Cannes e dintorni 2010 - conclusioni
Rassegna deludente, soprattutto per la mancanza di idee e di fantasia evidenziata dalla maggior parte dei film. Tranne rari casi, quasi tutte le pellicole hanno preferito "volare basso", raccontando storie quotidiane e minimaliste e spaccati di vita poco interessanti: fa (in parte) eccezione proprio la Palma d'Oro, "Uncle Boonmee who can recall his past lives", che forse andrebbe rivalutata e che ha scontato il fatto di essere stata programmata nel primo giorno della rassegna, quando le aspettative erano più alte. Magari in futuro proverò a rivederla per giudicarla meglio almeno dal punto di vista formale (visto che come contenuti, comunque, offre ben poco). Il film che mi è piaciuto di più, l'unico che a distanza di tempo potrei potenzialmente definire un capolavoro, è stato l'originale documentario italiano "Le quattro volte" di Michelangelo Frammartino. Ma ho gradito anche la commedia americana "City Island", il thriller nippo-britannico "Chatroom" di Hideo Nakata, l'estenuante rumeno "Aurora", il messicano "Año bisiesto" e il francese "Pieds nus sur les limaces". Fra i film peggiori ci metto senza dubbio il noiosissimo "Bright star" della Campion (per la quale ho una vera e propria idiosincrasia), mentre non mi hanno particolarmente convinto né "La nostra vita" di Daniele Luchetti né due pellicole britanniche che invece hanno ottenuto un buon riscontro di critica: "Another year" di Mike Leigh e "Tamara Drewe" di Stephen Frears.
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