21 giugno 2014

Leviathan (Andrey Zvyagintsev, 2014)

Leviathan (id.)
di Andrey Zvyagintsev – Russia 2014
con Aleksey Serebryakov, Elena Lyadova
**1/2

Visto al cinema Arlecchino, in originale con sottotitoli
(rassegna di Cannes).

Per tener testa al corrotto sindaco locale che intende espropriargli il terreno dove ha sempre vissuto, Kolya, un agricoltore che abita in un villaggio di pescatori sulla costa del Mare di Barents, fa venire da Mosca un giovane avvocato che aveva conosciuto durante il servizio militare. Questi afferma di conoscere fatti assai compromettenti che il politico preferirebbe tener segreti, e dunque di poterlo ricattare, ma l'impresa non si rivelerà così facile. E nel frattempo l'avvocato inizia una relazione clandestina con Lilya, la giovane seconda moglie di Kolya, infelice e alla disperata ricerca di una via di fuga. Attraverso una vicenda contorta, che cambia focus più volte e lascia a lungo in dubbio lo spettatore su quale sia davvero il protagonista, Zvyagintsev lancia uno sguardo livido e impietoso al malessere e alle contraddizioni della società russa vista dal suo interno (seppur da una zona periferica), attraverso "una tragedia di bibliche proporzioni" e personaggi imprigionati, con la loro disperazione e solitudine, in un mondo troppo grande per poterlo tenere sotto controllo. La metafora, evidente sin dal titolo, è quella della storia di Giobbe, citata peraltro esplicitamente. In questo caso il leviatano, il mostro contro cui l'uomo lotta inutilmente, può essere il destino, l'ingiustizia, la burocrazia o la politica (impagabile la scena in cui i personaggi si dedicano al tiro al bersaglio contro i ritratti dei precedenti gerarchi che hanno governato il paese; quelli più recenti – come Putin – dovranno però aspettare perché è ancora presto per parlarne con la necessaria "prospettiva storica"), rappresentato visivamente dalle balene che si tuffano nelle gelide acque circostanti (e lo scheletro di una delle quali fa bella mostra di sé adagiato sulla spiaggia), dal mostro di metallo che fa a pezzi la casa di Kolya, o semplicemente dal grasso e corrotto sindaco della cittadina. Le atmosfere cupe e disperate, allievate a tratti da brevissimi lampi di ironia (quanto bevono i russi!), sono servite attraverso una fotografia gelida e concretissima (e che fa un buon uso delle panoramiche), lunghe sequenze senza stacchi di montaggio, e una colonna sonora con robuste dosi di Philip Glass. Soltanto al termine della pellicola si comincia a cogliere la visione d'insieme e il film manifesta tutta la sua epicità, al di là dei singoli personaggi e della metaforica vicenda. Si ha l'impressione che la trama fosse solo un pretesto, una storia come un'altra per raccontare direttamente la condizione umana. Più importante delle vicende, dunque, sono le relazioni fra i personaggi e quelle con l'ambiente in cui vivono, il modo di reagire alle avversità e di rapportarsi con i propri errori e la propria infelicità. Una pellicola estremamente esistenziale, dunque, forse anche troppo ambiziosa, che in più cerca di riportare al centro del dibattito sociale e politico un po' di quella spiritualità che un tempo permeava la Russia e che nei decenni precedenti era stata lentamente messa da parte.

1 commento:

Marisa ha detto...

Film molto interessante, che per fortuna è approdato finalmente nelle sale milanesi. Più che un ritorno alla spiritualità russa soffocata dal regime, a me sembra di aver visto un bieco ritorno dell'alleanza dei due poteri: Stato e Chiesa ortodossa ai danni dei più deboli.
Di sicuro la macchina infernale si rimette sempre in moto e l'immagine più eloquente è la terribile ruspa che sembra un vero mostro vivente che spazza via le fragili costruzioni dell'uomo e le sue illusioni di giustizia...