La La Land (Damien Chazelle, 2016)
La La Land (id.)
di Damien Chazelle – USA 2016
con Emma Stone, Ryan Gosling
***1/2
Visto al cinema Colosseo, con Sabrina.
A Los Angeles, la "città delle stelle", l'aspirante attrice Mia (Stone) e il pianista di jazz Sebastian (Gosling) si incontrano, si innamorano e si aiutano a vicenda a realizzare i propri sogni (rispettivamente quelli di diventare una diva del cinema e di aprire un locale per ospitare il "vero jazz"), sostenendosi in particolare nei momenti in cui il sogno comincia a essere perso di vista. Anche se raggiungeranno i loro obiettivi, ne pagheranno il prezzo. Colorato, monumentale, romantico omaggio al mondo degli idealisti e ai sognatori, "La La Land" (il titolo fa riferimento sia alla città di Los Angeles, comunemente abbreviata in L.A., sia a un'espressione gergale che indica il paese dove vive chi ha la testa fra le nuvole) è una pellicola che sembra avere tutte le carte in regola per diventare un "classico" del cinema americano, come suggeriscono peraltro i tanti riconoscimenti – di pubblico e di critica – che sta raccogliendo in questi primi mesi di vita (in attesa degli Oscar, dove ha già stabilito il record di nomination, ben 14, a pari merito con "Eva contro Eva" e "Titanic": è vero che la concorrenza quest'anno non è particolarmente forte, ma è comunque un risultato notevole). A contribuire al successo, naturalmente, ci sono le ottime prove dei due protagonisti, le magnifiche coreografie, la regia dinamica e il grande uso dell'ambientazione (non si era mai vista una Los Angeles così romantica e viva, con un heritage e un fascino quasi parigino). Chazelle (di cui devo ancora vedere il precedente "Whiplash", anch'esso incentrato sul mondo della musica) compie un'operazione stupefacente, da un lato decisamente nostalgica (recuperando tutto l'aspetto ingenuo e idealistico dei musical degli anni cinquanta) ma dall'altro rivitalizzante e modernissima: a fianco della leggerezza e dei colori sgargianti (come nelle scene in cui i personaggi indossano abiti monocromatici) c'è spazio per le ombre, il vuoto e la solitudine, e a fianco del tema del sogno e dell'idealismo c'è anche una spruzzata di realistico cinismo (si pensi allo struggente finale). Da notare che il rimpianto vive attraverso un ultimo sogno ad occhi aperti, un'illusione condivisa che può ricordare certi film di Frank Capra (o anche "The family man"), ma che si esaurisce in pochi minuti. E dunque, più che ai musical di Fred Astaire o di Gene Kelly, andrebbe semmai affiancato a pellicole sul microcosmo di Hollywood e sul sacrificio da pagare per realizzare i propri sogni (da "A che prezzo Hollywood?" di George Cukor ai vari "È nata una stella").
