arcivescovo di Canterbury. Nella colonna sonora si fa ampio uso di celebri brani di musica classica: in particolare, durante il fatidico discorso si ode in sottofondo l'Allegretto della settima sinfonia di Beethoven. C'è stata qualche polemica negli Stati Uniti e in altri paesi per il turpiloquio usato da Logue come metodo di cura "shock" (e pare, assurdo!, che verrà realizzata anche una versione rimontata senza le scene incriminate). Esagerate, comunque, dodici candidature agli Oscar per un film un po' ingessato e limitato dalla "monotematicità" che gli impedisce di spaziare al di fuori del suo tema centrale.

29 gennaio 2011

Inizio d'estate (Yasujiro Ozu, 1951)

Inizio d'estate, aka Il tempo del raccolto del grano (Bakushu)
di Yasujiro Ozu – Giappone 1951
con Setsuko Hara, Chikage Awashima
***

Rivisto in DVD (registrato da "Fuori Orario"), con Hiromi.

La ventottenne Noriko vive insieme ai genitori e alla famiglia del fratello Koichi: parenti e amici fanno pressioni affinché si sposi, e il direttore dell'ufficio dove lavora come dattilografa le propone un ottimo pretendente, un uomo d'affari di mezza età che riscuote l'approvazione di tutti i familiari. Ma la ragazza preferirà fare di testa propria e sceglierà invece un vicino di casa, un giovane medico vedovo, con una figlia e in procinto di essere trasferito in una lontana città di campagna. Lo spunto di partenza può sembrare simile a quello di "Tarda primavera", ma le differenze sono notevoli: in quel caso la protagonista rifiutava di sposarsi per restare accanto al padre, opponendosi al cambiamento; qui invece Noriko non è contraria a priori al matrimonio (benché, quando si incontri con le amiche, il gruppo si divida in modo naturale fra "sposate" e "non sposate", due fazioni che si coalizzano l'una contro l'altra prendendosi bonariamente in giro) ma è semplicemente in attesa dell'uomo giusto. Il fatto che alla fine decida in maniera autonoma, anche andando contro le aspettative dei parenti che tanto si erano prodigati per trovarle il partito migliore, ne dimostra la "modernità" (respinge la tradizione del matrimonio combinato) e le idee chiare (alla nuora, che le domanda perché abbia rifiutato la proposta del suo direttore, risponde: "Non mi fido di un uomo che a quarant'anni non ha ancora formato una famiglia. Mi fido di più di un uomo che ha già una figlia"), portando alla luce i sentimenti che per lungo tempo erano rimasti celati dietro l'immancabile sorriso di cortesia (un sorriso, quello di Setsuko Hara, che enigmaticamente nasconde sempre pensieri inattesi e sorprendenti). A fare da cornice alle vicende di Noriko ci sono poi i temi dell'unità familiare e dell'ineluttabilità del distacco. La partenza della ragazza determinerà indirettamente la disgregazione della "famiglia allargata": non potendo più contare anche sul suo stipendio, i nonni dovranno tornare a Nara, nel paese di origine. In una delle ultime inquadrature del film, prima della separazione, vediamo i sette membri del nucleo familiare mettersi in posa per un ritratto fotografico che sancisce la fine della loro vita insieme (proprio come capitava – ma in quel caso eravamo all'inizio del film – in "Fratelli e sorelle della famiglia Toda"). La descrizione che il regista fa della vita in famiglia è bonaria e ricca di piccoli momenti umoristici (i giochi dei bambini, i loro dispetti allo zio sordo), drammatici (i figli di Koichi che scappano di casa dopo un rimprovero del padre), quotidiani (Noriko e la nuora che mangiano la torta, la passeggiata dei nonni), toccanti (il ricordo di Shoji, il fratello disperso in guerra). Molto divertenti anche i battibecchi di Noriko con le amiche (con l'uso insistito della particella "ne?" in finale di frase): anche all'interno di queste dinamiche, però, ci sono momenti di triste consapevolezza dell'inevitabile processo di distacco (come quando l'amica sposata telefona a Noriko e Aya, entrambe nubili, per dire che non può venire all'appuntamento con loro). Da sottolineare infine l'ambientazione (Kamakura, cittadina a pochi chilometri di Tokyo, di cui vediamo la bella spiaggia e la celebre statua del Grande Buddha, già apparsa peraltro in altri film di Ozu), una colonna sonora leggera ma quasi incessante, la consueta cura stilistica (ogni inquadratura, anche la più breve, è significativa: da quelle degli uccellini in gabbia, che simboleggiano la situazione di Noriko, alla panoramica sugli spettatori del teatro kabuki cui ne segue, poco dopo, una identica ma sulle poltrone vuote, per indicare che la rappresentazione è terminata). Il titolo, ovviamente, è metaforico (come sempre quando Ozu fa citazioni "stagionali") e si riferisce a Noriko, ormai giunta al momento in cui è pronta per sposarsi. In ogni caso la collocazione temporale della vicenda è suggerita dalle inquadrature degli aquiloni della festa del cinque maggio (kodomo no hi) e dei campi di grano mossi dal vento in attesa della mietitura.

28 gennaio 2011

Madame Sousatzka (J. Schlesinger, 1988)

Madame Sousatzka (id.)
di John Schlesinger – Gran Bretagna 1988
con Shirley MacLaine, Navin Chowdhry
**1/2

Visto in divx, con Hiromi.

Il quindicenne Manek, giovane pianista di origine indiana che vive a Londra con la madre, viene accettato come allievo dalla severa Irina Sousatzka, raffinata ed eccentrica nobildonna la cui famiglia era fuggita dalla Russia ai tempi della rivoluzione. Come spiega lei stessa, "ai miei studenti non insegno solo a suonare il piano ma anche a vivere": e dunque pretende dal ragazzo una dedizione assoluta sotto ogni aspetto, anche al di fuori delle lezioni, a cominciare dal divieto di esibirsi in pubblico prima di aver raggiunto la perfezione stilistica. Ma Manek, spinto dalle necessità economiche (la madre ha perso il lavoro) e allettato dalla proposta di un agente, accetta di partecipare a un festival e di esordire così alla prestigiosa Royal Albert Hall, anche se questo rischia di precludere il rapporto con un'insegnante che ormai lo considera come un proprio figlio. Ispirato a una storia vera (le memorie del pianista Harold Rubens), il film mette in scena con sensibilità ed eleganza il delicato rapporto che intercorre fra un maestro e l'allievo: se quest'ultimo deve saper "andare oltre" e abbandonare l'insegnante al momento giusto, anche il primo può imparare a sua volta dallo studente. Dietro l'intransigenza di Madame Sousatzka, infatti, si cela il rapporto conflittuale con l'amata madre, che a sua volta era stata la sua severissima insegnante, e il trauma di una grave indecisione commessa durante il proprio esordio in pubblico: da allora, la consapevolezza di non aver mai raggiunto la perfezione la spinge a ricercarla morbosamente nei propri studenti. E proprio il giovane Manek contribuirà a farle superare il trauma che invece, in passato, l'aveva portata a chiudere ogni rapporto con un precedente (e amatissimo) allievo. Il film è arricchito da riflessioni sui tempi che cambiano (l'antica casa in cui abita Sousatzka, ricolma di ricordi e di oggetti legati al passato, è situata in un quartiere sconvolto dalle ristrutturazioni edilizie e dagli agenti immobiliari che comprano gli appartamenti per smembrarli e rivenderli) e da sottotrame legate agli altri inquilini dello stabile (fra cui spicca la modella Twiggy nei panni di un'aspirante cantante pop di cui Manek si innamora). Nell'ovviamente ricca colonna sonora (Beethoven, Brahms, Schubert, Chopin, Liszt) il posto di riguardo è riservato al concerto per piano e orchestra di Schumann che il giovane protagonista esegue al suo debutto.

26 gennaio 2011

Edward mani di forbice (T. Burton, 1990)

Edward mani di forbice (Edward scissorhands)
di Tim Burton – USA 1990
con Johnny Depp, Winona Ryder
***

Rivisto in DVD, con Giovanni, Rachele e Paola.

