The social network (D. Fincher, 2010)
The social network (id.)
di David Fincher – USA 2010
con Jesse Eisenberg, Andrew Garfield
**1/2
Visto al cinema Eliseo.
Il film racconta la storia della nascita di Facebook, social network ideato in un campus dell'Università di Harvard e che conta oggi 500 milioni di iscritti in tutto il mondo per un valore di circa 25 miliardi di dollari (come recitano le didascalie alla fine della pellicola), attraverso i dissidi e le due cause legali che ne hanno opposto il creatore Mark Zuckerberg al suo ex miglior amico Eduardo Saverin (finanziatore e socio iniziale dell'impresa, poi estromesso da Mark per motivi mai del tutto chiariti) e a un terzetto di studenti che lo avevano accusato di aver rubato loro l'idea. Lo stile classico e senza fronzoli di Fincher, l'incisiva sceneggiatura a flashback di Aaron Sorkin e la fotografia fredda e scura di Jeff Cronenweth mettono la figura di Mark – molto più che la sua creatura, della quale in realtà si parla pochissimo – al centro dell'attenzione, presentandolo come un nerd inespressivo e con scarse capacità comunicative e relazionali (il che è ironico, se si pensa che il suo sito serve proprio a coltivare le relazioni sociali). Forse perché si occupa di persone ancora in vita e di eventi così recenti, per giunta oggetto di controversie in tribunale, il film non si azzarda a spiegare i "tradimenti" di Mark nei confronti dei suoi compagni, lasciandoli solo intuire (la frustrazione e una rivalsa contro il mondo esclusivo – come le confraternite di Harvard – che lo teneva a distanza?). Il personaggio rimane distante e impenetrabile, e i soli momenti in cui qualcosa sembra accendersi nei suoi occhi sono quelli in cui trova una sorta di anima gemella in Sean Parker (interpretato da Justin Timberlake), fondatore di Napster e a sua volta giovane genio dell'informatica, l'unico con il quale sembra trovarsi in sintonia di idee. Il finale mette comunque in luce la profonda solitudine in cui si trova prigioniero "il più giovane miliardario del mondo", rimasto senza un vero amico al di fuori del suo mondo virtuale: forse chi ha ironicamente ribattezzato il film "Sesto potere" non ha tutti i torti. A Fincher non interessa dunque analizzare il fenomeno dei social network o l'impatto che hanno sui loro utenti: non approfondisce le spinose questioni relative alla perdita della privacy, alla profilazione a fini di marketing cui gli utilizzatori di Facebook si consegnano volontariamente, o al distacco dal mondo reale, argomenti ai quali la maggior parte degli aficionados del sito presta sconsideratamente poca attenzione. Pur ripercorrendo le varie tappe della crescita del social network (che inizialmente era riservato solo agli studenti di Harvard e di pochi altri college americani), queste per la sceneggiatura sono soltanto un pretesto per illustrare la frustrazione e la personalità complessata del protagonista. Allo stesso modo, non viene spiegato il motivo del successo di Facebook ("è fico", si limitano a dire i ragazzi: ma cosa lo distingue da altri siti simili se non l'aver raggiunto più velocemente una "massa critica" di utenti?), e nemmeno quello del suo valore commerciale (anzi, uno dei punti chiave della pellicola è proprio l'opposizione di Mark allo sfruttamento pubblicitario della sua creazione, perseguito invece da Eduardo). Dove il film brilla, oltre che sul versante formale, è invece nella rappresentazione di un ambiente dominato dalle disfunzioni sociali (le personalità problematiche di Mark e di Sean, il rapporto fra Mark ed Eduardo, quello patologico con le ragazze). Bella, ma sostanzialmente fuori posto, la sequenza della gara di canottaggio sulle note (riarrangiate) di Grieg: è l'unico momento in cui il film perde di vista l'oggetto del racconto e si concede una divagazione che forse poteva risparmiarsi.
