15 gennaio 2017

L'uomo che ride (Paul Leni, 1928)

L'uomo che ride (The man who laughs)
di Paul Leni – USA 1928
con Conrad Veidt, Mary Philbin
***

Visto in divx.

Dall'omonimo romanzo di Victor Hugo (che la sceneggiatura snellisce e orna di un lieto fine), un film muto d'avventura dai toni gotici e horror, ambientato nell'Inghilterra del XVII secolo. Sfregiato quando era bambino da uno zingaro che gli ha stampato sul volto un ghigno perenne, lo sfortunato Gwynplaine (Veidt) – allevato dal filosofo e saltimbanco Ursus (Cesare Gravina) – si guadagna da vivere esibendosi come buffone nelle fiere di paese con il nome di “L'uomo che ride” (un collega clown gli dice: “Sei fortunato, non devi struccarti via il sorriso quando hai finito di lavorare”). Innamorato della bella Dea (Philbin), l'attrice che recita al suo fianco e l'unica che – essendo cieca – non ride o non rabbrividisce di fronte al suo volto, Gwynplaine ignora di essere figlio di un nobile, Lord Clancharlie, che era caduto in disgrazia presso re Giacomo e le cui proprietà sono state confiscate e riassegnate alla duchessa Josiana (Olga Baklanova). Costei, capricciosa e voluttuosa, rischia di perdere tutto se un legittimo erede del clan dovesse ritornare: con l'avallo della regina Anna (che nomina Gwynplaine membro della camera dei Lord) progetta dunque di sposarlo per mantenere il proprio stato. Ma l'uomo rinuncerà alla nobiltà per rimanere in compagnia di Dea e della compagnia di saltimbanchi con cui è cresciuto. Feuilleton d'ambientazione storica, avvincente e barocco, costruito sulla figura del freak e sul contrasto fra le classi nobili e quelle basse, popolato da personaggi stereotipati o sopra le righe ma ricco di colore e di azione. Il tema delle risate è declinato in più modi: al sorriso forzato e obbligato del protagonista si contrappongono quelli di divertimento degli spettatori della fiera e quelli di scherno dei lord, mentre un buffone – sia pure di corte, ruffiano e ambizioso – è anche l'antagonista, il crudele e intrigante Barkilfedro (Brandon Hurst). Notevole il ruolo di Homo, il cane di Ursus: è lui che nel finale, eroicamente, salva il nostro eroe e lo riunisce con l'amata Dea. Assai celebrata, all'epoca, la performance di Veidt, capace di veicolare ogni sorta di emozione (rabbia, timore, tristezza, orgoglio) con un largo ghigno perennemente stampato sul volto, dando vita a un personaggio pietoso, grottesco ed eroico al tempo stesso (da notare come, visivamente, il personaggio abbia ispirato il Joker, l'arcinemico di Batman). L'attore tedesco aveva sostituito la prima scelta Lon Chaney, già protagonista di altri due fortunati adattamenti delle opere di Hugo ("Il gobbo di Notre Dame" nel 1923 e "Il fantasma dell'opera" nel 1925). Prima di approdare a Hollywood su invito del produttore Carl Laemmle, il regista Paul Leni aveva girato in Germania importanti pellicole espressioniste, come "Il gabinetto delle figure di cera": morirà prematuramente nel 1929.

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