Creato da uno scienziato (Vincent Price) che è morto prima di completare il suo corpo, Edward (un Johnny Depp agli esordi e alla sua prima collaborazione con Tim Burton) è un ragazzo "artificiale", timido e sensibile, con grandi e taglienti forbici al posto delle mani. Quando Peg (Dianne Wiest), casalinga e venditrice porta a porta di cosmetici Avon, lo trova solo e abbandonato nel castello gotico che sovrasta la cittadina in cui vive, decide di portarlo a casa e di accoglierlo nella propria famiglia, suscitando la curiosità del vicinato. Pur essendo visibilmente un "diverso", inizialmente Edward riscuote l'ammirazione di tutti per le sue doti creative fuori dal comune (con le sue forbici pota le siepi modellandole in foggia di animali e di esseri umani, tosa i cagnolini e inventa stravaganti acconciature per le casalinghe del circondario): ma alla prima occasione, l'ipocrisia e la diffidenza finiranno col prendere il sopravvento. Nonostante qualche momento di stanca e l'accumulo di luoghi comuni nella sottotrama romantica (Edward si innamora di Kim, la giovane figlia di Peg), questa favola moderna senza lieto fine – con tanto di cornice in cui una Winona Ryder ormai invecchiata racconta l'intera vicenda alla nipotina, proprio come se si trattasse di una fiaba – è forse il miglior film di Tim Burton, o almeno quello in cui la sua vena poetica e malinconica con derive disneyane si sposa meglio con le indubbie qualità visive e scenografiche. Che quella del "freak gentile" sia una fiaba lo testimonia anche la mancanza di realismo nel setting e nello sviluppo della trama, che a tratti assume le carattiristiche surreali e grottesche della satira di costume. Memorabile in particolare l'ambientazione, il sobborgo di un'anonima cittadina americana degli anni cinquanta, con le case tutte uguali, le facciate e le automobili di colore pastello, i mariti che durante la giornata lasciano campo libero alle mogli, e il contrasto fornito dal tetro e gotico castello che sovrasta l'intero panorama. Le scenografie del maniero, così come i titoli di testa con le attrezzature dello scienziato, anticipano l'estetica di "Nightmare before Christmas" (anche per via della colonna sonora di Danny Elfman), mentre l'aspetto pallido e scapigliato di Edward ricorda quello del protagonista del fumetto "Sandman" di Neil Gaiman. Da notare che il titolo italiano è grammaticalmente errato, visto che "forbici" andrebbe scritto al plurale.

25 gennaio 2011

Drive (Sabu, 2002)

Drive (id.)
di Sabu – Giappone 2002
con Shinichi Tsutsumi, Ren Osugi
**1/2

Rivisto in DVD, con Hiromi.

I film di Sabu (pseudonimo di Hiroyuki Tanaka) sono pervasi da una comicità ai limiti dell'assurdo, da una forte commistione di generi e da spiazzanti colpi di scena, e questo – uno dei pochi a essere usciti in italiano – non fa eccezione. Il protagonista è Asakura (Shinichi Tsutsumi), salaryman che soffre di improvvise emicranie a causa della sua mania per la precisione o forse dei traumi infantili (un rapporto irrisolto con il padre suicida). Mentre sta recandosi al lavoro in auto come ogni mattina, viene "sequestrato" da tre banditi che hanno appena rapinato una banca soltanto per vedere il loro quarto complice, l'autista, fuggire con tutto il bottino. Per la disperazione dei tre ladri (Ren Osugi, Susumu Terajima e Masanobu Ando), che gli intimano di seguire l'auto in fuga, Asakusa però è talmente ligio alle regole da rispettare alla lettera tutti i segnali stradali, compresi i limiti di velocità, i divieti di svolta e i semafori rossi! Perso di vista il fuggitivo, i quattro uomini trascorreranno comunque insieme il resto della giornata e della notte, imparando lentamente a conoscersi: uno alla volta, ciascuno dei tre banditi troverà la propria strada e un sogno da seguire, mentre a recuperare il denaro rubato (e a sconfiggere una volta per tutte i propri fantasmi) sarà proprio Asakura. Come in "Fuori orario" di Scorsese, il film è attraversato da eventi apparentemente casuali che finiscono con il dirigere i personaggi nella giusta direzione (la reazione a catena al ristorante, o l'auto senza controllo che si ferma proprio davanti all'ospedale) o a mettere loro i bastoni fra le ruote (le vicissitudini che capitano al quarto ladro, rimasto comicamente intrappolato con il braccio in una buca nel terreno, nel mezzo di un campo incolto che di notte è frequentato da strane apparizioni...). Ma quello che più colpisce è come il film riesca a fondere momenti diversissimi fra loro, sempre con grande efficacia: l'esaltante esibizione di Susumu Terajima sul palco insieme a una rock band, le atmosfere da ghost story (memorabile il duello con il samurai fantasma), la commedia sentimentale (delizioso l'incontro finale fra il protagonista e la ragazza che ama, Kou Shibasaki) e il dramma esistenziale (con i flashback e i ricordi sul passato di Asakura), oltre a presentare una serie di personaggi minori umanissimi, divertenti e ben caratterizzati.

24 gennaio 2011

The coast guard (Kim Ki-duk, 2002)

The coast guard (Hae anseon)
di Kim Ki-duk – Corea del Sud 2002
con Jang Dong-gun, Kim Jeong-hak
***

Rivisto in divx alla Fogona, in originale con sottotitoli.

Sulla costa militarizzata della Corea del Sud, dove plotoni di soldati – osteggiati o derisi dai civili che vivono nei dintorni – pattugliano le spiagge giorno e notte in attesa di spie del Nord che non si vedono mai, il giovane ed esaltato Kang uccide per errore un ragazzo che si era recato nottetempo sulla spiaggia in compagnia della sua fidanzata. La tragedia segnerà in modo indelebile i due sopravvissuti all'episodio, il soldato e la ragazza, incapaci di restare lontani da quel posto e di tornare a una vita normale. Il primo, dapprima elogiato dai superiori e poi congedato, rifiuterà di svestire l'uniforme e di abbandonare il servizio; la seconda, divenuta mentalmente instabile, continuerà a bazzicare i dintorni della zona militare e si farà addirittura ingravidare dagli ex compagni di Kang. In un crescendo di tensione e di paranoia, il film – uno fra i più sottovalutati lavori di Kim Ki-duk – mostra la follia che si sviluppa attorno al campo militare e che si fa strada lentamente fra tutti i soldati: i quali da un lato si sentono sotto assedio quando Kang, sfuggente come un fantasma, ruba un fucile e minaccia di ucciderli tutti; e dall'altro approfittano della ragazza, scatenando l'ira di un fratello vendicativo. Non mancano momenti crudeli ma visivamente belli, come la danza della ragazza folle fra i totem sulla spiaggia o la scena in cui la stessa, dopo aver abortito, si immerge nella vasca dei pesci colorando l'acqua di rosso. Ma purtroppo è l'ultimo lungometraggio di Kim con queste caratteristiche incisive ed emozionanti: dal successivo, la vena sanguigna e viscerale lascerà il posto a un più facile esotismo da festival, tanto poetico quanto sempre più vuoto e privo di mordente.

23 gennaio 2011

L'angelo del focolare (C. T. Dreyer, 1925)

L'angelo del focolare, aka Il padrone di casa (Du skal ære din hustru)
di Carl Theodor Dreyer – Danimarca 1925
con Johannes Meyer, Astrid Holm
**

Visto in DVD.

Il tirannico Victor, marito irascibile e perennemente insoddisfatto, costringe la moglie Ida a lavorare in casa come una schiava e a sopportare le sue continue lamentele: viziato e irriconoscente, dà ogni cosa per scontata e non si rende conto dei grandi sacrifici della consorte. Per dargli una lezione, visto che la moglie (che lo ama ancora) non è intenzionata a ribellarsi, la suocera e l'ex bambinaia si coalizzano contro di lui e convincono Ida ad andare via di casa, abbandonando per un mese il marito a sé stesso. Durante la sua assenza Victor diventerà finalmente consapevole della mole di lavoro necessaria per mandare avanti la casa e gestire l'economia domestica; e quando la moglie tornerà, avrà imparato a rendersi utile, a non lamentarsi, e soprattutto ad apprezzare di più la sua dolce metà. Commedia proto-femminista sul tema della "educazione del marito", girata tutta in interni (fanno eccezione alcune brevi scene della passeggiata di Victor per le strade innevate) e con un ampio ricorso ai mascherini a iride che circoscrivono ulteriormente la visione dello spettatore (d'altronde siamo di fronte a un tipico dramma "da camera"): vista oggi, può sembrare un po' ingenua nel modo in cui la situazione si risolve e si capovolge rispetto alle premesse iniziali. Emblematica la frase finale di Victor: "Come siamo stupidi, noi uomini! Soltanto perché portiamo a casa lo stipendio, pensiamo di fare tutto il lavoro, mentre le nostre mogli fanno tre volte il lavoro... e non ricevono stipendi, ma grugniti e occhiatacce!".