20 commenti:
per me è un capolavoro dei nostri tempi e in effetti il paragone con quarto potere ci può stare.
il motivo del successo di facebook viene spiegato in uno dei passaggi del film: a distinguerlo è la sua esclusività, il fatto di non poter visualizzare le informazioni di un altro utente fino a che non accetta la tua amicizia. e, almeno all'inizio, l'esclusività era dovuta anche al fatto di appartenere a un network specifico, in quel caso era necessario esseri iscritti ad harvard. cos'è più esclusivo di quello?
secondo me poi fincher analizza eccome l'impatto di facebook sulla vita degli utenti. lo stesso zuckerberg ne è l'esempio più lampante: superstar dei social network e zero assoluto nelle relazioni sociali
perché fuori luogo la scena di canottaggio? è la perfetta rappresentazione di come una classe sociale privilegiata sia stata battuta proprio sul filo di lana da un nerd senza interesse per i soldi come zuckerberg
(scusa la lunga difesa, ma è un film che adoro!)
:)
Stavo per postare anche io un lungo commento, ma avrei ripetuto un pò le stesse cose dette da Marco sopra di me (col quale concordo alla grande) e un pò quelle ce ho scritto nel mio post e nei commenti al mio post.
Ovviamente non si può essere sempre d'accordo, ci mancherebbe.
Ale55andra
Ma ti sei poi iscritto a FB? ^^ Cmq il film non mi interessa molto, F. è un regista di mediocre qualità e l'argomento è poco stimolante. Quindi mi fido del voto a prescindere da una visione personale. Ero più interessato alla rassegna su Miyazaki a Roma la sett scorsa ma per motivi di lavoro/studio non ci sono andato. Devo dire che il festival di Roma sta prendendo una strada interessante da quando è scomparso il fu Sveltrone. Mi sembra una rassegna giovane, l'idea di Rondi di non competere con Venezia è stata ottima. Si sono dedicati molto agli anime, mi hanno riferito che hanno proiettato anche le Winx, grande prodotto nazionale da esportazione.
marco (Cannibal Kid):
No problem! ^^
Per me è un film gradevole, ma parlare di capolavoro mi sembra davvero eccessivo. Aggiungo però che l'argomento mi interessava poco, e continuo a pensare che la vera spiegazione del fenomeno Facebook non venga fornita. All'esclusività miravano i tre bamboccioni di Harvard con il loro progetto originale, mentre il motivo del successo di Facebook sta proprio nel suo opposto: la gente lo usa perché lo usano tutti. Io, quando chiedo a qualcuno perché lo usa, mi sento sempre rispondere che lo fa per stare in contatto con gli amici, e dunque non avrebbe senso usarlo se qualsiasi amico non potesse usarlo a sua volta: proprio il contrario dell'esclusività!
Sono convinto, come ho scritto, che Facebook abbia avuto più successo di siti simili soltanto perché – per tempismo o per pura fortuna – ha raggiunto prima degli altri una “massa critica” di utenti e dunque la notorietà a livelllo planetario. Giunti a quel punto, il suo monopolio si è autoalimentato.
Sull'impatto di FB sulla vita degli utenti forse non ci siamo capiti. Zuckerberg non usa mai Facebook durante il film (se non nell'ultimissima scena, quella in cui “chiede l'amicizia” alla sua ex ragazza), e dunque in che cosa l'utilizzo di FB lo avrebbe cambiato? Com'era prima (un nerd solo e sfigato) rimane dopo. Io mi riferivo semmai ad aspetti come la tendenza a spiattellare la propria vita privata sul web, a fornire volontariamente i propri dati in pasto alle società di marketing, a non considerare più la privacy come un valore da difendere... tutti spunti che proprio nel film su Facebook, ovvero sullo strumento che ha cambiato questi codici di comportamento, vengono bellamente ignorati. Ma lo posso anche capire: a Fincher interessava più parlare di Zuckerberg che di Facebook.
