10 marzo 2020

Il volto (Ingmar Bergman, 1958)

Il volto (Ansiktet)
di Ingmar Bergman – Svezia 1958
con Max von Sydow, Ingrid Thulin
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Rivisto in divx, per ricordare Max von Sydow.

A metà Ottocento, la "compagna medico-ipnotica" itinerante del dottor Vogler (Max von Sydow) – che comprende anche la sua moglie e assistente Manda (Ingrid Thulin), il prestigiatore Tubal (Åke Fridell) e una vecchia "strega" che vende pozioni magiche (Naima Wifstrand) – giunge in una cittadina, dove è accolta dai notabili del luogo. Il console Egerman (Erland Josephson) ha infatti deciso di ospitarli in casa propria perché ha fatto una scommessa con il medico Vergerus (Gunnar Björnstrand) sull'esistenza o meno del soprannaturale: il primo ci crede, così come sua moglie Ottilia (Gertrud Fridh), che intende chiedere a Vogler di lenire con i suoi poteri animistici e magnetici il proprio dolore per la recente scomparsa di una figlia; il secondo invece è scettico, convinto che in natura nulla sia inesplicabile. Dopo una notte movimentata in cui i membri della compagnia "fraternizzano" in vari modi con la servitù (e non solo) del palazzo, il giorno dopo lo "spettacolo magico" si tramuta in una forte umiliazione per Vogler e compagni: ma l'uomo saprà vendicarsi, fingendo di tornare dalla morte e fornendo per un attimo un'esperienza unica al medico scettico. Una pellicola misteriosa e bizzarra, tutta giocata sulla dicotomia fra verità e finzione (o "sull'illusione dell'arte e sul suo rapporto con il potere"). Manda dice all'inizio: "L'inganno è così univeralmente diffuso che dire la verità significa farsi tacciare da bugiardi". E in effetti, a prima vista, la compagnia del dottor Vogler sembra costituita solo da impostori, dediti all'inganno sia a livello di azioni che di aspetto: Vogler stesso indossa una barba finta e si trucca il volto, oltre a fingere di essere muto. Manda viaggia in abiti maschili ("per far perdere meglio le nostre tracce se siamo nei guai") e, pur ammettendo di far parte di un gruppo di ciarlatani, rimpiange la cosa: "Se solo una volta potessi dire che e vero...". Ma l'inganno domina anche gli altri personaggi, che mentono a sé stessi anche quando si impuntano nei rispettivi ruoli: Vergerus è lo scienziato razionalista e positivista, il console e sua moglie lasciano una porta aperta all'immateriale (o almeno fingono di farlo, perduti nei miti del romanticismo e negli inganni della propria relazione), memtre il capo della polizia (Toivo Pawlo), quale rappresentante dell'ordine, sembra indifferente alla questione e si preoccupa soltanto di non lasciarsi sfuggire di mano la propria autorità. Persino fra la servitù, benchè a livello più schietto e meno ipocrita, serpeggiano pose e finzioni: dalla servetta Sara (Bibi Andersson), che amoreggia con il giovane cocchiere Simson (Lars Ekborg), a sua volta fintamente spavaldo, alla capocuoca Sofia (Sif Ruud), che seduce Tubal, passando per l'attore ubriacone Johan (Bengt Ekerot: cosa c'è di più ingannevole della sua professione?) e lo stalliere Antonsson (Oscar Ljung), vittima della propria immaginazione. La fotografia espressionista di Gunnar Fischer e gli accurati primi piani della regia di Bergman indagano questi e altri personaggi con interesse quasi antropologico, mettendone in luce paure e contraddizioni: e il film non ci risparmia nemmeno alcune sequenze davvero suggestive e "magiche", come l'attraversamento iniziale del bosco, la notte di tempesta, e la scena in soffitta quando Vogler, grazie a ombre e specchi, tormenta Vergerus prima di svelarsi per quello che è nel finale. Ispirato forse a un testo teatrale di G. K. Chesterton ("Magic"), il film vinse il Leone d'argento alla Mostra di Venezia.

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