22 gennaio 2011

Le sorelle Munekata (Y. Ozu, 1950)

Le sorelle Munekata (Munekata kyoudai)
di Yasujiro Ozu – Giappone 1950
con Kinuyo Tanaka, Hideko Takamine
**1/2

Visto in divx, in originale con sottotitoli inglesi.

Le sorelle Setsuko e Mariko, pur legate da un profondo affetto reciproco, non potrebbero essere più diverse l'una dall'altra: la prima, la maggiore, è ancorata alle tradizioni e alle antiche consuetudini; la seconda, la minore, è moderna e spregiudicata. Cresciute in due epoche differenti (prima e dopo la guerra), rappresentano due anime del Giappone in contrasto fra loro e difficilmente conciliabili. Vivono a Tokyo sotto lo stesso tetto, dove – nonostante le difficoltà di un matrimonio infelice – Setsuko è determinata a restare fedele al marito. Ma quando Mariko, leggendo il diario della sorella, scopre che questa è sempre stata innamorata di un amico d'infanzia, si prodiga per riaccendere l'antica passione, arrivando persino a chiedere all'uomo di sposarla pur di consentirgli di stare accanto a Setsuko: ma forse è troppo tardi. Si tratta di uno dei pochi film di Ozu non prodotto dalla Shochiku: il regista era stato "prestato" alla Shin Toho per realizzare un'opera su commissione (tratta da un popolare romanzo di Jiro Osaragi) e costretto a lavorare con attori che non conosceva – come Hideko Takamine e Ken Uehara – e senza i suoi abituali collaboratori alla fotografia e al montaggio. Pur conservando temi e caratteristiche dei lavori precedenti, la pellicola si sviluppa perciò in maniera un po' schematica e melodrammatica (alcune scene, come quella in cui Setsuko viene ripetutamente schiaffeggiata dal marito, sono eccessivamente "cariche" per un film di Ozu, la cui drammaticità è di solito più sottile e rarefatta). Le differenze fra le due sorelle sono marcate e ribadite più volte: Setsuko è sempre vestita in kimono, mentre Mariko indossa abiti occidentali; Setsuko ama visitare gli antichi templi, Mariko preferisce passare le serate a bere e divertirsi; Setsuko accetta per sé il ruolo della donna al servizio della casa e della famiglia, Mariko è frivola ed emancipata. Il personaggio del padre malato (Chishu Ryu), che fa da mediatore fra le due, rappresenta forse un tentativo di Ozu di riportare la vicenda su binari a lui più consoni e meno scontati. Ad amplificare il contrasto fra tradizione e modernità c'è anche la scenografia, che ricorre alternativamente a paesaggi dei templi di Kyoto e Nara e a scorci di Tokyo o della più moderna Kobe (per non parlare delle differenze degli arredi nelle scene in interni). In ogni caso la sottigliezza dei dialoghi di Kogo Noda, l'eleganza della regia e le buone prove degli attori (soprattutto le due protagoniste) lo rendono un film più che gradevole, anche se rimane certo una pellicola minore se confrontata con i capolavori di Ozu degli anni cinquanta. Da notare che su un muro del bar gestito da Setsuko si può leggere la stessa frase ("I drink upon occasion, sometimes upon no occasion", dal Don Chisciotte) che era già presente in un precedente film del regista, "La ragazza che cosa ha dimenticato?" del 1937.

20 gennaio 2011

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (E. Petri, 1970)

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto
di Elio Petri – Italia 1970
con Gian Maria Volontè, Florinda Bolkan
***1/2

Visto in TV, con Hiromi.

Il capo della sezione omicidi, appena promosso alla polizia politica dopo molti successi nella lotta al crimine, uccide a sangue freddo la propria amante: pur seminando volontariamente indizi contro sé stesso – in una sorta di impulso autopunitivo o per dimostrare che il proprio ruolo lo rende assolutamente insospettabile di un tale delitto – nessuno dei suoi colleghi che indagano sull'omicidio lo considererà un possibile indiziato. E anche quando si autoaccuserà con una confessione scritta, scoprirà che il potere protegge sempre sé stesso. Vibrante pellicola a sfondo socio-politico, a tratti grottesca, ambientata in un'epoca di tensioni sociali (le contestazioni degli studenti di sinistra, gli attentati anarchici, gli scontri di classe) e finalizzata a illustrare le aberrazioni dell'apparato poliziesco e del potere. La complessa struttura a flashback consente di delinare sempre meglio la personalità contorta e reazionaria del protagonista, e soprattutto il difficile rapporto con l'amante. In un certo senso progenitrice di tanti poliziotteschi incentrati su funzionari e poliziotti con turbe patologiche, la pellicola vinse l'Oscar come miglior film straniero e il Grand Prix della Giuria a Cannes: applaudita alla sua uscita, è stata in seguito ridimensionata da alcuni critici (come il Mereghetti) perché "attribuisce ai rappresentanti del potere un'eccessiva coscienza (ancorché negativa) del proprio ruolo e della propria funzione". Notevole comunque la prova di Volontè, che interpreta (con un forte accento siciliano) un personaggio rigido e fragile allo stesso tempo, il cui senso di onnipotenza sconfina nella pazzia, paladino della repressione e dell'autoritarismo ma anche immaturo, sessualmente represso (uccide l'amante perché questa si prendeva gioco del suo infantilismo) e fondamentalmente ancorato alle sue radici di piccolo borghese. Per gran parte della vicenda la sua figura è enigmatica e contraddittoria, divisa fra il desiderio di essere scoperto e quello di farla franca. Dopo un pre-finale onirico (con la grottesca caricatura di un processo/interrogatorio, al termine del quale il protagonista è "costretto a confessare la propria innocenza"), il finale autentico è comunque lasciato in sospeso, mentre sullo schermo compare una citazione di Frank Kafka: "Qualunque impressione faccia su di noi, egli è un servo della legge, quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano". Oltre allo scrittore ceco, i punti di riferimento dello sceneggiatore Ugo Pirro (con il quale Petri collaborerà in altri tre film: "A ciascuno il suo", "La classe operaia va in paradiso" e "La proprietà non è più un furto"; tutti, tranne l'ultimo, con Volontè come protagonista) sembrano essere Brecht e Dostoevskij. L'originale colonna sonora, ricca di contaminazioni sonore, è di Ennio Morricone.

19 gennaio 2011

4 passi fra le nuvole (A. Blasetti, 1942)

4 passi fra le nuvole
di Alessandro Blasetti – Italia 1942
con Gino Cervi, Adriana Benetti
**1/2

Visto in divx, con Giovanni, Rachele e Paola.

Un commesso viaggiatore si lascia convincere da una ragazza, appena conosciuta in treno, a presentarsi con lei dalla sua famiglia fingendo di esserne il marito, per evitare che i genitori la scaccino di casa perché incinta e non sposata. È il film dal quale Hollywood ha tratto un melenso remake ("Il profumo del mosto selvatico") con Keanu Reeves. Naturalmente l'originale è molto meglio, oltre che più realistico e credibile: l'ambientazione nell'Italia rurale degli anni quaranta è decisamente più funzionale alla trama, e il finale è lieto solo parzialmente (la ragazza viene perdonata dal burbero padre e riaccolta in seno alla famiglia, ma il protagonista maschile è costretto a tornare alla sua vita squallida e infelice: a differenza della versione americana, qui il divorzio dalla precedente moglie non era certo fra le opzioni a disposizione). Più che sul versante romantico, che pure ha il suo peso, la pellicola gioca soprattutto sul contrasto – forse un po' ingenuo – fra la vita in campagna, calda e accogliente, e quella in città. Nella prima parte non mancano sequenze tipiche della commedia popolare, su tutte il viaggio in corriera interrotto ripetutamente dai festeggiamenti per la nascita del figlio dell'autista; nella seconda si fa strada una sorta di realismo poetico che anticipa, per certi versi, alcuni aspetti del successivo neorealismo: non a caso alla sceneggiatura ha collaborato Cesare Zavattini, che si sarebbe ispirato – fra le altre cose – ad "Accadde una notte" di Frank Capra (curiosamente, proprio Gino Cervi aveva doppiato Clark Gable nella versione italiana di quel film). Ne esistono anche un remake francese (del 1956, di Mario Soldati con Fernandel) e uno indiano (del 2000).