La gara di canottaggio mi ha lasciato perplesso perché, per quanto bella, per stile e contenuti c'entra poco con il resto del film (un po' come capitava con la scena dello stadio ne “Il segreto dei suoi occhi”, per intenderci). Se lo scopo era soltanto quello di mostrare che i due ricconi perdevano, che bisogno c'era dei ralenti e del brano di Grieg (per di più riarrangiato)? Ma questa è una mia idiosincrasia, la stessa che non mi fa sopportare gran parte dei giovani registi americani “postmoderni”, che sembrano governati da scelte stilistiche random e che sembrano aver ripudiato concetti come coerenza, essenzialità e sobrietà (che pure Fincher nel resto di questo film, e in opere precedenti come “Zodiac”, ha dimostrato di saper apprezzare).
Ale55andra:
Ma certo! ^^ Comunque ripeto che il film mi è piaciuto, anche se non mi pare poi né particolarmente profondo né memorabile. L'ho trovato ben fatto ma dubito che mi lascerà qualcosa “dentro”.
Marco c.:
No, non mi sono ancora iscritto a Facebook né ho in programma di farlo (non ne sento proprio la necessità). Come vedi, concordo con te sullo scarso interesse per l'argomento. Riguardo a Fincher, invece, trovo che alcune cose notevoli le abbia fatte e in genere ha uno stile che mi piace. Anzi, il motivo per cui sono andato a vedere il film era proprio il nome del regista.
Prima di dare questo giudizio riguardo a F. avevo dato una letta alle altre tue recensioni dello stesso autore e in particolare ai voti assegnati: data la media bassa pensavo lo ritenessi anche tu un regista mediocre, ma a questo punto immagino che tu ti riferisca a film che hai visto ma non ancora rivisto/recensito. Cmq non lo apprezzo molto, credo che sia discontinuo nella teoria di film della sua produzione e, molto peggio, credo che spesso non riesca a svolgere anche all'interno del medesimo film una trama riuscendo a mantenere i buoni livelli raggiunti nella prima mezz'ora di proiezione.
Che sia altalenante e discontinuo, concordo, non solo da film a film ma anche all'interno di una stessa pellicola. Il caso esemplare è "Fight Club", che a un eccellente spunto iniziale non riesce a dare uno sviluppo adeguato. Il suo film migliore, per me, è "Zodiac", ma anche "Seven" non è male. "Alien 3" e "The game" sono invece spazzatura, e "Benjamin Button" è tutt'altro che un film riuscito. Non ho visto invece "Panic Room". Però, anche se i suoi film non mi fanno impazzire, lui come stile di regia mi piace. Certo, non rientrerebbe mai nella mia top 100 directors (ma questo vale per la quasi totalità dei registi americani attuali).
Il problema, quando un film parla di un argomento che non si conosce, è che si finisce per cogliere certe cose solo se ci vengono spiattellate in faccia.
Se sia un bene o un male andrebbe giudicato di caso in caso e ognuno ne potrebbe dare un'interpretazione diversa.
Nel caso specifico Christian, è chiaro che non conoscendo Facebook e le sue dinamiche (per fortuna, aggiungo), certi particolari ti siano sfuggiti.
In realtà il successo di F. è davvero basato un po' sul nulla.
La battuta "è fico" è proprio una delle spiegazioni più verosimili, oltre alla tendenza a volersi fare gli affari degli altri, condividendo la propria vita privata e curiosando in quella dei propri conoscenti, impropriamente definiti "amici".
Anche riguardo il discorso sul valore di F. e sui suoi profitti viene resa bene l'idea che si tratta ancora di qualcosa il cui funzionamento non è chiarissimo nemmeno ora.
Infatti da sempre si sospetta una vendita di dati utente alle società di marketing come fonte di guadagno e pare che solo un anno fa, anni dopo la sua consacrazione, la società abbia effettivamente prodotto degli utili.
In questo senso Fincher fa secondo me un buon lavoro nel "descrivere senza giudicare" (troppo) e anche dal punto di vista tecnico ci sono ottime sequenze.
Poi è ovvio che non abbiamo a che fare con un capolavoro e che la mano dietro la mdp non è quella di un genio, ma questo è quasi il meglio che ci possa offrire oggi Hollywood.