Chi si aspettava un semplice sguardo rivolto al passato, attraverso il recupero di un genere (il musical, appunto) che spopolava negli anni cinquanta ma che ormai ha senso solo come rivisitazione od omaggio nostalgico (come era stato fatto con il cinema muto, per esempio, nel recente "The artist"), si deve ricredere: "La La Land" non è un'operazione fine a sé stessa ma vive di vita propria. La stessa nostalgia è funzionale alla storia narrata, alla caratterizzazione dei personaggi (si riflette per esempio in quella di Sebastian per la musica di una volta), oltre che per il coinvolgimento dello spettatore. I due protagonisti (di fatto, gli unici due personaggi del film: tutti gli altri sono solo elementi di contorno) vivono immersi in un mondo che cambia, o che è già cambiato attorno a loro: un mondo dove i cinema d'essai che proiettavano vecchi classici sono destinati alla chiusura, i locali storici cambiano nome e target, il jazz deve contaminarsi con il pop per poter raggiungere un pubblico giovane. E in un mondo del genere, è difficile restare a galla senza rinunciare a una parte di sé: che si tratti del sogno di tutta una vita, o anche solo dell'amore. In ogni caso, la pellicola fonde alla perfezione cinema popolare e d'autore, riuscendo a mandare in estasi tanto il pubblico generalista in cerca di un semplice intrattenimento disimpegnato quanto i cinefili che adorano il periodo d'oro delle major, con riferimenti espliciti, fra gli altri, a "Gioventù bruciata" (i protagonisti non solo vanno a vedere la pellicola ma visitano anche il celebre osservatorio Griffith dove si svolge una delle scene di quel film) e a "Casablanca" (in quest'ultimo caso l'omaggio è particolarmente significativo: certo, nei dialoghi si cita più volte la pellicola di Curtiz e Mia ha una gigantografia della Bergman nella propria camera, ma il vero parallelo è quello fra i protagonisti dei due film, che in entrambi i casi, pur amandosi perdutamente, in qualche modo alla fine non resteranno insieme, lanciandosi un ultimo sguardo d'addio). Il resto lo fanno la musica, le danze, il movimento e i sentimenti. Per essere un musical, comunque, le canzoni sono insolitamente poche: soltanto cinque, tutte peraltro molto belle. Si va dal brano di apertura, il fintamente programmatico "Another Day of Sun" (con una coreografia, quella dell'ingorgo in autostrada, che ricorda "Les demoiselles de Rochefort" di Demy), alla vivace "Someone in the crowd" intonata da Mia e dalle sue tre coinquiline; dalla romantica "A Lovely Night" che certifica l'innamoramento dei due protagonisti, alla memorabile "City of Stars" che torna in più occasioni (cantata da Sebastian prima da solo, e poi insieme a Mia), per finire con "The Fools Who Dream", il vero manifesto del film, nella scena dell'audizione della ragazza. Il resto della colonna sonora, opera di Justin Hurwitz, accompagna momenti leggeri e commoventi (come la scena nell'osservatorio, in cui i due personaggi fluttuano fra le stelle) mentre grandi e piccoli dettagli delle coreografie rimandano, in maniera sincera e non derivativa, a classici musical dell'età d'oro (da "Cantando sotto la pioggia" a "West Side Story" e "Un americano a Parigi").
3 commenti:
Sì, non bisogna lasciarsi ingannare dalla "leggerezza" del film. Come la realtà è sempre più complessa delle apparenze, così in questo film la stratificazione si mostra ad una lettura più attenta, come la tua.
Confesso che ad una prina sottovalutazione un pò snobistica, sto sostituendo un grande apprezzamento per la delicatezza con cui la lezione "non si può avere tutto dalla vita e se un sogno si avvera ne devi sacrificare un altro" viene mostrata attraverso le immagini, che rimangono la vera ragione del cinema, e non dichiarata moralisticamente...
Infatti, è un film che fermandosi alle apparenze rischia di essere sottovalutato e bollato come un "semplice" musical romantico e leggero, quando invece c'è molto altro dietro.
E comunque, forse, a molti è piaciuto anche perché apparentemente spensierato e leggero (nei musical degli anni cinquanta anche la leggerezza e la garbatezza erano un pregio...).
Aggiornamento Oscar: "La La Land" ha vinto sei premi: miglior regia, attrice, colonna sonora, canzone ("City of Stars"), scenografia e fotografia. Gli è però sfuggita, a sorpresa, la statuetta per il miglior film, andata a "Moonlight". Non avendo ancora visto quest'ultimo, non so dire se sia giusto così o se si tratta della solita scelta bizzarra dell'Academy, che negli ultimi anni ha spesso premiato film inattesi a scapito dei favoriti (vedi "The Hurt Locker", "Argo" e "Il caso Spotlight"). In questo caso, poi, premiare "Moonlight" significa al tempo stesso scegliere un film un po' più "impegnato" in un momento in cui si vivono tempi difficili, rimediare all'esclusione dei neri nelle ultime due edizioni e fare un dispetto a Donald Trump.
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