18 gennaio 2011

God of cookery (Stephen Chow, 1996)

God of cookery (Sik san)
di Stephen Chow, Lee Lik-chi – Hong Kong 1996
con Stephen Chow, Karen Mok
***

Rivisto in DVD, con Martin, in originale con sottotitoli inglesi.

Esilarante commedia a sfondo culinario, fra le migliori sfornate da Stephen Chow prima del successo internazionale di "Shaolin soccer". Il protagonista, che si fregia del titolo di "dio dei cuochi" e come tale sponsorizza ristoranti e catene di fast food, è in realtà un avido e arrogante impostore le cui capacità gastronomiche sono il frutto di elaborati inganni, organizzati con la complicità di un boss delle triadi. Quando quest'ultimo decide di "scaricarlo" e di sostituirlo con un altro cuoco più affidabile ed esperto (che lo umilia in pubblico, smascherandone la reale natura), Stephen è costretto a ricominciare da zero. Dopo aver creato un nuovo impero gastronomico con l'aiuto di due bande rivali di ristoratori di strada, si introduce nel leggendario tempio di Shaolin per apprendere la vera arte della cucina cinese. E nel duello conclusivo contro il rivale dimostrerà di essere diventato letteralmente una "divinità della cucina". Mettendo – tanto per restare in tema – moltissima carne al fuoco, il film passa dalla farsa demenziale al dramma esistenziale, mescolando momenti slapstick con il classico percorso di caduta e rinascita su cui si fondano molte pellicole dell'estremo oriente, senza dimenticare naturalmente la competizione in cui le tecniche culinarie sostituiscono quelle delle arti marziali (non a caso la trama coinvolge il monastero di Shaolin, luogo/simbolo per eccellenza del kung fu). Ed è soprattutto un film assai divertente, che cresce a dismisura a ogni successiva visione, fra gag politicamente scorrette, personaggi eccentrici e situazioni surreali (mitici, per esempio, i "18 bronzemen" – anch'essi protagonisti di classici film di kung fu – che impediscono al malcapitato Stephen la fuga dal tempio). Il personaggio femminile menomato e inizialmente respinto dal protagonista (qui un'eccezionale Karen Mok) è tipico dei lavori di Chow: come non ricordare la dolce Vicki Zhao di "Shaolin soccer"?

17 gennaio 2011

L'udienza (Marco Ferreri, 1971)

L'udienza
di Marco Ferreri – Italia 1971
con Enzo Jannacci, Claudia Cardinale
*1/2

Visto in divx, con Marisa.

Un uomo cerca inutilmente di ottenere un'udienza dal papa in Vaticano, e si ritrova ostacolato da barriere di ogni tipo: burocrazia, politica, conflitti clericali, continui "rimpalli" da un'autorità all'altra e l'ostracismo di una serie di personaggi che rappresentano i cosiddetti poteri forti. "Mi sembra di essere in una situazione kafkiana", dice Enzo Jannacci (in una delle sue rare prove d'attore: ma la sua inespressività non convince particolarmente), e infatti il riferimento principale è proprio "Il castello" di Kafka. Peccato però che il film – pur partendo da un buono spunto: l'incomunicabilità fra il cittadino e il potere, qui rappresentato da una gerarchia religiosa che si rende inaccessibile ai fedeli – sia troppo labirintico e giri a vuoto, risultando poco interessante, popolato com'è da personaggi monolitici e schematici. Alla lunga, è noioso e ripetitivo. Non sapere che cosa Amedeo voglia dire di persona al papa (non che poi importi, fra l'altro, ai fini del film) non facilita certo il coinvolgimento dello spettatore, mentre la sottotrama sentimentale – con tanto di figlio illegittimo – lascia il tempo che trova. Forse Ferreri non fa per me: dal poco che ho visto finora non è mai riuscito a catturarmi appieno (mi manca però "La grande abbuffata", che da molti è considerato il suo film migliore). Peccato anche perché il cast è notevole: da Ugo Tognazzi (un funzionario di polizia) a Claudia Cardinale (una prostituta d'alto bordo), da Vittorio Gassman (un principe) a Michel Piccoli (un monsignore).

15 gennaio 2011

Victor Victoria (B. Edwards, 1982)

Victor Victoria (id.)
di Blake Edwards – GB/USA 1982
con Julie Andrews, Robert Preston
****

Rivisto in DVD, con Giovanni, Rachele, Ilaria e Paola.

Nella fredda Parigi dell'inverno del 1934, l'affamata e disoccupata cantante Victoria Grant (Julie Andrews) cerca inutilmente di ottenere una scrittura in un cabaret. Su suggerimento dell'amico gay Toddy (un simpatico e sarcastico Robert Preston), si presenta a un agente teatrale simulando di essere un uomo: il conte Victor Grazinsky, aristocratico polacco che sul palco si esibisce in abiti femminili e di cui Toddy finge di essere l'amante. Divenuta rapidamente una stella e una celebrità in tutta Parigi, attira l'interesse del rude gangster di Chicago King Marchand (James Garner), che non sa spiegarsi perché si senta tanto attratto da un maschio... Divertentissima commedia musicale sul tema del travestitismo e dell'ambiguità sessuale, questa farsa scoppiettante su "una donna che finge di essere un uomo che finge di essere una donna" – ispirata a un film tedesco del 1933 ("Viktor und Viktoria", di Reinhold Schünzel) – è forse il capolavoro di Blake Edwards: a un incipit melodrammatico e dickensiano seguono dialoghi impertinenti e sofisticati, un'esilarante comicità slapstick, numeri musicali ricchi di glamour (grazie anche agli splendidi costumi e alle coreografie) e colpi di scena a ripetizione. Naturalmente il tema dell'identità sessuale gioca un ruolo primario: si veda il gangster che per rassicurarsi della propria virilità si lascia coinvolgere in risse in palestra e nelle peggiori bettole di Parigi. Ma il film è anche – attraverso il filtro dell'ironia e della musica – un inno alla tolleranza e all'accettazione. Da vedere e da rivedere. Meravigliosi tutti gli interpreti, dai tre protagonisti principali ai numerosi caratteristi e ai personaggi di contorno: la sensibile guardia del corpo di Garner (Alex Karras), la gelosa "pupa" del gangster (Lesley Ann Warren), l'elegante agente di Victor (John Rhys-Davies), l'imperturbabile cameriere (Graham Stark), il maldestro e sfortunato investigatore (Sherloque Tanney) e molti altri. Fra le canzoni (di Henri Mancini, collaboratore abituale di Edwards, che nell'occasione vinse l'Oscar) spiccano "Le Jazz Hot", "You and Me" e "Crazy world", quest'ultima usata anche come tema nei titoli di testa.

14 gennaio 2011

Rogue il solitario (P. Atwell, 2007)

Rogue il solitario (War)
di Philip G. Atwell – USA 2007
con Jet Li, Jason Statham
**1/2

Visto in TV.

"Il solitario" (Jet Li), misterioso ed elusivo sicario a pagamento, è coinvolto nella guerra in corso fra yakuza e triadi per le strade di San Francisco. Inizialmente al soldo dei giapponesi, offre i propri servigi anche ai cinesi, provocando un'escalation di violenza e mirando alla distruzione di entrambe le bande. A lui dà la caccia l'agente dell'FBI John Crawford (Jason Statham), intenzionato a vendicare un proprio compagno che il killer aveva ucciso tre anni prima insieme a tutta la sua famiglia. Ma un doppio colpo di scena ribalterà le carte in tavola. Godibile action movie che ha i suoi punti di forza nelle sequenze d'azione coreografate da Corey Yuen (acrobazie, sparatorie, esplosioni, arti marziali e tutto il repertorio del genere) e, per una volta, nell'ambiguità dei ruoli dell'eroe e del cattivo. Se nella prima parte il protagonista assoluto è Statham, man mano che la trama procede l'attenzione si sposta su Li, che interpreta un personaggio doppiogiochista che ricorda quelli de "La sfida del samurai", "Per un pugno di dollari" e "Ancora vivo" (tutti debitori, naturalmente, a "Red Harvest" di Dashiell Hammett). I due attori avevano già recitato insieme nel precedente "The one", e lo faranno ancora ne "I mercenari" di Stallone. Da apprezzare la presenza della modella Devon Aoki nella parte della figlia del capo yakuza.