Ma guarda che quelli che citi sono aspetti di Facebook che conosco benissimo, e che invece – ripeto – proprio il film sceglie di trascurare (e non perché li dà per scontati: semplicemente non era interessato a fare un'analisi o una critica del fenomeno dei social network). In fondo la pellicola parla solo di uno sfigato che diventa (per caso o per fortuna) ricchissimo ma rimane uno sfigato (anche nei rapporti con gli "ex" amici). Che abbia inventato Facebook, Flickr, l'iPod o il cubo di Rubik, non cambia nulla.
Sul fatto che Fincher abbia fatto un buon lavoro, non ci piove. Infatti anche a me, che dell'argomento interessa poco o niente, il film è complessivamente piaciuto, anche se ho qualche dubbio sul fatto che diventerà una pellicola memorabile.
Vorrei precisare che anche secondo me non siamo di fronte ad un capolavoro. Cioè nessuno ha parlato di capolavoro. Per il resto, ovviamente, a te non sono arrivate alcune cose, a me sono arrivate invece. Al di là di questo, io ho trovato lo sguardo sul personaggio davvero molto interessante, piuttosto che una disamina del fenomeno che secondo me sarebbe stata scontata. Che poi, come dice Martin, di striscio qualcosa arriva, secondo me, ripeto, è anche un valore aggiunto. Non è sicuramente "Quarto potere", ma nessuno pretendeva che lo fosse.
Ale55andra
A dire il vero, Marco (Cannibal Kid) di capolavoro ha parlato eccome. E tu, Ale55andra, hai detto di concordare con lui. Comunque sono contento nel leggere che non lo ritieni un capolavoro (anche se io un voto come il tuo sulla connection lo darei solo a un capolavoro... forse abbiamo due scale di giudizio diverse quando si tratta di dare voti). Magari alla fine scopriremo che ci è piaciuto allo stesso modo! ^^
Dialoghi da Oscar.
Sì, la sceneggiatura è ottima.
No, forse concordavo il tono generale del suo commento, però di vero e proprio capolavoro secondo me non si tratta. Il mio voto alto sulla connection è dettato dall'alto entusiasmo che questo film mi ha trasmesso. Forse i veri capolavori li voterei con il massimo dei quadratini, ma anche in quel caso non è detto che li consideri capolavori-capolavori. Ci sono vari fattori che mi fanno votare in un determinato modo o in un altro, non eccessivamente la discriminante capolavoro, appunto.
Ale55andra
Ritornando al tema dell'esclusività, vorrei aggiungere che più della scena del canottaggio, secondo me, è efficace quella del "rito di iniziazione" per entrare nella confraternita di Harvard. Lì si vede davvero la differenza fra le idee dei fratelli Winklevoss (una rete sociale caratterizzata dalla stessa esclusività in cui vivono la loro vita) e quelle invece di Mark, che allarga subito il suo sito ad altri college sulla costa est, poi anche su quella ovest (Stanford), quindi in Europa e infine abbandona del tutto l'ambiente del college e rende il servizio disponibile a tutti. Probabilmente anche questa è una sorta di "rivalsa" contro l'amico Eduardo, che in quel mondo esclusivo stava per essere ammesso, mentre lui no. L'universalità di Facebook nasce dalla frustrazione per non essere stato accettato nelle confraternite e nei circoli più esclusivi. Ecco, questo è un concetto che nel film mi è piaciuto parecchio.
Concordo con gli altri commenti. La pellicola ha una serie di concetti importanti più o meno velati.
Di sicuro uno dei migliori titoli dell'annata.
CST
Non ci vedo tutti questi concetti importanti (o forse non sono importanti per me), ma comunque resta un buon film e su questo sono d'accordo.
Riguardando il film ho notato che la scena della regata di canottieri è girata usando il "diorama effect" (si chiama credo...).
Chissà se vuol dire qualcosa.
Aggiornamento Oscar: "The social network" ha vinto tre statuette, fra cui quella per la miglior sceneggiatura non originale (più colonna sonora e montaggio).
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