8 giugno 2014

City of god (Fernando Meirelles, 2002)

City of God (Cidade de Deus)
di Fernando Meirelles, Katia Lund – Brasile 2002
con Alexandre Rodrigues, Leandro Firmino da Hora
***1/2

Visto in divx, con Sabrina.

Storie di banditi, trafficanti di droga e bambini di strada in una delle più povere e pericolose favelas di Rio de Janeiro, denominata per l'appunto "la città di Dio". Testimone e voce narrante della pellicola, che si ispira ad eventi reali e intreccia come in un mosaico le vicende di numerosi personaggi, dipanandosi per un lungo arco di tempo (dagli anni '60 all'inizio degli anni '80), è Buscapé, uno dei pochi abitanti della favela che cerca di mantenersi onesto in un ambiente dove la criminalità sembra essere l'unico possibile sbocco di tanti giovani e bambini. Quasi un alter ego di Paulo Lins, l'autore del romanzo da cui è tratto il film, il protagonista (ma il termine sovrastima il suo ruolo) aspira invece a diventare fotografo e giornalista: e sarà proprio lui a documentare le dinamiche e le fasi più calde di una guerra fra bande che, in un crescendo inarrestabile, insanguinerà case e strade della "cidade de deus". La regia moderna e folgorante, coadiuvata da un montaggio rapido e da una fotografia ipersatura che varia a seconda del periodo storico (il film è praticamente diviso in tre parti, una per ciascun decennio), guarda in parte a Scorsese ma soprattutto si sposa con una struttura di chiara derivazione post-tarantiniana (compresa la frammentazione cronologica della narrazione, con continue disgressioni, passaggi da un personaggio all'altro, balzi temporali, scritte in sovrimpressione che introducono i vari capitoli, e persino alcune scene ripetute più volte da differenti punti di vista), benché il contesto appaia decisamente più "realistico" e meno fumettoso: siamo più dalle parti della cronaca nera a sfondo sociale che da quelle della narrativa pulp o dall'exploitation, e nonostante l'alto tasso di violenza sono quasi assenti compiacimenti o strizzatine d'occhio per "gasare" gli spettatori. A questa sensazione di realismo (per quanto stilizzato, certo: sarebbe forse meglio parlare di neo-neorealismo) contribuiscono gli attori, praticamente tutti non professionisti o senza esperienza, molti dei quali abitavano davvero nella favela in questione. Interpreti capaci di dare vita a un variopinto gruppo di personaggi che, come i calciatori del loro paese, sono identificati da soprannomi (Ze Pequeno, Mané Galinha, Cabeleira, Marreco, ecc.) anziché dai veri nomi di battesimo, e i cui caratteri fluiscono in maniera naturale dai loro comportamenti e dalle loro azioni. E proprio la violenza non filtrata o edulcorata dalle lenti hollywoodiane, spesso con i bambini come protagonisti (nel ruolo di vittime ma anche di carnefici, nella totale assenza di toni moralistici o educativi) contribuisce alla potenza espressiva della pellicola e al risultato complessivo, quasi un'evoluzione de "I figli della violenza" di buñueliana memoria. Peccato che Mereilles, allora etichettato come regista fra i più promettenti (anche se alla pellicola ha contribuito anche la co-regista, Katia Lund), non si sia più ripetuto in seguito agli stessi livelli.

2 commenti:

James Ford ha detto...

Film molto intenso, che ho rivalutato negli anni: voto un pò troppo alto, forse, ma capisco l'entusiasmo.
Io ho sempre adorato Benet, e concordo: Mereilles non è più stato in grado di fare di meglio, un pò come Inarritu dopo Amores Perros.

Christian ha detto...

Sì, il voto forse è un po' alto (mi ballava fra *** e ***1/2, magari col tempo si stabilizzerà). Quasi sicuramente si tratta di un "one-film wonder". Il paragone con Iñárritu ci sta, anche se penso che nel complesso il messicano abbia più talento del brasiliano.