13 gennaio 2011

Hereafter (Clint Eastwood, 2010)

Hereafter (id.)
di Clint Eastwood – USA 2010
con Matt Damon, Cécile De France
***

Visto al cinema Arcobaleno, con Hiromi.

Un sensitivo di San Francisco, in grado di comunicare con i defunti attraverso i loro familiari, vorrebbe smettere di usare la propria capacità perché la sente più come una condanna che un dono. Una giornalista televisiva francese, scampata a un catastrofico tsunami durante il quale ha intravisto l'aldilà mentre si trovava fra la vita e la morte, sceglie di raccontare la propria esperienza in un libro. Un bambino londinese, in seguito alla scomparsa del fratello gemello in un incidente stradale, cerca disperatamente un modo per rimettersi in contatto con lui. Le tre storie scorrono in parallelo, e solo nel finale (in maniera un po' debole, a dire il vero) finiscono per intrecciarsi. Non so se Clint Eastwood o l'autore della sceneggiatura, Peter Morgan, credano davvero nell'esistenza dell'aldilà o nella possibilità di comunicare con i defunti: ma non importa, perché in realtà il film – che poggia su ottime interpretazioni e su una regia solida e asciutta, come da tempo ci ha abituato il grande Clint – è apprezzabile anche da chi è scettico su questi argomenti, visto che è più interessato a parlare della vita terrena dei suoi personaggi (l'obiettivo, per tutti e tre, è ricominciare a vivere) che non della cosiddetta "vita dopo la morte". Eastwood, anzi, è abile a non lasciarsi prendere la mano dal soggetto: non siamo di fronte né a un'apologia delle convinzioni irrazionali sul soprannaturale (numerosi ciarlatani vengono messi alla berlina, sono assenti – per fortuna – implicazioni religiose, e il messaggio finale è quello di "andare avanti" nel mondo reale e di staccarsi da coloro che se ne sono andati) né a un banale thriller sui fantasmi nel filone de "Il sesto senso" (che qualcuno aveva evocato prima dell'inizio delle riprese). Ho apprezzato come alcuni eventi recenti e drammatici (lo tsunami nell'Oceano Indiano del 2004, gli attentati terroristici nella metropolitana di Londra) siano stati inglobati nella trama in maniera funzionale e senza alcuna forzatura. Davvero impressionante, in ogni caso, la sequenza iniziale dello tsunami (girata alle Hawaii), con l'ondata che sembra trascinare via anche la macchina da presa, e ottimi i momenti di cinema che riguardano i due bambini. A tratti il mood del film è molto europeo, più che americano, soprattutto nei segmenti francesi. Bravi Matt Damon e i piccoli Frank e George McLaren, deliziosa Cécile de France. In piccole parti ci sono anche Bryce Dallas Howard (la ragazza con cui George frequenta un corso di cucina italiana) e Derek Jacobi (che interpreta sé stesso mentre legge un brano di Dickens). La colonna sonora (dello stesso Eastwood, che realizza le musiche dei suoi film proprio come Carpenter!) saccheggia ampiamente – soprattutto per le scene ambientate a Londra – l'Adagio del secondo concerto per pianoforte e orchestra di Rachmaninov. Il personaggio interpretato da Matt Damon è un appassionato lettore di Charles Dickens (a Londra ne va a visitare anche l'abitazione): non un caso, visto che l'opera più famosa dello scrittore inglese, il "Canto di Natale", ha proprio a che fare con spiriti e fantasmi.

12 gennaio 2011

Swallowtail butterfly (S. Iwai, 1996)

Swallowtail butterfly (Swallowtail)
di Shunji Iwai – Giappone 1996
con Ayumi Ito, Hiroshi Mikami
***

Visto in divx, con Hiromi, in originale con sottotitoli.

In una metropoli giapponese non precisata – ribattezzata "Yentown" dalla moltitudine di immigrati provenienti da ogni parte del mondo che l'hanno invasa, attratti dalla prospettiva di far soldi ma condannati a vivere in quartieri-ghetto ai margini della società – si intrecciano le vicende di numerosi personaggi. Una ragazzina rimasta orfana dopo la morte della madre viene accolta da Glico, giovane prostituta che si prende cura di lei e la battezza "Ageha" (il nome giapponese della farfalla che dà il titolo al film). Insieme ad altri compagni (fra i quali lo scombiccherato Fei-Hung), le due ragazze vivranno diverse esperienze, fino a quando scopriranno finalmente un metodo per ottenere la tanto agognata ricchezza e realizzare i propri sogni: aprire un locale con musica dal vivo, dove Glico potrà sfondare come cantante. Ma con il successo sembra finire anche la solidarietà fra disperati: le strade dei personaggi si dividono, e alla fine si tornerà al punto di partenza: un "funerale" dove bruciare denaro per aiutare l'anima del defunto ad abbandonare la terra. In mezzo, la vita in squallide discariche e vicoli dominati dal vizio e dalla malavità; scontri a fuoco fra bande di gangster e misteriosi killer; parenti separati dal destino e difficili percorsi di formazione (come quello che porta Ageha a trasformarsi da bruco in farfalla); l'illusione della celebrità e gli scherzi del destino. Corale e cosmopolita, intenso e caledoiscopico, ricco di eventi e claustrofobico nei sentimenti, il film è girato interamente con la camera a mano ed è parlato in diverse lingue (principalmente inglese e cinese) per riflettere la multiculturalità dei personaggi. Lo scenario è cupo e sembra offrire poca speranza: gli "stranieri" in Giappone sono destinati a rimanere tali (anche per gli immigrati di seconda generazione, ovvero quelli nati nel paese che li ospita, non sembrano esserci possibilità di uscire dal ghetto) e il denaro determina e governa il destino di ogni persona, nel bene e nel male. Confusa e dotata di molte anime, la pellicola è attraversata da momenti toccanti, disperati, stralunati e persino splatter (la fuga di Fei-Hung dal furgoncino dei gangster). Fra le pellicole di Iwai che ho visto finora, è una delle più ricche e complesse, forse quella che più si avvicina alla stratificata profondità del suo capolavoro "All about Lily Chou-Chou".

11 gennaio 2011

Specie mortale (R. Donaldson, 1995)

Specie mortale (Species)
di Roger Donaldson – USA 1995
con Natasha Henstridge, Ben Kingsley
**1/2

Visto in DVD, con Martin, Luisa e Hiromi.

Per rintracciare Sil, una pericolosa creatura di origine extraterrestre (nata dall'ibridazione fra DNA umano ed alieno) fuggita dal laboratorio dov'era custodita, uno scienziato militare (Ben Kingsley) organizza una squadra speciale formata da un killer (Michael Madsen), un sensitivo (Forest Whitaker), un antropologo (Alfred Molina) e una biologa (Marg Helgenberger). Il gruppo seguirà la scia di sangue lasciata dalla loro preda fino a Los Angeles, dove la creatura (che ha assunto l'aspetto di una bionda letale, in tutti i sensi) è giunta in cerca di un compagno con cui riprodursi. Un cast degno di nota per un onesto action-horror fantascientifico dalle atmosfere anni ottanta: se gli effetti speciali nella parte finale sono alquanto deludenti (ed è un peccato, visto anche che il design dell'alieno è nientemeno che di H.R. Giger, lo stesso artista di "Alien"), il resto del film si lascia guardare con piacere, diviso com'è fra le indagini della squadra di protagonisti (con interessanti dinamiche interne) e le peripezie dell'aliena in città: non c'è una divisione netta fra buoni e cattivi, e si tifa per i primi senza però odiare il "mostro" cui danno la caccia. Gli evidenti sottotesti sessuali (Sil è mossa essenzialmente dall'istinto di riprodursi) ben si sposano con la gaudente ambientazione losangelina e soprattutto con la bellezza dell'attrice che interpreta la creatura aliena, la modella Natasha Henstridge, protagonista di alcune scene davvero hot. In mano a un regista più ispirato, e con una sceneggiatura più curata, poteva venirne fuori un piccolo capolavoro. Una curiosità, il personaggio interpretato dal pelato Ben Kingsley si chiama Xavier: che sia una citazione dagli X-Men?

