Faust (Aleksandr Sokurov, 2011)
Faust (id.)
di Aleksandr Sokurov – Russia 2011
con Johannes Zeiler, Anton Adasinsky
***1/2
Visto al cinema Arlecchino, in originale con sottotitoli
(rassegna di Venezia).
Per conquistare l'amore della giovane Margarethe, di cui ha involontariamente ucciso il fratello, il tormentato medico Heinrich Faust accetta di vendere la propria anima al diavolo, che gli appare sotto le sembianze del mefistofelico padrone di un banco dei pegni, l'usuraio Mauricius. Da sempre l'opera più importante di Goethe e della letteratura tedesca è fonte di ispirazione per numerosi artisti in tutti i campi (oltre che Thomas Mann, mi piace ricordare in particolare la trasposizione disneyana a fumetti di Carlo Chendi e Luciano Bottaro), e dunque non stupisce se Sokurov, un regista particolarmente interessato a raccontare la natura umana e le forze interne che la animano in rapporto al tempo e allo spazio, abbia voluto raccogliere la sfida e rappresentare visivamente questa vicenda monumentale e archetipica, ricca di suggestioni filosofiche su temi quali la sete di conoscenza, il desiderio e la passione, la corruzione, la colpa e la responsabilità. L'ambizioso sforzo gli è valso il Leone d'Oro di questa edizione di Venezia, un meritato riconoscimento per un autore che già in passato aveva fornito ottime prove (dal capolavoro "Arca russa" alla trilogia sul potere "Moloch"/"Taurus"/"Il sole", di cui questo film diventa una sorta di quarta parte pur non essendo legato come gli altri agli eventi del ventesimo secolo). Ma il regista russo non si è limitato a realizzare un semplice adattamento, ed è andato a scavare fra le righe del dramma originale per interpretarlo a modo suo, azzardando anche alcuni "tradimenti" letterari di non poco conto: basti pensare che il più celebre verso di Goethe, "Verweile doch, du bist so schön!" ("Fermati, attimo, sei così bello!"), viene alterato in "Verweile doch, das ist nicht schön!" e fatto pronunciare dal diavolo anziché da Faust.
Attraverso la bellezza delle immagini (la fotografia è del francese Bruno Delbonnel, già collaboratore di Jean-Pierre Jeunet in "Amelie"), che rimandano talvolta alla pittura fiamminga, spicca il cupo e sofferente ottocento quasi medievale in cui si colloca la vicenda: grazie a lenti speciali che deformano le immagini, rendendole sghembe e distorte, a volte anche sfocate, e a filtri che virano tutti i colori in tonalità smorte e slavate di grigio, verde e marrone, Sokurov crea un ambiente ideale per la tragica vicenda che racconta, un ambiente che nei suoi dettagli è protagonista sullo schermo al pari dei personaggi. La regia fa sfoggio di virtuosismo, e la macchina da presa segue da vicino, senza abbandonarli nemmeno per un istante, i due protagonisti (Faust e Mefistofele) mentre si muovono incessantemente fra i corridoi delle case, le strette strade del villaggio, i sentieri di montagna, attraversando edifici, piscine, chiese, grotte e anfratti di ogni tipo, intenti in una conversazione continua. Come il tempo, che non si arresta mai (e qui torniamo al "Verweile doch"), anche i due personaggi non possono mai fermarsi, e il loro viaggio infinito li porta infine in un inferno naturale (le scene con il geyser e i ghiacciai sono state girate in Islanda) dove Faust incontra, fra gli altri, il soldato che ha ucciso. Qualcuno ha provato a paragonare questa parte finale al limbo delle sequenze conclusive di "Tree of life", ma è inutile dire che il paragone regge solo a livello superficiale: quanto più spessore e significato c'è in Sokurov rispetto a Malick! Molto più sensati sono invece i confronti con i film di Tarkovskij (come "Stalker"), Herzog ("Woyzeck") e Murnau ("Nosferatu"), motivati da comuni suggestioni e rimandi alla cultura russa e a quella mitteleuropea. Quanto ai due protagonisti, lo scienziato Faust inizia il suo percorso spinto dalla curiosità scientifica, sezionando corpi alla ricerca dell'anima, ma poi si perde a causa della passione per la carne, mentre Mauricius/Mefistofele è una creatura grottesca, incredibilmente deforme, dal cui corpo pieno di grasso spunta una coda/pene caricaturale e la cui natura demoniaca sembra apertamente nota a tutti. La pellicola è recitata interamente in tedesco. Oltre ai due interpreti principali, Johannes Zeiler e Anton Adasinsky, nel cast troviamo la veterana Hanna Schygulla nei panni di una misteriosa donna che segue e tormenta a sua volta Mauricius, Georg Friedrich in quelli del folle Wagner, l'assistente di Faust, e la giovane Isolda Dychauk in quelli della bella Margarethe.
5 commenti:
Bella recensione. Mi chiedevo come te la saresti cavata perchè è veramente un film difficile, anche per chi conosce il Faust.
Il taglio che ne dà Sokurov è angosciante e claustrofobico, tradendo la natura più solare di Goethe, ma potente per la grande fisicità ed ambiguità.
Resta misteriosa la figura interpretata da Hanna Schygulla, che non ricordo presente in Goethe. Che sia la parte femminile di Mefistofele, cioè l'anima del Diavolo?
Sì, non è un film facile. Conoscere il Faust di Goethe aiuta, ma forse non è così indispensabile perché Sokurov lo interpreta a modo suo e non sempre è fedele all'originale.
(A parte che poi anche quella di Goethe era soltanto una versione di una leggenda che esisteva già da secoli. Le prime testimonianze stampate risalgono addirittura alla fine del 1500).
Sul personaggio di Hanna Schygulla, ogni interpretazione è possibile. Se non ricordo male, proprio Mauricius/Mefistofele dice che lei è – o crede di esserlo – sua moglie...
Sokurov situa dietro, come una coda, gli organi sessuali maschili di Mauricius-Mefistofele. Mi sembra un particolare importante su cui riflettere. A mio avviso ci sono in questa scelta due notevoli componenti: uno è che lascia la parte davanti piatta e, pur non vedendosi una vagina, di sicuro l'impressione è femminea (aspetto femminile deldiavolo); due, situando gli organi sessuali dietro allude al fatto che la sessualità agisce da dietro, cioè all'insaputa della coscienza e tende ad essere rimossa e a prendere il sopravvento in modo impulsivo ed incontrollato, modalità tipiche dell'azione scissa dalla coscienza e perciò sotto il potere della parte oscura (l'ombra di Jung), che è appunto il potere demoniaco.
La figura del diavolo come ce la mostra Sokurov (un vecchio deforme e flaccido, dal corpo grottesco) è una delle immagini più forti di un film che dal punto di vista visivo non lesina certo momenti "forti" (a partire dalla prima inquadratura, quella dell'autopsia di un cadavere, passando per l'homunculus creato dall'assistente Wagner, e per finire con lo spettacolo della natura). Personalmente non so come interpretare il pene di Mauricius sul sedere, che poi si intravede in una sequenza dove si diverte (più per gioco che altro) a "insidiare" le fanciulle al bagno pubblico. La tua spiegazione numero due, comunque, mi pare interessante.
Mauricius che "insidia" le fanciulle al bagno: l'eterno gioco di Pan con le Ninfe!
Ma il grande dio Pan, con i piedi caprini, è appunto diventato, nella civiltà cristiana, il diavolo...
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