Malcolm X (Spike Lee, 1992)
Malcolm X (id.)
di Spike Lee – USA 1992
con Denzel Washington, Angela Bassett
**1/2
Visto in DVD, con Martin.
Monumentale (dura tre ore e quaranta minuti) biopic su una figura cardine delle lotte e delle rivendicazioni degli afroamericani negli anni cinquanta e sessanta, il film è tratto dalla "Autobiografia di Malcolm X" scritta da Alex Haley e racconta con dovizia di dettagli la movimentata vita di uno dei personaggi più carismatici e controversi della cultura statunitense del ventesimo secolo, considerato da alcuni un paladino dei diritti civili e da altri un seminatore di odio. Anche il ritratto che ne fa Spike Lee non è privo di contraddizioni: se da un lato il film ne mostra tutti gli aspetti più scomodi (le origini umili a Boston, le attività criminali in gioventù, la tossicodipendenza, il carcere, la conversione all'Islam, le violente prediche contro la razza bianca, i dissidi con gli altri leader neri, il pellegrinaggio alla Mecca, la svolta verso una riappacificazione sociale e razziale, e infine l'assassinio durante un comizio a Manhattan di cui sono tuttora ignoti i mandanti – benché la sceneggiatura suggerisca una complicità fra i suoi ex compagni della Nazione dell'Islam e i servizi segreti americani), dall'altro utilizza spezzoni e immagini di repertorio per celebrare l'importanza e l'influenza che Malcolm X – come persona, ma anche come simbolo – ha avuto e continua ad avere tuttora per la comunità nera negli Stati Uniti e nel mondo (c'è anche un frammento di un discorso di Nelson Mandela). Altrettanto controverso è l'incipit, che fonde insieme l'immagine di una bandiera americana in fiamme – fino a quando non ne rimane che un brandello a forma di X – con quelle del pestaggio di Rodney King da parte della polizia di Los Angeles, avvenuto l'anno prima dell'uscita della pellicola. La visione del film, dunque, non chiarisce le idee: chi era Malcolm X? Un fanatico idealista o un maestro da seguire? Ogni fase della sua vita sembra contraddire quella precedente, eppure la sua figura nel complesso ha saputo catalizzare come poche altre l'attenzione sulla discriminazione dei cittadini di colore negli Stati Uniti: e se oggi la situazione è migliorata, lo si deve sicuramente anche a lui. Per tutta la sua durata, il film poggia su alcuni pilastri – l'interpretazione solida di Denzel Washington e la regia classica di Lee – che non cedono mai. Il cast è completato da Angela Bassett (la moglie Betty), lo stesso Spike Lee (Shorty, il compagno di bravate in gioventù), Delroy Lindo (Archie, il piccolo boss di Harlem per il quale Malcolm lavora da giovane), Albert Hall (Baines, colui che lo converte alla religione musulmana) e Al Freeman jr. (Elijah Muhammed, il leader della Nazione dell'Islam, l'organizzazione per la quale Malcolm predica per anni prima di rompere ogni contatto). Inizialmente la pellicola avrebbe dovuto essere diretta da Norman Jewison, ma proteste e discussioni sull'opportunità di lasciare un'icona nera in mano a un regista bianco (per quanto fosse l'autore di un film iconico come "La calda notte dell'ispettore Tibbs") hanno spinto i produttori a affidare le redini del film a Spike Lee, che ne ha riscritto la sceneggiatura mantenendo però il protagonista già scelto da Jewison (con Denzel Washington, peraltro, aveva già lavorato in "Mo' better blues"). Per consentirgli di portare a termine le riprese, molte personalità di colore dello sport e dello spettacolo hanno contribuito al finanziamento della pellicola, alcune delle quali apparendo anche con un cameo. Per la prima volta, inoltre, una troupe statunitense ha avuto il permesso di girare alcune scene di un film di finzione all'interno della Mecca.
4 commenti:
Secondo me il valore del film consiste proprio nell'aver saputo rendere tutti gli aspetti, anche contraddittori ed antipatici, di un personaggio, che poi è diventato un simbolo indiscusso e quindi "idealizzato", post mortem.
Di sicuro un certo carisma doveva averlo e non era un "santino" e in questo il film gli rende giustizia.
In effetti fra i meriti del film c'è proprio quello di esplorare il personaggio di Malcolm X a tutto tondo (molti avrebbero preferito che Spike Lee sorvolasse sui suoi trascorsi criminali in gioventù, o gli hanno addirittura chiesto esplicitamente di ignorare il periodo della sua vita precedente alla scelta di abbandonare il suo vero nome, Malcolm Little, per assumere lo pseudonimo "X"). Però alla fine fa un po' effetto vedere come la sua figura dopo la morte sia stata "idolizzata", ignorandone le zone d'ombra. In fondo è una cosa che è capitata a molti personaggi pubblici, religiosi (Padre Pio, Woytyla...) o meno (Lady Diana, Che Guevara, Kurt Cobain...).
Sono d'accordo in pieno con Marisa.
Spike Lee non è quello che "idealizza" il protagonista ma è solo quello che mostra come altri, Mandela in testa, abbiano contribito a mitizzare dopo la morte la sua figura.
Per questa ragione il film fa ottimamente il suo lavoro di offrire una visione non troppo di parte del personaggio.
E in definitiva non posso che ritenerlo un gran bel film.
Ma anch'io la penso così, e proprio per questo ritengo che Spike Lee abbia fatto un buon lavoro con questo film. Ho riformulato alcuni passi della recensione dove forse mi ero spiegato male (non intendevo certo accusare Lee di aver realizzato un'agiografia!).
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