10 gennaio 2011

Il grande colpo (Kirk Wong, 1998)

Il grande colpo (The big hit)
di Kirk Wong – USA 1998
con Mark Wahlberg, Lou Diamond Phillips
***

Rivisto in DVD, con Hiromi.

Per il suo (sfortunato) debutto hollywoodiano, prodotto fra gli altri da John Woo, Kirk Wong – uno dei registi hongkonghesi più significativi degli anni novanta, poi finito nel dimenticatoio – realizza una divertente pellicola che fonde adrenaliniche sequenze d'azione con una trama brillante e movimentata, quasi da commedia degli equivoci. Tutto ruota attorno a Melvin Smiley (Mark Wahlberg), abilissimo ma remissivo sicario che lavora – insieme a tre altri killer, fra cui l'infido Cisco (Lou Diamond Phillips) – per conto del potente boss del crimine Paris (Avery Brooks). Melvin soffre di continue ulcere allo stomaco perché tutti si approfittano di lui, contando sulla sua naturale bontà d'animo e sul suo patologico "desiderio di piacere a tutti": gli amici (cui non sa mai negare un favore), i "colleghi" (che gli lasciano sempre fare il grosso del lavoro per poi intascare le ricompense che spetterebbero invece a lui), e soprattutto le sue due donne, la fidanzata ufficiale Pam (Christina Applegate) e l'amante segreta Chantel (Lela Rochon), che gli prosciugano il conto in banca: la prima a beneficio dei genitori spendaccioni e ubriaconi, la seconda con l'intenzione di mollarlo e fuggire con un altro uomo. Per far fronte alle loro continue richieste di denaro e "arrotondare" lo stipendio, Melvin si vede dunque costretto ad accettare una proposta di Cisco ed effettuare nel tempo libero un lavoretto in proprio: sequestrare la figlia di un ricco imprenditore giapponese, Keiko (la graziosa China Chow), per chiedere un riscatto milionario. I rapitori però ignorano non solo che il padre della ragazza è ormai sul lastrico, ma soprattutto che Keiko è la figlioccia di Paris, il quale incarica proprio Cisco di individuare ed eliminare i responsabili. Questi, pur di scampare all'ira del boss, "scarica" su Melvin – che nel frattempo si è innamorato (ricambiato) di Keiko – tutta la responsabilità del rapimento, guidando una caccia all'uomo contro l'ex amico. Studentesse legate e imbavagliate (Keiko in uniforme da schoolgirl è il sogno di ogni feticista!), rocambolesche cene familiari (i genitori di Pam, interpretati da Elliot Gould – sì, lui! – e Lainie Kazan, scelgono proprio quel giorno per far visita a Melvin), videocassette da restituire (il tormentone della VHS di "King Kong 2" che Melvin non ha ancora riportato al negozio è esilarante), gag metacinematografiche (il padre di Keiko è andato in bancarotta per aver prodotto un film con sé stesso come protagonista), dialoghi scoppiettanti o surreali (memorabile il messaggio pieno di errori che Keiko, dopo essere stata rapita, deve leggere al padre), una cornice hip-hop ai limiti della parodia, e naturalmente sparatorie, inseguimenti, esplosioni e scontri cartoonistici e spettacolari (con tanto di flashback per spiegare come i vari personaggi sono sopravvissuti agli stunt più rocamboleschi, gestiti con mestiere dal montaggio di Pietro Scalia): tutto concorre a rendere questo sottovalutato film un gioiellino nel suo genere.

9 gennaio 2011

I tre caballeros (aavv, 1944)

I tre caballeros (The Three Caballeros)
di Norman Ferguson, Clyde Geronimi, Jack Kinney, Bill Roberts, Harold Young – USA 1944
animazione tradizionale e mista
**

Rivisto in DVD.

A differenza del suo predecessore "Saludos amigos", di cui può essere considerato il sequel, "I tre caballeros" ha una struttura più libera e meno rigida: sono ancora presenti episodi autoconclusivi (segnatamente quelli relativi al pinguino Pablo e al "gauchito volante"), ma il film si dipana in una successione di quadri e numeri musicali che fluiscono l'uno nell'altro senza una vera soluzione di continuità e facendo ampio ricorso alla fusione fra animazione e sequenze con attori in carne e ossa (perlopiù cantanti e ballerini). Protagonista della pellicola è ancora Paperino, affiancato stavolta non solo dal pappagallo brasiliano José Carioca (già visto in "Saludos amigos") ma anche dal galletto messicano Panchito (al suo esordio): i tre pennuti sono, per l'appunto, i "tre caballeros" del titolo. E proprio il Brasile e il Messico sono i due paesi cui è dedicata quasi interamente la pellicola. Il lungometraggio si apre con Paperino che riceve un pacco dagli amici sudamericani per il suo compleanno (che, apprendiamo, cade naturalmente di venerdì 13). Il pacco contiene numerosi regali, il primo dei quali è un proiettore per assistere a un documentario sugli uccelli rari ("Aves raras") diviso in tre segmenti: la prima parte racconta la storia di Pablo, pinguino freddoloso che sogna di trasferirsi ai tropici; la seconda è dedicata ai variopinti uccelli dell'Amazzonia, fra i quali spicca il buffo e pestifero Aracuan, che continuerà ad apparire durante il film nei momenti meno opportuni; la terza, infine, è la storia di un gaucho bambino dell'Uruguay alle prese con un ciuchino alato. Il secondo regalo è un libro illustrato, dal quale fuoriesce José Carioca in persona che accompagna l'amico a visitare la città di Bahia, dove i due pennuti si delizieranno a ballare il samba con la ballerina e cantante Aurora Miranda, sorella della più celebre Carmen Miranda. Il terzo regalo, infine, viene presentato da Pachito: si tratta di una piñata, un tradizionale contenitore messicano pieno di doni. Fra questi c'è un serapè, un tappeto volante grazie al quale Panchito, José e Paperino viaggiano attraverso le più celebri località messicane (da Vera Cruz alla spiaggia di Acapulco), assistendo a balli tradizionali. Paperino cerca inutilmente di corteggiare le graziose danzatrici che incontra, e finisce con l'innamorarsi della cantante Dora Luz, i cui baci danno il via a una concitata sequenza conclusiva, surreale e astratta. Da notare che il trio di caballeros è stato recentemente riproposto da Don Rosa in due storie a fumetti, e che nei piani della Disney c'era un terzo film – mai realizzato – in cui Paperino avrebbe incontrato un "quarto caballero", stavolta di origine cubana.

8 gennaio 2011

Saludos amigos (aavv, 1942)

Saludos amigos (id.)
di Norman Ferguson, Wilfred Jackson, Jack Kinney, Hamilton Luske, William Roberts – USA 1942
animazione tradizionale e mista
**

Rivisto in DVD.

Dopo una prima serie di cinque capolavori (da "Biancaneve" a "Bambi"), dal 1942 al 1949 Walt Disney smise di produrre lungometraggi animati e realizzò invece sei pellicole "antologiche" che mescolavano cortometraggi, brevi episodi, numeri musicali e sequenze in live action. I primi due di questi titoli, "Saludos amigos" e il suo sequel "I tre caballeros", furono messi in cantiere allo scopo di rinsaldare i "rapporti di buon vicinato" fra gli Stati Uniti e i paesi dell'America Latina, con obiettivi sia culturali sia commerciali (nonché, visti i tempi, politici: il progetto venne infatti commissionato a Disney direttamente dal governo statunitense alla vigilia dell'ingresso nella seconda guerra mondiale). Il pretesto narrativo di quello che è essenzialmente un collage di episodi – o "cartoline animate" – è il viaggio di un gruppo di artisti degli studi Disney attraverso i paesi dell'America Latina, un tour che fornirà spunti e ispirazione per la realizzazione dei quattro segmenti proposti (da notare che la pellicola, con una durata di soli 42 minuti, è sicuramente la più breve fra tutte quelle che fanno parte dei cosiddetti "Classici Disney"). Il protagonista del primo episodio, ambientato in Perù, è Paperino, personaggio che aveva ormai rimpiazzato Topolino come principale star della casa di Burbank: lo troviamo qui in veste di turista sul Lago Titicaca. Nel secondo segmento assistiamo alle peripezie di Pedro, piccolo aeroplano umanizzato che deve consegnare la posta attraversando le Ande cilene. Protagonista del terzo episodio è Pippo, nelle vesti di un gaucho della pampa argentina. Infine, nel quarto segmento (il migliore e il più significativo) facciamo la conoscenza di José Carioca, pappagallo brasiliano che guida lo spettatore in "Aquarela do Brasil", una sequenza colorata e surreale in cui un fantasioso pittore ritrae le bellezze di Rio de Janeiro. Nel corso dell'episodio ricompare Paperino, che insieme a José si scatena in danze e numeri musicali. Certo, rivisto oggi il film non sembra godere di particolare appeal e, pur offrendo occasionali momenti di divertimento, si trascina stancamente, risultando alla lunga anche un po' noiosetto: pur importanti da una prospettiva storica e documentaristica, i film disneyani a episodi non regalano allo spettatore lo stesso piacere che forniscono i lungometraggi animati veri e propri.

7 gennaio 2011

Greta, la donna bestia (J. Franco, 1977)

Greta, la donna bestia (Greta - Haus ohne Männer)
di Jess Franco – USA/Svizzera/Germania 1977
con Dyanne Thorne, Tania Busselier
**

Visto in DVD, con Martin.

Nascosta nella giungla di un paese sudamericano, la sadica e sensuale Greta (personaggio imparentato con la più celebre Ilsa, "la belva delle SS" interpretata dalla stessa Dyanne Thorne: non a caso in alcuni paesi il film è stato reintitolato e distribuito come se facesse parte della serie di Ilsa) gestisce con il pugno di ferro una clinica privata per donne che soffrono di disturbi della sessualità. In realtà si tratta di una copertura, e l'istituto è una sorta di prigione-lager per torturare prigioniere politiche. Per scoprire cosa ne è stato della sorella, ricoverata nella clinica un anno prima, una ragazza si fa rinchiudere nell'istituto sotto falso nome: finirà vittima di soprusi, torture, elettroshock e delle attenzioni lesbiche delle guardie e delle altre prigioniere. Franco al suo meglio (o al suo peggio, dipende dai punti di vista): sexploitation di bassa lega, ma a suo modo efficace nel veicolare quel misto di sesso e violenza che caratterizza il filone delle "women in prison", perdipiù senza compromessi o censure: i nudi femminili abbondano, così come le sequenze efferate e sopra le righe. È uno di quei film in cui i difetti della trama o della sceneggiatura non sono davvero tali, anzi più la pellicola è grezza più funziona. E poi c'è un finale a suo modo memorabile, quello in cui le prigioniere si vendicano della loro aguzzina divorandola viva. Fra le interpreti spiccano naturalmente le "cattive": oltre alla perfida e popputa Greta, "dottoressa" in abiti militari e fiancheggiatrice del regime fascista, c'è Juana (Lina Romay, moglie di Franco: la scena in cui viene torturata con gli spilli è forse la migliore del film), paziente inizialmente succube di Greta ma che poi guida la rivolta contro di lei.

6 gennaio 2011

Donne (George Cukor, 1939)

Donne (The women)
di George Cukor – USA 1939
con Norma Shearer, Joan Crawford
***1/2

Visto in DVD.

Mary Haines, dama dell'alta borghesia di Manhattan, viene a sapere dalla manicure di un salone di bellezza che il marito la tradisce con la commessa di un negozio di profumi (cosa di cui tutte le sue amiche erano già al corrente). Inizialmente cerca di far finta di nulla, continuando la sua vita di tutti i giorni; ma dopo uno "scontro" con la rivale nei camerini di uno stilista di moda, con lo scandalo finito ormai sui giornali, non ha altra scelta che recarsi a Reno (la città del Nevada dove si ritrovano tutte le donne nella sua condizione) per chiedere il divorzio. Pentita, riuscirà a riconquistare il marito strappandolo dalle grinfie dell'arrivista contendente. Acido e ironico ritratto della vita sociale dell'epoca, tratto da un lavoro teatrale di Clare Boothe Luce (scrittrice satirica che divenne poi ambasciatrice degli Stati Uniti in Italia!) e sceneggiato da Anita Loos (l'autrice de "Gli uomini preferiscono le bionde"), il film è passato alla storia per il cast non solo vasto e stellare, ma esclusivamente femminile: benché di uomini si parli in continuazione, nella pellicola non compare un solo attore maschio, nemmeno nelle scene ambientate in esterni. I produttori dichiararono che persino gli animali che compaiono sullo schermo (cagnolini, cavalli) sono rigorosamente di sesso femminile! Fra le brillanti interpreti spiccano, oltre alla protagonista Norma Shearer (Mary) e alla sua rivale Joan Crawford (Crystal), l'amica impicciona Rosalind Russell (Sylvia), che a sua volta si fa "soffiare" il marito dalla disinvolta Paulette Goddard (Miriam); la più giovane e ingenua Joan Fontaine (Peggy); la "navigata" contessa Mary Boland (Flora); la cronista mondana Hedda Hopper (che interpreta sé stessa); e decine di altri personaggi. Sofisticato ed elegante, il film è dominato dall'ambiente frivolo ma frenetico dell'alta società newyorkese dell'epoca, con i personaggi che si aggirano in continuazione fra negozi, saloni di bellezza, centri per dimagrire o per fare ginnastica, tutti luoghi di aggregazione dove la principale attività consiste nel gossip alle spalle delle amiche. Memorabile, in particolare, la lunga sequenza della sfilata di moda (girata in Technicolor, mentre il resto del film è in bianco e nero), culmine visivo di una pellicola che in ogni scena consente di ammirare centinaia di capi di vestiario, di gioielli, di acconciature femminili dell'epoca. Nonostante le apparenze, comunque, non si tratta di una pellicola "femminista", visto che delle donne vengono messi in luce anche i numerosi difetti e la contraddittoria lotta fra emancipazione e dipendenza (anche e soprattutto economica) dagli uomini. Indicativo, al riguardo, un incisivo scambio di battute: a una signora che sbotta in un "Gli uomini, che mascalzoni, vogliono una cosa sola!", una ragazza replica "Che altro abbiamo da offrire?". Parecchi i remake o le pellicole che vi si sono ispirate: fra i primi, la commedia musicale "Sesso debole?" (1956) di David Miller con June Allyson, Joan Collins e Dolores Gray (che però prevedeva la presenza di uomini nel cast) e il recente "The Women" (2008) di Diane English con Meg Ryan, Annette Benning ed Eva Mendes; fra le seconde, "Donne – Waiting to Exhale" (1995) di Forest Whitaker con Whitney Houston e Angela Bassett. Naturalmente il film ha contribuito a cementare ancora di più la reputazione di Cukor quale "regista di attrici".

5 gennaio 2011

Chameli ki shaadi (B. Chatterjee, 1986)

Chameli ki shaadi
di Basu Chatterjee – India 1986
con Anil Kapoor, Amrita Singh
*1/2

Visto in DVD, in originale con sottotitoli inglesi.

Considerato un classico della commedia romantica bollywoodiana e ambientato in una piccola cittadina dell'Uttar Pradesh, racconta la tormentata storia d'amore fra Charandas, spiantato e perdigiorno lottatore di wrestling (il cui maestro gli ha ordinato di non pensare alle ragazze prima di aver compiuto 40 anni!), e la vivace studentessa Chameli, figlia di un ricco mercante di carbone. Nonostante l'opposizione delle rispettive famiglie e le differenze di casta (i genitori di Chameli giungono persino a rinchiuderla in casa pur di non farla più incontrare con Charandas), i due ragazzi riusciranno a convolare a nozze grazie agli intrighi e alla complicità di compagni e amici, in particolare dello scaltro avvocato Harish, consigliere di Charandas, e di Anita, compagna di scuola di Chameli. Se il plot è scontato e prevedibile (siamo di fronte alla solita variazione su "Romeo e Giulietta", stavolta con lieto fine), il film è ravvivato dalle immancabili canzoni (nulla di speciale, comunque) e dai balletti (con coreografie particolarmente oniriche o surreali), da numerosi momenti comici e da un certo fascino retrò, tipico delle produzioni hindi. Fra i due protagonisti, però, non c'è particolare alchimia e i personaggi meglio riusciti sono quelli di contorno, come l'avvocato Harish (Amjad Khan) e il padre della ragazza (Pankaj Kapur).

4 gennaio 2011

Grazie, signora Thatcher (M. Herman, 1996)

Grazie, signora Thatcher (Brassed off)
di Mark Herman – GB/USA 1996
con Pete Postlethwaite, Ewan McGregor
***

Rivisto in divx.

Per ricordare il grande attore Pete Postlethwaite, scomparso due giorni fa, mi sono rivisto una delle sue interpretazioni più memorabili: quella del direttore della banda di ottoni composta dai minatori di un paesino dello Yorkshire, preoccupati per l'imminente chiusura della locale miniera di carbone da parte del governo conservatore della Gran Bretagna (da cui il riferimento al primo ministro Margaret Thatcher nel titolo italiano, assente nell'originale anche perché la vicenda si svolge quando le redini del governo erano già passate nelle mani di John Major). La pellicola, sicuramente una delle migliori fra le tante (tipicamente britanniche) che fondono commedia proletaria e dramma sociale alla Ken Loach, nel finale si trasforma in un aperto atto d'accusa contro un governo che con il suo liberismo sfrenato "ha sistematicamente distrutto un'intera industria", quella mineraria, facendo perdere migliaia di posti di lavoro e gettando sul lastrico e nella disperazione intere famiglie. Sullo sfondo della depressione e della crisi economica, la speranza alla quale si aggrappano i vari protagonisti del film è proprio la musica, unico motivo di gioia e di orgoglio: nonostante contrasti, dubbi e insicurezze, i minatori non abbandonano il sogno di giungere a suonare alla prestigiosa Albert Hall di Londra, dove il loro appassionato direttore, l'anziano Danny (Postlethwaite, appunto), nonostante la salute cagionevole terrà un accorato discorso contro la disoccupazione (che venne improvvisato dall'attore, d'accordo con il regista, per suscitare reazioni emotive più "realistiche" dal resto del cast). Per il resto la pellicola è quasi corale e segue le storie di diversi personaggi coinvolti a vario titolo nella chiusura della miniera: fra questi ci sono Gloria (Tara Fitzgerald), la giovane perita incaricata di valutare la redditività dell'attività mineraria (ma i suoi studi saranno inutili, in quanto la decisione di chiudere è già stata presa), che si unisce alla banda e conquista il cuore del giovane Andy (un Evan McGregor a inizio carriera); Phil (Stephen Tompkinson), figlio di Danny, il personaggio più drammatico del film, colui che deve affrontare i problemi maggiori a causa della disoccupazione, fino a tentare il suicidio; e molti altri minatori e le loro famiglie, persone semplici che non sono solo macchiette ma personaggi a tutto tondo, alla fine tutti sconfitti ma con dignità, abilmente tratteggiati dalla sceneggiatura dello stesso Herman. Il paesino fittizio di Grimley si ispira a Grimethorpe, che – in seguito alla cessazione dell'attività mineraria – è diventato il villaggio più povero della Gran Bretagna: proprio la Grimethorpe Colliery Band ha eseguito i brani che si sentono nella colonna sonora. Fra questi, ne spiccano alcuni piuttosto celebri: il "Concierto de Aranjuez" di Rodrigo, l'ouverture del "Guglielmo Tell" di Rossini e "Pomp and Circumstance" di Elgar.

3 gennaio 2011

The iceman cometh (C. Fok, 1989)

The iceman cometh (Ji dong ji xia)
di Clarence Fok – Hong Kong 1989
con Yuen Biao, Maggie Cheung
**1/2

Rivisto in DVD, in originale con sottotitoli inglesi.

Grazie a un mistico artefatto buddista, una guardia imperiale dell'epoca Ming (Yuen Biao, compagno di tante avventure di Jackie Chan e Sammo Hung, qui in una delle sue rare apparizioni "da solo") e un suo collega che si è dato al crimine (il dinoccolato Yuen Wah, abbonato alle parti da cattivo) si ritrovano trasportati 300 anni nel futuro, nella Hong Kong moderna, dove faticheranno ad abituarsi ai nuovi usi e costumi ma proseguiranno la loro incessante lotta. Divertente pellicola d'azione e d'avventura con un sottotesto fantastico e soprattutto una lunga parte centrale che si sviluppa come commedia romantica sofisticata, grazie alla preziosa presenza di Maggie Cheung nei panni della furba e capricciosa prostituta che accoglie il protagonista Ching e ne fa il proprio "servetto", lasciandogli credere nel mondo moderno gli uomini sono al servizio delle donne. Naturalmente fra i due nascerà l'amore, ma gli ideali nobili e conservatori di Ching gli impediranno di vivere al fianco della donna se prima non avrà portato a termine il suo compito, quello cioè di fermare l'acerrimo rivale che, anche nel ventesimo secolo, continua a dedicarsi a rapine, stupri e omicidi. Nonostante i ridicoli effetti speciali e un vago senso di deja vù (il riferimento principale potrebbe essere "Highlander"), il film è gradevole per merito dei tre ottimi interpreti e del buon ritmo nelle scene d'azione, specialmente nel finale. Il titolo, identico a quello di un dramma teatrale di Eugene O'Neill adattato al cinema da John Frankenheimer del 1973 (con il quale non ha nulla a che vedere), si riferisce al fatto che i due guerrieri, nel passaggio fra passato e futuro, si ritrovano congelati come mummie nei ghiacci tibetani.

2 gennaio 2011

Pagine dal libro di Satana (C. T. Dreyer, 1921)

Pagine dal libro di Satana (Blade af Satans bog)
di Carl Theodor Dreyer – Danimarca 1921
con Helge Nissen
**1/2

Rivisto in DVD.

Ispirandosi a "Intolerance" di Griffith, Dreyer realizza una lunga pellicola a sfondo morale, divisa in quattro episodi ambientati in differenti epoche storiche ma legati da un filo conduttore: i continui sforzi di Satana (interpretato sempre da Helge Nissen) di indurre gli uomini in tentazione, facendo loro tradire le persone più care. Un cartello introduttivo spiega come Dio abbia bandito Satana dal Paradiso, costringendolo a vagare sulla Terra attraverso i secoli con il compito di spingere gli esseri umani a compiere azioni malvage: per ogni uomo che cederà alla tentazione, la condanna del diavolo sarà aumentata di cento anni; per ognuno che saprà resistergli, gli verranno invece risparmiati mille anni. Nel primo episodio, ambientato in Galilea all'epoca di Gesù, Satana assume l'aspetto di un fariseo e sobilla Caifa contro il Cristo e i suoi apostoli; dopodiché convince Giuda a tradire il suo maestro. Nel secondo, all'epoca dell'inquisizione spagnola, veste i panni del Grande Inquisitore per convincere un giovane monaco a tradire la famiglia presso cui lavorava (uno scienziato accusato di eresia perché praticava l'astronomia e sua figlia, di cui il monaco era innamorato). Nel terzo, che si svolge durante la rivoluzione francese, il diavolo spinge il fedele servitore di una famiglia nobile a diventare un Giacobino e a tradire non solo i suoi padroni ma addirittura la regina Maria Antonietta, rinchiusa in attesa di essere condannata alla ghigliottina. Nel quarto, ambientato nel 1918 (dunque, praticamente in tempo reale) nella Finlandia invasa dai russi, appare come un monaco in stile Rasputin che cerca di spingere una giovane finlandese a tradire il proprio popolo: soltanto quest'ultima, a differenza degli altri tre personaggi, saprà resistergli. Notevole la prova del protagonista Helge Nissen, che dà vita a un Satana multiforme, astuto e crudele ma a tratti anche compassionevole, e ottime le ricostruzione scenografiche e le riprese in esterni; ma non tutti gli episodi sono di egual valore (i più interessanti sono senza dubbio i due centrali).